Category: Ambiente

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Certificazione pesci di allevamenti intensivi. Un gruppo di attivisti di Essere Animali, organizzazione per la protezione degli animali, il 9 agosto è entrata in azione davanti a un allevamento intensivo di pesci in Italia, con lo scopo di mettere in luce l’incoerenza dell’etichetta rispetto alle reali condizioni degli animali in questi allevamenti.

Gli attivisti hanno portato davanti alle vasche dove sono allevati i pesci uno striscione di 10 metri con lo slogan “Acquacoltura INsostenibile per i pesci”.

L’azione si inserisce nella campagna “Acquacoltura INsostenibile”, lanciata a luglio dall’organizzazione italiana per denunciare le gravi lacune all’interno del sistema di certificazione promosso da API Associazione Piscicoltori Italiani.

La certificazione – inserita all’interno dei sistemi di qualità nazionale (SQNZ) del Ministero dell’Agricoltura – permette infatti di etichettare i prodotti ittici con il claim “acquacoltura sostenibile”, ma il disciplinare che regola quest’etichetta non fornisce una definizione di benessere animale, né menziona criteri chiari per eliminare le principali cause di sofferenza per i pesci negli allevamenti.

Si tratta di mancanze molto gravi considerando che l’OIE, Organizzazione Mondiale per la Sanità Animale, riconosce i pesci come esseri senzienti, cioè in grado di provare sentimenti come paura e dolore, e il loro benessere è considerato un elemento ormai così importante da essere menzionato esplicitamente in tutti i documenti ufficiali che affrontano il tema della sostenibilità in acquacoltura, dagli orientamenti strategici 2021-2030 della Commissione europea alle linee guida per le aziende sviluppate dalla Global Reporting Initiative.

Secondo i dati dell’Associazione Piscicoltori Italiani, il fatturato dell’acquacoltura italiana nel 2022 ha registrato uno scatto in avanti rispetto all’anno precedente, parliamo di 303,8 milioni di euro di valore per un totale di 53.900 di tonnellate di pesce prodotto. Senza contare che d’estate le preferenze di acquisto e consumo dei consumatori sono più facilmente indirizzate verso i prodotti ittici.
Questo significa che i consumatori potrebbero imbattersi più facilmente in una etichettatura sulla “acquacoltura sostenibile” che rischia di confonderli e spingerli a comprare un prodotto sulla base di informazioni incomplete.

È fondamentale che una certificazione ufficiale incentrata sulla sostenibilità e validata dal Ministero tenga conto del benessere dei pesci in modo concreto e strutturato, integrando come minimo alcuni cambiamenti indispensabili per affrontare nella pratica le criticità di benessere più rilevanti per questi animali.

Per questo Essere Animali richiede al più presto le seguenti modifiche:
1. Integrazione nel disciplinare di una definizione chiara di benessere animale. Una definizione di riferimento è necessaria per poter identificare e interpretare con precisione i criteri di valutazione del benessere dei pesci.
2. Obbligo di stordimento efficace prima dell’abbattimento. Diversi regolamenti e linee guida europei e internazionali ritengono prioritario per il benessere dei pesci garantire uno stordimento efficace prima dell’abbattimento, così come già accade per gli animali terrestri. La maggior parte dei metodi attualmente utilizzati in fase di abbattimento, infatti, causano dolore profondo e sofferenza prolungata nei pesci, che possono anche impiegare interminabili minuti prima di morire. In tema di sostenibilità economica, un recente report prodotto da Essere Animali e Animal Ask mostra come l’implementazione di metodi di stordimento più rispettosi del benessere di trote, spigole e orate incide in modo contenuto, e quindi sostenibile, sui costi totali di produzione.
3. Densità massime e qualità dell’acqua nelle gabbie di mare. Nel disciplinare non vengono forniti parametri di qualità dell’acqua da rispettare per le gabbie di mare ma è fondamentale aggiungere i valori da monitorare regolarmente, e le rispettive soglie. In accordo con le raccomandazioni del report commissionato nel 2022 dall’Aquaculture Advisory Council, un organo composto al 60% da organizzazioni di settore e al 40% da altri portatori di interesse (tra cui le ONG) che ha il ruolo di fornire consulenza alla Commissione europea e agli Stati membri su nuove misure legislative o regolatorie a livello europeo o nazionale in tema di acquacoltura, per poter parlare di benessere animale le densità massime per spigola e orata non dovrebbero superare i 15 kg/m3.
4. Densità massime e qualità dell’acqua per allevamenti a terra. In accordo ancora una volta con le raccomandazioni del report commissionato nel 2022 dall’Aquaculture Advisory Council, le densità massime non dovrebbero superare i 15 kg/m3 per spigola e orata e i 25 kg/m3 per le trote. In linea con le più recenti pubblicazioni scientifiche, andrebbero rivisti e migliorati anche altri parametri di qualità dell’acqua, come temperatura, livello di ossigeno disciolto, concentrazione di ammoniaca e velocità di corrente.

Dichiara Brenda Ferretti, Campaigns Manager di Essere Animali: “Allevare animali in condizione di sovraffollamento per cui non è previsto nemmeno uno stordimento efficace non può essere certificato “Acquacoltura Sostenibile”. Con questa azione abbiamo voluto spronare l’Associazione Piscicoltori Italiani ad accogliere le nostre richieste di integrare nel loro disciplinare le modifiche proposte e ribadire anche che il Ministero dell’Agricoltura può giocare un ruolo importante con queste certificazioni, tenendo conto di tutti i fattori – come il benessere animale e le misure concrete per tutelarlo – e tutti i cittadini, anche quelli che hanno a cuore gli standard di benessere animale, che si sentono e si dovrebbero sentire sempre rappresentate dalle istituzioni”.

www.essereanimali.org

documento AAC ethology to improve farmed fish welfare and production

Bacini di raccolta pluviali riducono rischi alluvionali. A seguito degli eventi meteorologici estremi che si sono succeduti nel mese di luglio sul territorio, BrianzAcque comunica che i parchi dell’acqua e le vasche volano, costruite in questi anni, sono regolarmente entrate in funzione.
Hanno così incamerato e trattenendo milioni di litri d’acqua che altrimenti avrebbero invaso strade e abitazioni, peggiorando una situazione già molto critica.

Se alcuni centri abitati non sono stati alluvionati, come accaduto anni fa, o hanno subito un allagamento limitato, il motivo è in gran parte da attribuire alla lungimirante capacità del gestore del servizio idrico locale di pianificare opere pubbliche infrastrutturali per l’adattamento e la mitigazione del cambiamento climatico.

Ad Arcore, Biassono, Macherio, Nova Milanese, Bellusco, le vasche hanno permesso di reggere il colpo contenendo gli allagamenti a situazioni puntuali dove foglie e rami strappati dal forte vento hanno occluso le griglie di raccolta delle acque.
Proprio sul tema della questione dei danni riconducibili all’intasamento di caditoie, il Presidente e AD di BrianzAque, Enrico Boerci, propone la “promozione di un coordinamento tra BrianzAcque, i vari Comuni, la Protezione Civile, le aziende di pulizia strade e spurghisti, che possa essere attivato ed entrare in funzione nel caso in cui si annuncino allerte meteo per il territorio”.
Le pochissime situazioni in cui si sono verificati problemi seri, infine, sono legate ad una elevatissima intensità di pioggia puntuale e al breve intervallo di tempo tra gli eventi temporaleschi che non ha permesso lo svuotamento dei manufatti.

Le infrastrutture realizzate da BrianzAcque consistono sostanzialmente in invasi sotterranei in grado di aumentare la capacità delle reti fognarie esistenti di ricevere i volumi di acqua generati in maniera repentina e impulsiva dalle superfici urbane impermeabilizzate colpite dai temporali, rilasciandoli poi nel tempo in maniera controllata e non impattante verso gli impianti fognari di valle. Non bisogna infatti dimenticare che le reti esistenti sono state prevalentemente realizzate 40/50 anni fa, e anche di più, secondo criteri di progettazione che facevano riferimento alle superfici urbane e alle piogge dell’epoca.
Il piano di ottimizzazione e ammodernamento che BrianzAcque sta attuando annovera un complesso di opere costose e tecnicamente impegnative, anche per l’impatto generato sulla collettività durante l’esecuzione dei cantieri, che richiede un orizzonte temporale di medio-lungo periodo per essere completato.

Sugli ultimi eventi climatici estremi BrianzAcque ha raccolto dati scientifici e considerazioni del climatologo Alessandro Ceppi, ricercatore del Politecnico di Milano, esperto in meteorologia, idrologia e monitoraggio ambientale. Una analisi che documenta come i fenomeni meteo eccezionali, presi in esame, si siano manifestati ciascuno con proprie peculiarità e con differenti caratteristiche.

LUGLIO MESE PIÙ CALDO NELLA STORIA DEL PIANETA
Il programma Copernicus Climate Change Service (C3S) ha appena annunciato come le prime 3 settimane di luglio siano state le più calde a livello globale e il mese si appresta a chiudere al primo posto come il mese più caldo di sempre sul nostro pianeta. Anche sul territorio brianzolo stiamo vivendo un’estate a due volti: alte temperature fino a 35°C con tassi di umidità elevati si alternano a momenti di violenti nubifragi su diverse aree della Brianza. Sono condizioni meteorologiche estreme che si stanno manifestando sempre più frequentemente sul nostro territorio.

PRECIPITAZIONI SEMPRE PIÙ INTENSE
È ormai noto come i cambiamenti climatici rendano più probabili gli episodi di pioggia intensa attraverso una maggiore evaporazione dai mari divenuti più caldi, e ad una maggiore capacità dell’aria calda di contenere vapore acqueo, dunque acqua precipitabile. Maggiore vapore acqueo in atmosfera significa più energia in gioco per la formazione di precipitazioni intense. Ed è proprio quello che è successo in questo mese di luglio: un’atmosfera carica di energia, un cocktail con elevati valori termici unito alla presenza di un alto contenuto di vapore acqueo che ha provocato intensi temporali innescati dall’arrivo di aria più fresca da nord-ovest.

GLI EVENTI METEO PRESI IN ESAME
Abbiamo analizzato 3 eventi tra più rilevanti accaduti sul territorio brianzolo nel mese di luglio, in particolare il giorno 4, 21 e 24, quando diversi comuni della provincia sono stati colpiti da precipitazioni intense accompagnate da forti raffiche di vento e chicchi di grandine anche di grandi dimensioni.

L’evento temporalesco del 4 luglio è stato significativo tra i comuni di Briosco e Giussano quando nel giro di 1 ora sono caduti 73.4 e 72 mm (1 mm equivale a 1 litro d’acqua su metro quadro).

L’evento del 21 luglio è stato particolarmente intenso sulla città di Seregno, finendo tra le prime pagine dei giornali e telegiornali nazionali. L’evento è iniziato alle ore 10:30 ed è terminato alle ore 11. In 30 minuti sono caduti 50 mm di precipitazione. I temporali sono partiti da ovest circa un’ora prima con un sistema a multi-cella per unirsi in un’unica super cella temporalesca che ha poi generato anche un tornado nel comune di Cernusco sul Naviglio. Nello stesso giorno, un nuovo temporale si è abbattuto la sera tra le ore 20 e 21 causando molti disagi su Monza e dintorni dove le precipitazioni (30 mm in 30 minuti) sono state accompagnate da forti raffiche di vento tra 75-95 km/h.

Un altro evento intenso è stato quello del 24 luglio quando attorno alle ore 13:45 un violento temporale ha colpito la parte centro-sud della provincia di Monza e Brianza con precipitazioni intense con raffiche di vento fino a 100 km/h e grandine.

Nel comune di Agrate si sono registrate precipitazioni fino a 39 mm in 15 minuti
Tutti questi valori sono tipici di eventi di pioggia che nella normalità si verificano mediamente ogni 75 – 100 anni. Nel resto della provincia il vento ha divelto e spezzato alberi, abbattendoli al suolo. Il fenomeno meteorologico si chiama downburst come illustrato nella figura sottostante e nella sequenza di immagine registrate a Seregno durante l’evento.

I danni apportati dal downburst riguardano una superficie ben più estesa rispetto a quella interessata dal passaggio di un tornado che è un fenomeno più localizzato e caratterizzato da raffiche di vento in rotazione ciclonica. Essendo associato a fenomeni temporaleschi è spesso accompagnato da forti precipitazioni e fulminazioni. Inoltre, l’impatto col suolo crea un improvviso scoppio (da qui l’uso del termine burst). Tali scoppi di vento sono molto dannosi, simili a quelli di una tromba d’aria, in realtà i venti della raffica discendente hanno sempre un moto rettilineo e mai rotatorio.

L’azione meccanica e congiunta di vento forte, pioggia e grandine ha ulteriormente aggravato i danni al suolo con alberi abbattuti (un suolo umido è infatti più instabile rispetto a un suolo secco) e tetti scoperchiati.
Un secondo episodio invece ha interessato buona parte della provincia nella sera di lunedì 24 tra le ore 21 e 22 con forti grandinate con chicchi tra 4-8 cm di diametro a seconda delle zone, provocando molti danni ai tetti, panelli fotovoltaici, auto, alla vegetazione, alle colture e un generale blackout elettrico durante la fase critica.

www.brianzacque.it

Diversificare approvvigionamenti acque. Il 4 luglio 2023 è stato il giorno più caldo di sempre sulla Terra. In un contesto di crisi climatica e di riduzione della disponibilità di acqua, è prioritario ragionare sulle fonti di approvvigionamento idrico alternative e come efficientare il loro utilizzo.

La Community Valore Acqua per l’Italia di The European House – Ambrosetti, al via dei lavori che porteranno alla realizzazione della quinta edizione del libro bianco “Valore Acqua per l’Italia”, si fa portavoce di un approccio integrato: potenziare gli invasi e raccogliere le acque meteoriche, riutilizzare l’acqua a fini irrigui e industriali e promuovere la dissalazione dell’acqua marina.

La dissalazione
A livello globale vengono generati 108 milioni di metri cubi al giorno di acqua dissalata; in Italia appena 650 mila (il 5,9% della produzione giornaliera europea). La dissalazione delle acque marine, una delle possibili soluzioni al problema della siccità come emerso dal primo incontro della Community Valore Acqua per l’Italia, viene realizzata nel nostro Paese da 340 impianti (oltre il 50% costruiti prima del 2000) che generano acque impiegate per quasi il 70% nel settore industriale (68,3%) e destinate solo in minima parte all’agricoltura e all’uso civile.

“La dissalazione – ha affermato Valerio De Molli, Managing Partner e CEO di The European House – Ambrosetti – ha le potenzialità per diventare una delle soluzioni di un sistema integrato di approvvigionamento idrico nel nostro Paese, con un mercato oggi però fortemente sviluppato nel Medio Oriente e che concentra il 39% della capacità di dissalazione del mondo, l’Europa l’11% dietro gli Stati Uniti (18%) e davanti all’Africa (8%). Il mercato della dissalazione vale oggi 13,6 miliardi di euro (quasi 23 mila impianti attivi) per una capacità produttiva che aumenta mediamente del 6,8% all’anno. La dissalazione dell’acqua non può essere l’unica soluzione al problema delle siccità, ma va inserita in una rosa di soluzioni per uscire da una logica emergenziale e trattare il tema dell’acqua con un respiro di lungo periodo”.

Italia recupera solo 11% dell’acqua piovana e l’età media delle dighe è di 58 anni (92 in Liguria)
Come emerso dai dati elaborati da The European House-Ambrosetti, un’altra leva importante per una strategia di lungo periodo contro la siccità deriva dalla valorizzazione degli invasi e dalla raccolta di acque meteoriche. L’Italia ha la capacità oggi di recuperare solo 5,9 miliardi di metri cubi di acque meteoriche (11% del totale) a fronte di una disponibilità potenziale di 54 miliardi di metri cubi con un impatto importante sulla filiera agricola, industriale, ma anche civile. Tra le infrastrutture più datate sul territorio troviamo le grandi dighe che hanno un’età media a livello nazionale di 58 anni, ma con punte che raggiungono i 92 anni in Liguria e oltre 80 in Valle d’Aosta e Piemonte. Le più recenti in Puglia e Molise, rispettivamente con un’età media di 41 e 35 anni. Negli ultimi 10 anni sono state attivate solo 2 dighe di grandi dimensioni.

Un’altra dimensione su cui agire è il riuso
“Rispetto alla gestione pubblica – ha aggiunto Valerio De Molli – quella industriale favorisce il riuso delle acque depurate per oltre 23 punti percentuali in più. I 18.000 impianti di depurazione raddoppieranno nel breve-medio periodo, ma rimane da gestire il tema della destinazione delle acque reflue: solo il 4% è oggi destinato al riuso diretto, 6 volte in meno della Spagna e 4 volte in meno rispetto alla Francia”.

The European House – Ambrosetti è un gruppo professionale di circa 300 professionisti, di cui il 54% sono donne, attivo sin dal 1965 e cresciuto negli anni in modo significativo grazie al contributo di molti Partner, con numerose attività in Italia, in Europa e nel Mondo.
Da più di 50 anni siamo al fianco delle imprese italiane, ogni anno serviamo nella Consulenza 1.200 clienti, confezionando progetti su misura, in un ventaglio di 14 aree tematiche.
Ci rivolgiamo a imprese di varie tipologie e dimensioni: in particolare, sviluppiamo annualmente 120 progetti per famiglie imprenditoriali. Realizziamo inoltre più di 200 Studi e Scenari strategici , indirizzati a Istituzioni e aziende nazionali ed europee.
Circa 3.000 esperti nazionali e internazionali vengono coinvolti ogni anno nei 500 eventi realizzati per gli oltre 15.000 manager che accompagniamo nei loro percorsi di crescita professionale. Grazie al nostro know-how e alla tecnologia proprietaria a nostra disposizione, realizziamo workshop, seminari, e complessi eventi digitali e phygital di alto livello, nonché percorsi di Formazione e Aggiornamento Permanente.
Da 47 anni organizziamo Lo Scenario di oggi e di domani per le strategie competitive, Forum internazionale di dibattito sui grandi temi attuali, comunemente noto come Forum di Cernobbio per via della località che tradizionalmente lo ospita. Realizziamo anche un Forum di economia e finanza e Summit Internazionali che stimolano il dialogo tra imprese, governi e istituzioni in Italia e nel mondo.
Siamo il 1° Think Tank Privato italiano, 4° nell’Unione Europea, tra i più rispettati e indipendenti istituti a livello globale su oltre 100 Paesi nel mondo, secondo uno studio della University of Pennsylvania.
A nostra volta, diamo impulso a Think Tank e Comunità tematiche che monitorano alcuni degli argomenti chiave di oggi e sviluppano report con il coinvolgimento dei player del settore.

www.ambrosetti.eu

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Vacanze in foreste FSC che combattono la crisi climatica. Si trovano in Piemonte, Emilia-Romagna, Toscana e Sardegna: sono aree che producono servizi per la comunità circostante e aiutano a riconnettere le persone con alberi e Natura. Viverci una esperienza è il modo migliore per conoscere da vicino il ruolo dei boschi per combattere la crisi climatica.

Con 11 milioni di ettari di boschi, l’Italia è al secondo posto per copertura forestale in Europa e offre straordinarie possibilità per una vacanza o una esperienza “slow”, dove si concentrano ambiente e benessere, storia e culture, usi civici e antiche leggende. Meglio ancora se poi la scelta privilegia la scoperta di località dove le comunità locali hanno sviluppato nei secoli un forte attaccamento alla risorsa forestale, affinando sistemi di gestione e uso sostenibile che hanno permesso la convivenza di coltivazioni, pascoli e biodiversità.
Non solo: negli ultimi anni e complici gli effetti dei cambiamenti climatici, sono stati riscoperti i servizi di supporto alla vita che le foreste offrono costantemente: tra questi, la cattura e lo stoccaggio di CO2, la conservazione delle risorse idriche, della biodiversità e della ricchezza del suolo, oltre all’accogliere attività turistico-ricreative e culturali.
Ecco quindi quattro opportunità turistiche in aree certificate FSC in Italia, situate in altrettante regioni: qui si è deciso di puntare decisamente non solo sulla gestione responsabile ma anche sulla valorizzazione dei servizi naturali connessi ad alberi e boschi che posso diventare tappe interessanti di un itinerario estivo alla scoperta del Belpaese.

La Sughereta Sperimentale Cusseddu-Miali-Parapinta (Tempio Pausania, Sardegna)
Nello storico distretto del sughero sardo in provincia di Sassari (Comune di Tempio Pausania) è possibile scoprire questa foresta che si estende per circa 67 ettari e che secondo i dati dell’ultimo inventario (2021), conta oltre 30 mila piante di sughera, roverella, leccio e frassino.
È gestita dal Servizio della Ricerca per la Sughericoltura e la Silvicoltura di Agris Sardegna ed è sia un’area produttiva capace di fornire 1.600 quintali di sughero ogni dieci anni, sia un luogo dove si testa la resistenza delle piante a patogeni e le loro capacità di recupero, oltre che la rinnovazione artificiale del bosco – da qui appunto la definizione di “sperimentale”.
Ma è anche un luogo che ospita una particella, denominata “Bosco Naturale”: lasciata a libera evoluzione a partire dagli anni ’60, consente di testare le dinamiche di un bosco che non viene interessato da attività umane per lungo tempo.
È infine, casa di un’infinità di specie locali; tra queste, 400 specie di piante, 14 specie di Orchidee, 218 specie fungine, oltre che a 42 specie di uccelli e di mammiferi come il cinghiale, il riccio, la volpe, la donnola, la martora e la lepre.
Dal 2005 la Sughereta Sperimentale è certificata secondo gli standard di gestione forestale FSC, a cui è stata aggiunta nel 2021 la verifica della conservazione e valorizzazione dei servizi ecosistemici: a cominciare dallo stock di carbonio, equivalente a 8.881,78 tonnellate di anidride carbonica assorbita, e alla protezione della biodiversità.
Le attività di gestione hanno consentito il ripristino e la manutenzione di sorgenti, pozzi e canali di scorrimento, così come il consolidamento delle sponde con essenze adattate agli ambienti umidi.
Per conservare il suolo si è poi proceduto alla rinaturalizzazione di vecchi rimboschimenti e alla realizzazione di nuovi a scopo naturalistico, assieme ad una serie di indagini che hanno consentito di analizzare le caratteristiche fisico-chimiche del suolo e di predisporre le misure per la sua tutela e miglioramento.

L’Oasi Zegna (Biella, Piemonte)
Situata nelle Alpi a circa mezz’ora di auto dal centro di Biella, l’Oasi Zegna nasce dall’idea dell’imprenditore Ermenegildo Zegna di restituire alla comunità un’area di 100 chilometri quadrati che, grazie ad interventi di rimboschimento e messa in sicurezza, oggi ospita 700 ettari di faggete, 300 di abetine e 400 di boschi misti, completamente aperti al pubblico.
Qui sono oltre venti itinerari naturalisti per gli amanti del trekking o del nordic walking, della bicicletta, delle passeggiate a cavallo e dello sci nei mesi più freddi, ma si possono anche seguire corsi e seminari di yoga, meditazione e qi gong, oppure partecipare a percorsi di meditazione e mindfulness camminando nei boschi dell’Oasi.
Non manca ovviamente l’attenzione alla conservazione della biodiversità, che comprende un importante progetto di monitoraggio delle popolazioni Carabus Olympiae, un coleottero endemico che ha rischiato l’estinzione a causa della pressione antropica e che ora è tornato a occupare queste zone grazie ad una migliore gestione forestale e pastorale.
Certificata FSC dal 2022, oggi l’Oasi ha aggiunto la verifica di tutti e cinque i servizi ecosistemici forestali: stock di CO2; conservazione delle fonti idriche, della biodiversità e del suolo; miglioramento dei servizi turistico-ricreativi e culturali.

Il Parco nazionale dell’Appennino Tosco-Emiliano
Trekking, arrampicate, pedalate in bici, sky running e escursioni a cavallo: nei 26.149 ettari del Parco nazionale dell’Appennino Tosco-Emiliano c’è davvero spazio per tutte le esperienze. Istituito nel 2001, ricade sotto il Man and the Biosphere-MAB, un programma scientifico intergovernativo avviato dall’Unesco per promuovere la tutela della biodiversità e le buone pratiche dello sviluppo sostenibile.
Vanta una straordinaria ricchezza di ambienti abitati da specie come il lupo, il muflone, il capriolo, il cervo, la poiana, il falco pellegrino, l’aquila reale, il tritone alpestre ed endemismi come la festuca, la veccia, il palèo genovese e la primula appenninica.
I paesaggi vari ricompresi in questa area offrono al visitatore la possibilità di passeggiare alla scoperta di antichi pascoli (Giunchiglie di Logarghena), castagneti, abetine e faggete, nelle quali è possibile anche scorgere qualche pianta secolare e un’antica segheria idraulica, ora divenuta un rifugio per escursionisti (Abetina Reale). Al momento è l’unico parco nazionale italiano ad essere certificato secondo gli standard FSC, traguardo raggiunto nel 2022, a cui è seguita la verifica di tutti e cinque i servizi ecosistemici. La CO2 al momento stoccata in questa area è pari a 1.755.845,02 tonnellate.

Il Complesso forestale regionale di Rincine (Firenze, Toscana)
Situato in provincia di Firenze, con i suoi 1.448 ettari il Complesso forestale regionale di Rincine fa parte dell’area gestita dall’Unione dei Comuni Valdarno e Valdisieve e interessa i Comuni di Londa, S.Godenzo e Dicomano.
Le aree sono popolate in maggioranza da faggi e cerri, ma è possibile trovare anche conifere, impianti di douglasia, rimboschimenti di pino nero e castagneti. Oltre ai sentieri per trekking, bici o cavallo, è possibile scoprire le bellezze di quest’area attraverso una serie di percorsi specifici: il sentiero selvicolturale ad esempio, che permette di apprendere le tecniche di gestione del bosco appenninico; due percorsi specifici per famiglie, di facile accessibilità e pensati anche per le esigenze dei più piccoli; “le buone erbe”, una passeggiata tra boschi di latifoglie e conifere, prati, pascoli e brughiere alla scoperta delle piante da sempre utilizzate dall’essere umano per i più svariati impieghi.
I boschi di Rincine sono ricompresi, unici nel panorama italiano, all’interno del network delle Foreste Modello, una rete internazionale che promuove forme innovative e sostenibili di governance forestale. Sono inoltre certificati FSC dal 2013, e come altre 13 realtà forestali nel nostro Paese, hanno eseguito la verifica degli impatti di gestione sui servizi naturali per quanto riguarda miglioramento e mantenimento dello stock di carbonio e delle attività turistico-ricreative.

Il Forest Stewardship Council (FSC) è un’organizzazione non governativa e no-profit che include tra i suoi 900 membri internazionali gruppi ambientalisti e sociali, comunità indigene, proprietari forestali, industrie che lavorano e commercializzano prodotti forestali, gruppi della grande distribuzione organizzata, ricercatori e tecnici, che operano insieme allo scopo di promuovere in tutto il mondo una gestione responsabile delle foreste.
FSC Italia nasce nel 2001 come associazione no-profit, in armonia con gli obiettivi di FSC International. Il marchio ha assunto un ruolo di primo piano nel mercato dei prodotti forestali quali legno, carta e prodotti non legnosi (come ad esempio il sughero), collocando il nostro Paese al secondo posto nella classifica internazionale e al primo in quello europeo per quel che riguarda le certificazioni FSC della Catena di Custodia (Chain of Custody, CoC).
Il marchio FSC identifica infatti i prodotti contenenti legno proveniente da foreste gestite in maniera corretta e responsabile secondo rigorosi standard ambientali, sociali ed economici. La foresta di origine viene infatti controllata e valutata in maniera indipendente in conformità a questi standard (principi e criteri di buona gestione forestale), stabiliti ed approvati dal Forest Stewardship Council International tramite la partecipazione e il consenso di tutte le parti interessate.

www.fsc-italia.it

Carta dei Diritti degli Oceani. Il Genova Process per il riconoscimento dei diritti dell’Oceano presso l’Assemblea Generale delle Nazioni Unite.

Il Genova Process pone il capoluogo ligure al centro di un percorso straordinario, parallelamente allo svolgimento della The Ocean Race, il giro del mondo delle imbarcazioni a vela con equipaggio, terminato nei giorni scorsi con il traguardo per la prima volta in Italia, proprio a Genova.
Il Blue District ospita tutti i workshop del Genova Process, iniziativa che mette nuovamente il capoluogo ligure al centro dell’attenzione mondiale nell’ambito delle politiche e azioni di sostenibilità, per la salvaguardia dei mari e degli ambienti costieri, grazie anche alla sinergia con The Ocean Race.

Ad accogliere i partecipanti del primo workshop è stato il Sindaco di Genova, Marco Bucci: «Il mondo di Ocean Race porta ancora una volta la nostra città al centro dell’interesse internazionale. Non solo per lo sport, ma anche per i contenuti legati alla tutela dell’ambiente e del mare. E’ per noi un’occasione straordinaria e motivo di grande orgoglio essere sede degli incontri che porteranno alla definizione dei principi di una potenziale Dichiarazione dei Diritti degli Oceani. In quel documento, che verrà presentato all’Assemblea Generale delle Nazioni Unite a New York nel settembre 2023, ci sarà molto di Genova, del nostro amore per il mare e del nostro legame con il pianeta blu: una risorsa fondamentale per la vita, la crescita sostenibile, che abbiamo il diritto e il dovere di tutelare in quanto parte integrante della nostra esistenza”.

Il Presidente di The Ocean Race, Richard Brisius, molto legato alla città, avendo vissuto in Liguria e partecipato al giro del mondo a vela su barche italiane ha delineato la genesi del Genova Process e come questa iniziativa si inserisca nel più ampio progetto di sostenibilità Racing with Purpose della regata. Nel suo ottimo italiano Brisius ha detto: «Come velista ho questo legame speciale con l’oceano. Lo sport della vela apprezza il fair play e regole giuste, ma non c’è fair play per l’oceano. Abbiamo bisogno di una governance e di una gestione più nitida, che possiamo creare attraverso una Dichiarazione Universale dei Diritti dell’Oceano – un set di regole che permetta a tutti i mari di prosperare. Se succederà, vedremo un cambiamento di paradigma nella protezione dell’oceano».

Alla conferenza hanno preso parte anche Michelle Bender, giurista e direttore delle campagne sull’oceano dell’Earth Law Center, una ONG con sede negli Stati Uniti che lavora per il riconoscimento dei diritti della natura attraverso azioni di lobbying giuridica e di educazione e Antonio Di Natale, il biologo marino con importanti incarichi e relazioni internazionali, che ricopre il ruolo di consulente scientifico per conto del Comune di Genova. «Esistono già leggi sui diritti della natura – ha spiegato Michelle Bender – ma non partono da quelli che sono gli interessi superiori del mondo. Hanno un punto di vista legato all’uomo e ai suoi bisogni. La natura è una entità legale e deve avere una voce. Come esistono i diritti dei bambini, lo stesso deve accadere per la natura. Avere una carta dei diritti degli oceani significa avere più protezione e in questo senso va fatto un cambio etico per trattare il nostro ambiente in modo migliore. Gli oceano sono in grave pericolo. La plastica è solo uno dei problemi, il più visibile. Obiettivo di tutti noi deve essere quello della conservazione e tutela dell’ambiente marino e vogliamo che sia stabilito un diritto e che ci sia quindi una presa di responsabilità a livello globale».

Parte del gruppo centrale di esperti degli Innovation workshop, Antonio Di Natale ha sottolineato l’importanza di una migliore conoscenza dell’oceano per poter attuare efficaci politiche di protezione. «La ricerca scientifica e il patrimonio culturale legato al mare sono alla base del Genova Process, gli elementi fondamentali per conoscere meglio il contesto nel quale ci muoviamo, e dunque per la definizione dei principi dei diritti dell’oceano, che vogliamo presentare ufficialmente ai Governi e all’attenzione dell’Assemblea Generale delle Nazioni Unite nel Settembre 2023, durante gli eventi collegati a The Grand Finale a Genova. Sono felice di poter dare il mio contributo, insieme a molti altri scienziati ed esperti da tutto il mondo che ho contribuito a selezionare con The Ocean Race, e che la città di Genova abbia un ruolo di tale rilevanza sulla scena globale».

Al workshop partecipano 25 esperti di diritto internazionale, politica, diplomazia e scienze oceaniche, alcuni in presenza e altri collegati online dai propri paesi.

“Genova è in prima linea nel portare avanti iniziative in materia di sostenibilità ambientale e degli oceani”, ha sottolineato Matteo Campora, Assessore all’ambiente e alla transizione ecologica del Comune di Genova. «L’Action Plan Genova 2050 verso un’economia sostenibile resiliente, il Pums per una mobilità urbana ad emissioni zero, Genova come primo Green Port del mondo entro il 2030, il progetto C-City ed il protocollo d’intesa con ESA ed Enel per il monitoraggio delle microplastiche in mare, l’operazione Fondali Puliti, il lavoro del Centro di Educazione Ambientale e della Guardia Costiera Ausiliaria per la pulizia di spiagge e mari dai rifiuti, i sea-bin sono solo alcune delle azioni e dei progetti che fanno di Genova un modello nazionale e internazionale per la tutela dei mari e degli oceani. La nostra città è pronta ed orgogliosa di fare la sua parte per questo importante Genova Process».

I workshop del Genova Process raccoglieranno i risultati che emergono dai The Ocean Race Summit, sviluppati in collaborazione con 11th Hour Racing, premier partner di The Ocean Race, a cui prendono parte personaggi chiave del mondo dello sport, dell’industria, della politica e della scienza, insieme ad appassionati sostenitori degli oceani.
Nell’incontro a Genova sono analizzati i risultati del “The Ocean Race Summit” che si è tenuto lo scorso 21 marzo alle Seychelles con la partecipazione di Wavel Ramkalawan, presidente della Repubblica delle Seychelles, Patricia Scotland, segretario generale del Commonwealth, Mia Amor Mottley, primo ministro delle Barbados e Peter Thomson, inviato speciale del Segretario Generale delle Nazioni Unite per l’Oceano.
Si è discusso in particolare sui temi della mancanza di governance e protezione dei nostri mari, sull’impatto del cambiamento climatico, l’importanza delle donne nei ruoli di leadership per la conservazione degli oceani, piani di economia blu e la lotta all’inquinamento.
L’evento delle Seychelles fa parte di una serie di 12 i Summit che esplorano l’idea di dare diritti all’oceano per creare uno sforzo globale collettivo per proteggere i mari.
Il concetto può essere realizzato solo se i diritti dell’oceano sono accolti su scala globale, ed è per questo che The Ocean Race sta lavorando per raccogliere sostegno e slancio con i principali decisori e sostenitori dell’oceano.
Al termine di ogni Summit, gli esperti si ritroveranno a Genova per continuare a sviluppare i principi dei diritti dell’oceano.

smart.comune.genova.it

www.theoceanrace.com

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Agricoltura bio cresce. Ma gli agricoltori denunciano: troppa burocrazia. E il costo dei controlli grava sui produttori. L’assemblea nazionale dei produttori di FederBio – in rappresentanza di 50.000 agricoltori riuniti in 16 associazioni – lancia il manifesto con le richieste per rafforzare il bio.

L’agricoltura biologica e biodinamica continua a crescere
In Italia conta quasi 93.000 operatori, con un 7,7% di crescita rispetto al 2021, più di 82.000 produttori e una superficie agricola utilizzata di quasi 19%. Un balzo in avanti che conferma la leadership in Europa per l’agricoltura biologica nazionale.
Un modello di produzione sostenuto dal Green Deal europeo e dalla Strategia Farm to Fork, le cui indicazioni mirano a superare l’attuale agricoltura intensiva e a promuovere la transizione agroecologica nei sistemi agricoli europei.
Ma per sostenerlo occorrono interventi mirati e urgenti, in primo luogo nella semplificazione burocratica e nell’abbattimento dei costi a carico degli agricoltori.

È questo solo il primo punto del Manifesto dei produttori biologici e biodinamici approvato dall’Assemblea nazionale dei soci produttori di FederBio che ha visto la partecipazione diretta dei protagonisti della produzione alimentare.
Gli agricoltori, senza i quali non c’è cibo, sono – secondo quanto denunciano le associazioni del bio – l’anello meno ascoltato e rappresentato della catena produttiva.

Assieme alle decine di produttori, sono intervenuti – tra gli altri – il sottosegretario al MASE Luigi D’Eramo; la presidente di FederBio Maria Grazia Mammuccini; il presidente di Coldiretti Ettore Prandini e il segretario generale Vincenzo Gesmundo; i deputati Maria Chiara Gadda, Francesco Battistoni e Stefano Vaccari; la presidente di Coldiretti Bio Maria Letizia Gardoni, il presidente di Anabio Cia Giuseppe De Noia, il vicepresidente di FederBio per la biodinamica Marco Paravicini e il segretario generale di FederBio Paolo Carnemolla.

Il successo del bio risiede nell’impegno di molti agricoltori e agricoltrici, spesso giovani, che credono nell’equilibrio tra gli interessi dell’azienda e il bene comune, come la protezione del suolo, della biodiversità e della salute dei cittadini.
Ma questo ruolo di funzione pubblica è minacciato dal macigno della burocrazia. Infatti, l’83% delle aziende agricole fra quelle che – in controtendenza rispetto alla crescita complessiva – hanno deciso di lasciare negli ultimi anni il settore del biologico imputa questa decisione a eccessivi oneri burocratici e di certificazione.

Attualmente, il sistema di certificazione è delegato a organismi privati accreditati, i cui costi gravano sugli operatori e, inevitabilmente, sui consumatori. Il Manifesto presentato a Roma durante l’assemblea dei soci produttori di FederBio, in rappresentanza di ben 50.000 agricoltori biologici e biodinamici, chiede in primo luogo semplificazione burocratica, a partire dall’istituzione di un sistema unico nazionale di certificazione, con tariffe uniformi e piani di controllo standard, approvati da un’Autorità competente nazionale del settore. Un sistema di certificazione semplificato è fondamentale – inoltre – per definire il giusto prezzo.
Il logo europeo che compare sull’etichetta dei prodotti biologici certificati garantisce ai consumatori un metodo di produzione agricola o di allevamento. Tecniche e tecnologie che determinano costi di produzione che non possono essere equiparati a quelli del mercato dei prodotti convenzionali. Per questo i produttori di FederBio chiedono di istituire una Commissione Unica Nazionale per definire i prezzi a partire dai costi reali del biologico che – oltre a essere gravato oggi dalla certificazione che soprattutto nel primo anno è di alcune migliaia di euro – deve supportare il maggior carico di lavoro dovuto alla rinuncia a diserbanti, fitofarmaci e fertilizzanti chimici di sintesi.

“Bisogna definire il giusto prezzo a partire dei costi di produzione che gli agricoltori e allevatori bio devono sostenere e che sono inevitabilmente più alti rispetto al convenzionale”, afferma Maria Grazia Mammuccini, presidente di FederBio. “I produttori agricoli biologici e biodinamici portano un valore aggiunto alla società poiché producono e proteggono beni pubblici essenziali, come suolo sano, agrobiodiversità e colture senza pesticidi, garantiti dal metodo bio. Nonostante questa evidenza, c’è il rischio che il loro ruolo nella filiera agricola diminuisca, così come è già successo purtroppo nell’agricoltura convenzionale. L’obiettivo della sezione dei soci produttori è proprio quello di rafforzare il ruolo strategico dei produttori agricoli bio per il bene dell’ambiente e della comunità. A tal fine, è necessario garantire un giusto prezzo, i cui costi devono essere distribuiti equamente su tutta la filiera. Non è più possibile che, chi si prende cura del bene pubblico, paghi il prezzo di più caro in termini di mancato guadagno”.

Non c’è solo la richiesta di regole più semplici e controlli trasparenti che tutelano in primo luogo gli agricoltori bio dalle truffe, nel manifesto approvato nell’Assemblea “Il Bio a raccolta”.
Nel dibattito sul futuro della zootecnia, è emersa la richiesta di porre l’allevamento biologico e biodinamico a modello di riferimento per l’intera zootecnia italiana, in linea con le politiche europee e la transizione ecologica e sociale.
Rispondere alla sensibilità crescente dei cittadini per il rispetto e il benessere degli animali offre – secondo quanto si legge nel Manifesto – “la vera alternativa per il superamento degli allevamenti intensivi non è certo introdurre ‘carni biotecnologiche’, ma puntare a recuperare il ciclo virtuoso della relazione fra allevamento animale, produzione vegetale locale e arricchimento del suolo in sostanza organica su cui si basa l’agricoltura biologica e biodinamica”.

Il Manifesto dei produttori, presentato da Maria Letizia Gardoni, presidente di Coldiretti Bio, definisce in sostanza le priorità del settore affinché possa rappresentare, anche in futuro, uno degli asset strategici del Made in Italy. È stato realizzato sulla base di incontri tra i soci produttori di FederBio e le associazioni, che si sono confrontati su questioni cruciali, quali la necessità di sostenere il giusto prezzo per gli agricoltori, l’approccio integrato per favorire la circolarità anche per quanto riguarda l’autoproduzione dei mezzi tecnici e garanzie adeguate per quelli acquistati, la criticità del sistema di certificazione e il carico burocratico, sostenere la diffusione dell’allevamento bio come la vera alternativa per il superamento degli allevamenti intensivi. Metterli al centro dell’agenda di Governo significa permettere all’intero settore di conciliare il legittimo interesse d’impresa con la difesa del suolo, della biodiversità e della salute dei cittadini. Ma è anche una delle soluzioni più efficaci per affrontare gli effetti dei cambiamenti climatici.

BEING ORGANIC in EU
Choose the European Organic Leaf for a better world
Il progetto BEING ORGANIC in EU è una campagna di promozione proposta da FederBio in collaborazione con Naturland cofinanziata dall’Unione Europea ai sensi del regolamento UE n.1144/2014 e prevede un insieme articolato di azioni con l’obiettivo di migliorare la conoscenza, il prestigio e il consumo dei prodotti ortofrutticoli biologici verso i due paesi target: Italia e Germania.
“BEING ORGANIC in EU” mira a contribuire ad un sistema agroalimentare sostenibile a sostegno del “Green Deal Europeo” e delle strategie “Farm to Fork” e “Biodiversità 2030” per favorire un sistema alimentare etico, salutare, resiliente dal punto di vista climatico ed ecologico e a mettere in risalto le caratteristiche virtuose dell’agricoltura biologica europea, sia in termini di qualità del prodotto sia di sostenibilità, dalla produzione primaria fino al consumatore.
Per queste ragioni le iniziative messe in campo dal progetto sono del tutto in linea con gli obiettivi dell’ “European Green Deal” e le sue strategie e funzionali alla realizzazione dal “Piano d’azione europeo per lo sviluppo dell’agricoltura biologica”.

feder.bio

Orti Slow Food a scuola. Cento nuove classi avviano il proprio Orto Slow Food nelle scuole. Lo storico progetto di educazione si rinnova e, grazie al sostegno di UniCredit, si amplia. Un nuovo passo nella sfida alla povertà alimentare.

Un bambino su tre, in Europa, è sovrappeso o soffre di obesità
In Italia la percentuale è ancora più alta, al 41% tra i maschi e al 38% femmine. Il dato, che emerge dal rapporto Childhood Obesity Surveillance Initiative, pubblicato lo scorso novembre dall’Oms, colloca il nostro Paese al quarto posto a livello continentale (dietro soltanto a Cipro, Grecia e Spagna) e dimostra l’importanza di avvicinare fin da piccoli le bambine e i bambini a un’alimentazione sana ed equilibrata.

Lavorare sull’educazione alimentare
Non è il consumo eccessivo di cibo la causa dei problemi, ma la diffusione di alimenti di bassa qualità, iper-processati e scarsamente nutrienti, accattivanti ma ben lontani dall’essere sani per chi li consuma. Prodotti che, il più delle volte, sono anche a basso costo: povertà educativa (cioè la disabitudine a preoccuparsi di che cosa si mangia e la carenza di opportuni filtri educativi e culturali nelle scelte di consumo) e povertà economica (i cui dati sono in preoccupante aumento) rappresentano l’innesco ideale della povertà alimentare.

Un mix di concause che producono storture come, per l’appunto, la scelta di alimenti di scarsa qualità a basso costo, ma che favoriscono anche la genesi di un altro significativo problema: lo spreco alimentare. Due aspetti apparentemente agli antipodi, ma che condividono le stesse radici (l’approccio al cibo come bene economico, invece che come risorsa vitale) e ugualmente urgenti da affrontare.

Slow Food Italia ha quindi deciso di rinnovare il proprio trentennale impegno nell’educazione alimentare, a partire dalle scuole, con la convinzione che sia possibile cambiare abitudini se ci si lascia guidare dal gusto e dalla curiosità per il cibo. Ed è a partire da questa convinzione che nasce la volontà di rilanciare lo storico progetto nato nel 2004 e conosciuto come Orto in Condotta, che oggi si espande raggiungendo nuove scuole in tutta Italia e cambia nome, diventando Orti Slow Food a scuola.

Un rinnovamento nella forma e nella sostanza
Grazie al sostegno di UniCredit, nel 2023 il progetto coinvolge cento nuove classi in tutta Italia, portando il numero totale a più di mille: l’obiettivo è sensibilizzare gli insegnanti, gli studenti e le loro famiglie al valore del cibo come elemento cardine per la salute dell’uomo e dell’ambiente. Uno sforzo che parte dall’orto, attraversa le classi e intende arrivare fino a casa, per innescare il cambiamento nelle abitudini quotidiane.

«Oggi fare un orto è un atto fortemente poetico e gioiosamente rivoluzionario, che ci fa sperimentare l’autoproduzione e cambia il nostro modo di concepire il cibo» dichiara Barbara Nappini, presidente di Slow Food Italia. «Siamo convinti che nell’orto si possa disegnare un futuro diverso, migliore: fare un orto, infatti, significa coltivare la terra, capire il mondo, comprendere che cosa sia la biodiversità, e ci permette anche di cambiare il modo in cui concepiamo il nostro cibo quotidiano. Nelle scuole, gli orti sono aule verdi a cielo aperto, nelle quali abbiamo fatto educazione alimentare ed educazione ambientale. Siamo orgogliosi di aver coinvolto, fino a oggi, più di mille scuole e formato oltre tremila insegnanti».

«È un piacere per UniCredit essere al fianco di Slow Food Italia nella realizzazione di un progetto dal significativo impatto sociale. Temi quali l’impegno verso i giovani e l’istruzione sono al centro della nostra agenda, così come le questioni ambientali. Confermiamo così pieno sostegno verso le nostre comunità, determinati a diffondere la cultura della sostenibilità e a fornire ad individui, famiglie e imprese gli strumenti e le conoscenze necessarie per intraprendere percorsi di crescita virtuosa» dichiara Annalisa Areni, Head of Client Strategies di UniCredit. «In UniCredit crediamo che il ruolo di una banca non si limiti alla sola attività creditizia. Proprio per questo, ben consapevoli della chiara responsabilità sociale di cui siamo investiti, continueremo a lavorare attivamente alla costruzione di un futuro più equo e sostenibile».

Gli Orti Slow Food e la tutela della biodiversità
L’orto scolastico diventa così un innesco per il cambiamento, lo strumento con cui affrontare, ad esempio, il tema della conservazione della biodiversità, il primo pilastro del lavoro più che trentennale di Slow Food. Una biodiversità fatta di varietà vegetali da curare e veder crescere in campo, ma anche di organismi piccolissimi: come i lombrichi, che abitano il suolo e contribuiscono alla sua fertilità, o gli insetti pronubi, che volano di fiore in fiore trasportando il polline.

Biodiversità è anche cultura
Tradizioni, mestieri, abitudini da scoprire un passo alla volta e da cui lasciarsi affascinare.
Una biodiversità che Slow Food divulga nelle scuole con il kit del Gioco del Piacere: una selezione di due mieli (un millefiori di alta montagna alpina del Presidio Slow Food e un miele di acacia) che 2500 studentesse e studenti di 100 classi in 39 province di 16 regioni diverse possono degustare e analizzare attraverso tutti e cinque i sensi.
Un assaggio, è il caso di dirlo, del nuovo progetto degli Orti Slow Food a scuola.

Il progetto degli orti scolastici è storicamente sostenuto da Pastificio Di Martino e Irritec. Nel 2023 – grazie al sostegno di UniCredit – Slow Food ha deciso di rilanciarlo coinvolgendo 100 nuove classi in tutta Italia.
Il prossimo 11 novembre, in occasione della tradizionale giornata di festa nazionale del progetto, oltre ventimila alunni di 1200 classi in più di 330 scuole avranno l’occasione per avvicinarsi al tema dello spreco alimentare, seguendo attività finalizzate a ridurre gli atteggiamenti scorretti sia a scuola sia a casa.

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Piacere Biodiversità! In occasione della Giornata mondiale della biodiversità, che ricorre il 22 maggio, Slow Food Italia sceglie di celebrare in due modi diversi la straordinaria ricchezza del pianeta in termini di varietà di forme di vita animale e vegetale. Lo fa attraverso il gusto, come è nel dna dell’associazione da oltre 30 anni, organizzando due divertenti degustazioni.
Il Gioco del Piacere, storica iniziativa che unisce i valori del cibo buono, pulito e giusto allo spassionato appagamento dei sensi, torna infatti nel 2023 con un’edizione dedicata ai formaggi da prati stabili e pascoli e rivolta al pubblico di curiosi e appassionati, e con un’edizione dedicata ai mieli per insegnanti, alunne e alunni delle scuole dell’infanzia, primarie e secondarie.

Biodiversità: unica garanzia di resilienza, e quindi sopravvivenza per l’umanità
«Lo scorso dicembre, i rappresentanti dei Paesi riuniti nella Cop15 hanno raggiunto un accordo storico: il Global biodiversity framework è un piano ambizioso che mira a ridurre la perdita di biodiversità entro il 2030, con un approccio fondato sui diritti umani, in primo luogo il diritto a un ambiente pulito, sano e sostenibile, e include forti riferimenti al ruolo delle popolazioni indigene, all’agroecologia e alla tutela della biodiversità. Tuttavia, nonostante l’urgenza, non sarà semplice raggiungere questi obiettivi. Per questo è necessario allearci con i cittadini di tutte le età, a partire dai più piccoli, per passare dall’accordo all’azione, come recita il tema dell’edizione 2023 della Giornata mondiale della biodiversità – sottolinea Barbara Nappini, presidente di Slow Food Italia –. Per celebrare questa giornata abbiamo scelto di riportare al centro il piacere della conoscenza attraverso il gusto, puntando su due progetti centrali per Slow Food Italia in questo 2023: uno nuovissimo – per salvare prati stabili, i pascoli e i loro custodi – l’altro – gli Orti Slow Food – storico e consolidato, ma che attraversa proprio ora una fase di rilancio e apertura a nuovi fronti».

Per fare tutto, ci vuole un prato
Da tutta Italia, nelle scorse settimane, Condotte Slow Food, cuoche e cuochi aderenti all’Alleanza Slow Food, ma anche soci e singoli simpatizzanti hanno prenotato i kit di degustazione. Nella box recapitata a chi ne ha fatto richiesta, ci sono cinque tagli di formaggio da 500 grammi ciascuno, un vasetto da 250 grammi di miele millefiori di alta montagna del Presidio Slow Food e tutto il necessario per scoprire come sia possibile che quei caci siano così buoni, così sani, così diversi. Il segreto sta nella materia prima, il latte: a far la differenza è l’alimentazione degli animali, il luogo e il modo in cui sono cresciuti. L’aria che hanno respirato, il rispetto che i pastori hanno rivolto loro, i prati su cui hanno pascolato, le erbe e le infiorescenze che hanno brucato.
Nel kit del Gioco del Piacere, solo uno dei cinque caci non proviene da prato stabile e scoprirlo farà parte del gioco. Venerdì 19 maggio alle 18.30, in diretta Zoom, gli oltre mille fortunati che hanno acquistato il kit saranno guidati in una gustosa degustazione alla scoperta dell’intruso e, soprattutto, del valore della biodiversità dei prati.

Il progetto Salviamo i prati stabili è stato avviato grazie al sostegno di Eataly e del Consorzio del Parmigiano Reggiano Dop per combattere il fenomeno che ha portato, negli ultimi anni, alla perdita di buona parte di questi ecosistemi fragili ma fondamentali, sia in pianura, sia in montagna, dove abbiamo già perso, negli ultimi 50 anni, il 45% dei pascoli. Promuovere la tutela e la diffusione di questi prati ricchissimi di biodiversità significa mettere in discussione il modello di zootecnia intensivo dominante: riportare gli animali fuori dalle stalle migliorando il loro benessere; arginare l’avanzata delle monocolture che devastano i paesaggi di pianura per produrre mangimi, dire stop alla cementificazione selvaggia; sostenere la rinascita delle terre alte e difenderle dai rischi (slavine, incendi, dissesti idrogeologici) dovuti all’abbandono; contribuire in maniera importante all’assorbimento di Co2 e quindi contrastare la crisi climatica.

A scuola di biodiversità
Il 22 maggio, 100 classi delle scuole dell’infanzia, primaria e secondaria di primo grado celebreranno la Giornata mondiale della biodiversità con un assaggio delle attività di educazione alimentare ideate nell’ambito del progetto Orti Slow Food. In tutta Italia, 2500 tra studentesse e studenti riceveranno un kit contenente una selezione di due mieli – un millefiori di alta montagna alpina del Presidio Slow Food e un miele di acacia – e i materiali utili a guidare la degustazione con descrittori specifici per ognuno dei cinque sensi.
Per Slow Food, le attività di educazione con i bambini e la formazione permanente in età adulta sono un elemento essenziale: per accrescere la consapevolezza sui sistemi alimentari e le politiche del cibo, e permettere così di compiere scelte giuste in favore della biodiversità, di un cibo buono per l’ambiente, per chi lo produce, per il nostro palato e la nostra salute.
Il progetto, storicamente sostenuto da Pastificio Di Martino e Irritec, in oltre 20 anni ha coinvolto più di 1000 scuole e formato oltre 3000 insegnanti. Nel 2023 – grazie al sostegno di UniCredit – Slow Food ha deciso di rilanciarlo coinvolgendo 100 nuove classi in tutta Italia, per un totale complessivo di oltre 330 classi e circa 8 mila studenti impegnati a fare l’Orto Slow Food durante l’anno scolastico.
Il Gioco del Piacere del 22 maggio coinvolge circa 2500 studentesse e studenti di 24 scuole dell’infanzia, 50 primarie e 26 secondarie in 39 province da 16 regioni diverse, in prevalenza Sud Italia e isole, che hanno richiesto di partecipare all’iniziativa nelle scorse settimane.

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Rifiuti elettronici miniera di terre rare. Parte la campagna di crowdfunding di RARE, il progetto di un gruppo di ricercatori di Milano-Bicocca che dà nuova vita ai rifiuti elettrici ed elettronici.

Dalle batterie per le auto ibride alla fibra ottica, dai computer agli smartphone, tutto funziona grazie all’impiego di metalli che rientrano tra le terre rare, una classe di elementi chimici utilizzati nei dispositivi elettronici, veicoli elettrici, pale eoliche e molto altro ancora, la cui estrazione dai minerali richiede un processo costoso e inquinante.
La possibilità di reperirli a costi più bassi rispetto a quelli attuali e contenendo l’impatto sull’ambiente è una sfida decisiva per l’Europa, dipendente in gran parte dalle importazioni di queste materie.
E lo è ancor di più nell’ottica della transizione ecologica.
A raccogliere questa sfida è un gruppo di giovani ricercatori dell’Università di Milano-Bicocca. Il sistema messo a punto impiega due tipologie di rifiuto: grazie alle nanotecnologie, le terre rare vengono “estratte” da apparecchi elettronici in disuso utilizzando un dispositivo realizzato con materiale poroso partendo dagli scarti dell’industria chimica e dell’acciaio.

Il progetto RARE ha partecipato alla quinta call Bicocca Università del Crowdfunding, il programma di finanza alternativa dell’Ateneo che promuove lo sviluppo di progetti innovativi e idee imprenditoriali e ha incassato il sostegno di EIT RawMaterials, consorzio europeo che si occupa delle materie prime non fossili a supporto della transizione energetica che da quest’anno è partner di #BiUniCrowd.
E’ partita la raccolta fondi su Produzioni dal Basso, prima piattaforma italiana di crowdfunding e social innovation.
È la prima delle tre campagne previste per questa edizione di Bicocca Università del Crowdfunding.
RARE avrà sessanta giorni di tempo per raccogliere cinquemila euro, ma già tagliato il traguardo del 50% dell’obiettivo scatterà il contributo dell’azienda partner che coprirà la restante parte della somma.

Il team RARE è formato da Lorenzo Viganò e Daniele Montini, dottorandi in Scienza e Nanotecnologia dei Materiali, e si avvale dell’esperienza, sia nell’ambito applicativo che in quello divulgativo, di Barbara Di Credico, professore associato di fondamenti chimici delle tecnologie nel dipartimento di Scienza dei Materiali.
Della comunicazione si occupa Jessica Bosisio, dottoranda in Economia e Management dell’Innovazione e della Sostenibilità presso l’Università di Parma.
I ricercatori hanno preso parte alle attività di team building che Bicocca Università del Crowdfunding realizza in collaborazione con l’associazione Street Is Culture.
Ne è nato anche un jingle che accompagnerà la campagna di raccolta fondi.

«Attualmente – spiegano i membri del teami componenti dei dispositivi elettronici sono riutilizzati solo in minima parte. Si riciclano materiali come il rame, l’alluminio e il ferro ma pochi riescono a riciclare le terre rare. Recuperare scarti industriali per creare le nuove materie prime adatte alla cattura di questi elementi chimici permetterebbe di abbattere i costi che comportano gli altri metodi di recupero. In questo modo, inoltre, si promuove un’idea di economia circolare dove i rifiuti non vengono eliminati, ma si cerca di dar loro una seconda vita. Noi vogliamo sviluppare un dispositivo sostenibile e attento all’ambiente, in grado di recuperare le terre rare dei rifiuti elettronici. Attraverso specifici trattamenti di questi rifiuti, gli ioni delle terre rare possono essere trasferiti in acqua e successivamente catturate dal nostro dispositivo. Ulteriori trattamenti permetteranno di recuperare le terre rare e, idealmente, renderle riutilizzabili per la produzione di nuovi dispositivi elettronici e tecnologie».

«L’invasione Russa dell’Ucraina – osserva Fabio Pegorin, Business Development Manager di EIT RawMaterials – ha ulteriormente messo in risalto l’importanza per l’Unione Europea di riuscire a rafforzare le filiere locali per un approvvigionamento stabile e sostenibile di metalli e minerali necessari per la transizione energetica.
È imperativo quindi, non solo sostenere progetti che mirano all’estrazione mineraria sostenibile di questi materiali strategici ma anche incentivare nuovi approcci e tecnologie come quelli proposto dal progetto RARE che mirano ad estrarre gli stessi da prodotti che li contengono e che hanno raggiunto il fine vita, tutto questo in un’ottica di economia circolare».

È possibile sostenere il progetto RARE anche con un piccolo contributo collegandosi alla pagina dedicata sulla piattaforma di Produzioni dal Basso. Per ogni donazione è prevista una ricompensa secondo il sistema delle campagne di reward based crowdfunding che da sempre caratterizza #BiUniCrowd.

www.produzionidalbasso.com

progetto RARE

Censis Territorio e Reti nel 56mo Rapporto sulla situazione sociale del Paese/2022. La transizione ecologica nei territori calcolata con il Green&Blue Index.

Il punteggio dell’indice Green&Blue permette la comparazione di ogni provincia italiana con un benchmark rappresentato dalla «provincia ideale» alla quale è attribuito un punteggio pari a 100.
La città metropolitana più avanti nella transizione ecologica è Firenze (punteggio pari a 80,1). Seguono Bologna (78,9) e Torino (78,5). A distanza dalle altre città metropolitane, Napoli (69,5). Tra le province con più di 500.000 abitanti Bolzano ottiene il punteggio più alto, poi Trento (80,1) e Brescia (78,9). Chiude la provincia di Cosenza (74,1).
Tra le province tra 300.000 e 500.000 abitanti, sono Pordenone (80,0), Parma (79,4) e Potenza (79,2) a ottenere i punteggi più elevati. Tra le province con meno di 300.000 abitanti, è La Spezia a ottenere il punteggio più alto, seguita da Nuoro.

Made in Italy: una certezza anche in periodi di crisi
L’export di quattro settori del made in Italy (abbigliamento e moda, alimentari e bevande, arredo casa e automazione-meccanica) vale 288 miliardi di euro, quasi il 60% del totale dell’export.
La punta di eccellenza è rappresentata dai materiali da costruzione in terracotta italiani (distretti di Sassuolo e Scandiano, Imola e Faenza, Impruneta, Vietri), che coprono oltre il 24% di tutto l’export mondiale del prodotto.
I prodotti in pelle (che comprendono le scarpe e gli accessori dell’alta moda) e le bevande rappresentano circa il 10% di tutto l’export mondiale nei rispettivi settori.
Rispetto al 2019, sono i prodotti farmaceutici e chimici a registrare un aumento consistente nelle esportazioni in molte regioni italiane.
In molte delle regioni italiane sono sensibilmente aumentate anche le esportazioni dei prodotti in metallo, di mezzi di trasporto e dei prodotti chimici, in particolare in Liguria, Lazio, Sardegna e Friuli Venezia Giulia.

Sostenere la crescita per contrastare la povertà energetica
Nel 2021 il 6,5% delle famiglie italiane era in ritardo con il pagamento delle bollette (dato in linea con la media europea). Ancora più numerosi sono coloro che affermano di non riuscire a riscaldare adeguatamente la propria abitazione: l’8,1% delle famiglie, un dato superiore di 1,2 punti percentuali al dato europeo. La pandemia non ha modificato il quadro geografico della povertà energetica, che persiste in particolare nei Paesi del sud-est del continente: in Grecia, Bulgaria e Croazia la percentuale di chi è in arretrato con il pagamento delle bollette è superiore al 9% e rimane fra le più alte anche quella di quanti non riescono a riscaldare la propria casa.
In tutti i Paesi dell’Unione, la fascia di popolazione maggiormente colpita è quella con bassi livelli di reddito e in particolare dei single con figli a carico.

La terra del vino
La dimensione territoriale e la qualità della produzione. In Italia la superficie destinata alla coltivazione di uva da vino è di 661.000 ettari, il 97% della quale ha fornito nell’ultimo anno 68,7 milioni di quintali di prodotto. Tra il 2020 e il 2021 si è assistito a una riduzione del 3% della superficie coltivata e del 5% della produzione totale. Se si raffronta la superficie dell’Italia con quella coltivata a uva da vino, quest’ultima è pari al 2,2% del totale e coprirebbe un territorio grande più della Liguria e poco meno del Friuli.
La Sicilia è la regione italiana a maggiore estensione della coltivazione (103.000 ettari), seguita dal Veneto (95.000 ettari) e dalla Puglia (88.000 ettari). Le due regioni meridionali rappresentano da sole circa il 30% di tutta la superficie coltivata a uva da vino in Italia, e in entrambi i casi la copertura del loro territorio a coltivazione di uva da vino supera il 4%.
Il Veneto, con una quota sul totale nazionale pari al 14,4%, è la regione con la più alta incidenza di terreni coltivati a uva da vino.
La ricchezza e la varietà dei territori regionali assicura una produzione totale di vino che nel 2021 si è attestata poco sotto i 49 milioni di ettolitri, con una riduzione rispetto al 2020 del 6,2%.
Un terzo circa della produzione ha riguardato il vino da tavola, poco sotto la soglia dei 20 milioni di ettolitri è la quantità di vino a denominazione di origine protetta, mentre è vicina ai 12 milioni quella relativa ai vini a indicazione geografica protetta.

Il Pnrr e i tempi delle opere pubbliche
Nel Mezzogiorno sono necessari mediamente 3,5 anni per realizzare un’opera pubblica, un anno in più rispetto al resto del Paese.
A livello nazionale servono 18 mesi dalla progettazione, nelle sue varie fasi, alla pubblicazione del bando o dell’avviso di gara: un arco di tempo superiore a quello che serve per l’affidamento e poi l’esecuzione dell’opera (15 mesi).
Il Pnrr ha previsto che entro il 2024 dovrebbe ridursi di almeno il 15% il tempo dell’esecuzione dei lavori, corrispondente a circa un mese, e a meno di 100 giorni (per i contratti superiori alle soglie di cui alle direttive Ue sugli appalti) il tempo medio tra la pubblicazione del bando e l’aggiudicazione dell’appalto, corrispondente a poco più di 3 mesi.
Tuttavia, poiché i tempi lunghi sono dovuti ai passaggi burocratici, è necessario aumentare l’efficienza delle stazioni appaltanti.
Le amministrazioni locali e regionali hanno avviato il 67% delle procedure, una percentuale che arriva all’80% in Calabria e Sardegna.

Il Censis, Centro Studi Investimenti Sociali, è un istituto di ricerca socio-economica fondato nel 1964. A partire dal 1973 è diventato una Fondazione riconosciuta con Dpr n. 712 dell’11 ottobre 1973.
Il Censis svolge da oltre cinquant’anni una costante e articolata attività di ricerca, consulenza e assistenza tecnica in campo socio-economico.
Tale attività si è sviluppata nel corso degli anni attraverso la realizzazione di studi sul sociale, l’economia e l’evoluzione territoriale, programmi d’intervento e iniziative culturali nei settori vitali della realtà sociale: la formazione, il lavoro e la rappresentanza, il welfare e la sanità, il territorio e le reti, i soggetti economici, i media e la comunicazione, il governo pubblico, la sicurezza e la cittadinanza.
Il lavoro di ricerca viene svolto prevalentemente attraverso incarichi da parte di ministeri, amministrazioni regionali, comunali, camere di commercio, associazioni imprenditoriali e professionali, istituti di credito, aziende private, gestori di reti, organismi internazionali, nonché nell’ambito dei programmi dell’Unione europea.
L’annuale «Rapporto sulla situazione sociale del Paese», redatto dal Censis sin dal 1967, viene considerato il più qualificato e completo strumento di interpretazione della realtà italiana.

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