Foreste al macello. Rapporto Greenpeace: importiamo carne responsabile della distruzione dell’Amazzonia. In occasione della Giornata mondiale dell’ambiente, Greenpeace lancia il rapporto “Foreste al macello II”, che svela il legame nascosto tra deforestazione e produzione di carne, denunciando quanto accade nell’Amazzonia brasiliana.
Il rapporto di Greenpeace esamina le attività dell’azienda agricola Paredão – insediatasi all’interno del parco statale Ricardo Franco, nel Mato Grosso, quando era già stata istituita l’area protetta – accusata di spostare i capi allevati fuori dal parco prima di venderli, in modo da nascondere il legame con le aree deforestate illegalmente.
“La catena di approvvigionamento che porta la carne brasiliana sul mercato europeo è contaminata da attività illegali: sulle nostre tavole arrivano prodotti responsabili della distruzione di ecosistemi di grande importanza per la salute del Pianeta” afferma Martina Borghi, campagna foreste di Greenpeace Italia. “Sfortunatamente, ciò che accade nel parco Ricardo Franco non è un caso isolato: situazioni simili sono comuni in molte aree dell’Amazzonia brasiliana. Impossibile al momento per chi acquista capi o carne da questa terra garantire una filiera priva di deforestazione e accaparramento delle terre”.
Il parco statale Ricardo Franco, istituito nel 1997, copre un’area di 158 mila ettari (una superficie superiore all’estensione della città di Roma) e si trova al confine tra il Brasile (stato del Mato Grosso) e la Bolivia, dove si incontrano l’Amazzonia, il Cerrado, la savana più ricca di biodiversità del Pianeta e il Pantanal, la più grande zona umida del mondo. Si tratta quindi di un’area che ospita una biodiversità eccezionale che include 472 specie di uccelli e numerosi mammiferi in via di estinzione, come il formichiere gigante.
Nonostante la sua importanza, il parco non è mai stato adeguatamente protetto e nel corso degli anni il 71 per cento della sua estensione è stato occupato da 137 aziende agricole, che hanno creato pascoli a scapito della foresta. Secondo le indagini di Greenpeace, tra aprile 2018 e giugno 2019, l’azienda Paredão ha venduto quattromila capi all’azienda Barra Mansa, che si trova fuori dai confini del Parco. Barra Mansa rifornisce le principali aziende di lavorazione della carne del Brasile: JBS, Minerva e Marfrig, che a loro volta esportano in tutto il mondo, Italia inclusa.
Nel nostro paese, tra aprile 2018 e giugno 2019, sono arrivate così oltre duemila tonnellate di carne, destinate a grossisti che riforniscono la ristorazione e la grande distribuzione.
I consumi nell’Unione europea sono legati al 10 per cento della deforestazione globale, che avviene prevalentemente al di fuori dei confini comunitari. Per garantire che i cittadini europei non siano complici inconsapevoli della distruzione di foreste fondamentali per il Pianeta, come l’Amazzonia, Greenpeace chiede alla Commissione europea di presentare rapidamente una normativa che garantisca che carne e altri prodotti, come la soia, l’olio di palma e il cacao, venduti sul mercato europeo, soddisfino rigorosi criteri di sostenibilità e non siano legati alla distruzione o al degrado degli ecosistemi naturali e alle violazioni dei diritti umani.
Secondo l’Istituto brasiliano di ricerche spaziali (INPE), nel 2019 la deforestazione in Amazzonia è aumentata del 30 per cento rispetto all’anno precedente, colpendo il 55 per cento delle unità di conservazione (aree protette come il parco Ricardo Franco) e il 62 per cento delle terre indigene. Quest’anno la situazione sembra destinata a peggiorare: tra gennaio e aprile gli allarmi deforestazione sono aumentati del 62 per cento e all’interno delle unità di conservazione questo aumento ha già raggiunto il 167 per cento rispetto allo stesso periodo dell’anno scorso.
“Se vogliamo combattere la crisi climatica in corso, proteggere la biodiversità, rispettare i diritti umani ed evitare l’emergere di nuove pandemie, dobbiamo fermare la deforestazione, iniziando a produrre e consumare meno carne. Il primo passo per multinazionali e governi dev’essere l’impegno a interrompere le relazioni commerciali con chi distrugge biomi essenziali per le persone e il Pianeta” conclude Borghi.
La chimica che inquina l’acqua. Legambiente denuncia l’inquinamento chimico delle acque in Italia e chiede ai cittadini di segnalare gli scarichi sospetti e le situazioni a rischio. Il 60% dei fiumi e dei laghi nazionali non sono in buono stato.
Per anni utilizzati come discariche dove smaltire i reflui delle lavorazioni industriali, i nostri fiumi, laghi, acque marino-costiere e falde sotterranee sono stati contaminati da scarichi inquinanti: ma oggi, alle minacce di ieri se ne aggiungono di diverse e non meno insidiose. Dai pesticidi agli antibiotici, dalle microplastiche fino alle creme solari, molte sostanze e composti chimici di quotidiano utilizzo inquinano i corpi idrici.
Il dossier di Legambiente H₂O – la chimica che inquina l’acqua fa il punto sulle sostanze inquinanti immesse nei corpi idrici, con numeri, dati e raccogliendo 46 storie di ordinaria follia sull’inquinamento industriale delle acque in Italia.
Nella Penisola circa il 60% dei fiumi e dei laghi non è in buono stato e molti di quelli che lo sono non vengono protetti adeguatamente.
Su dati del registro E-PRTR (European Pollutant Release and Transfer Register), Legambiente calcola che dal 2007 al 2017 gli impianti industriali abbiano immesso, secondo le dichiarazioni fornite dalle stesse aziende, ben 5.622 tonnellate di sostanze chimiche nei corpi idrici. Comunicato stampa
Segnalaci gli scarichi inquinanti
Legambiente invita tutti i cittadini a denunciare eventuali casi d’inquinamento scrivendo e mandando il materiale alla mail onal@legambiente.it dell’Osservatorio nazionale ambiente e legalità dell’associazione.
Occorrerà indicare il luogo, la data e l’ora dell’avvistamento di chiazze, schiuma o liquami sospetti, accompagnati da foto e/o video per consentire una prima valutazione dei casi e procedere a un eventuale esposto da parte di Legambiente, che si avvarrà della rete legale dei sui Centri di azione giuridica.
Sarà inoltre presto online il form per le segnalazioni “SOS Goletta” che accompagnerà le campagne estive di Legambiente Goletta Verde e Goletta dei laghi.
EU Recovery Package should earmark euro 90 billion public funding annually towards building renovation for EU-27, new analysis shows. BPIE, The Buildings Performance Institute Europe has published an analysis of the economic opportunity for Europe’s building sector, which could help mitigate economic damage of the COVID-19 pandemic.
The findings show that the total amount of public funding required to trigger a significant scaling up of the renovation rate and depth would add up to €90 billion annually until 2050, with €76 billion annually allocated in support of building renovation, and an additional €14 billion/a should be provided in an innovation fund to scale up serial renovation of buildings on an industrial scale. The total investment opportunity for deep renovation of Europe’s buildings is estimated at €243 billion per year.
A clear picture of the financial requirements for Europe’s building sector is of high political relevance: The European Commission is currently putting together a plan to help the EU economy recover from the COVID-19 crisis, preparing to put at least €1 trillion into a broad stimulus programme expected to be presented next week. In addition, the “Renovation Wave” strategy for buildings, proposed by EU Commissioner for Energy, Kadri Simson, has been deemed a priority for economic recovery and will be released this September.
Oliver Rapf, Executive Director at BPIE says, “The scale of the investment opportunity is enormous, and while large figures for the economic recovery are currently featuring high in the political debate, we are presenting an updated analysis what investment is needed to deeply renovate Europe’s buildings. As Europe is discussing the scale of an unparalleled recovery programme to mitigate the damage of the Covid-19 pandemic, it has become clear that renovation of the European building stock would create a triple benefit. It would lead to an increase in economic activity, retaining and creating employment; it would support the achievement of Europe’s climate and energy targets, and it would provide Europeans with better and healthier buildings.”
BPIE has contributed early on to the debate surrounding the EU Green Deal, having published an Action Plan for the Renovation Wave last April. While the buildings sector offers enormous potential in terms of CO2 savings, it also represents a significant investment opportunity in the EU 27, estimated at €243 billion per year until 2050. Of this amount, €179 billion/a is required for residential buildings, and €64 billion/a for non-residential buildings renovation.
About BPIE
The Buildings Performance Institute Europe (BPIE) is Europe’s leading centre of expertise on decarbonising the built environment, providing independent analysis, knowledge dissemination and evidence-based policy advice and implementation support to decision-makers in the public, private, and nonprofit sectors.
Founded in 2010, BPIE combines expertise on energy efficiency, renewable energy technologies, and health and indoor environment with a deep understanding of EU policies and processes.
A not-for-profit think-tank based in Brussels and Berlin, our mission is to make an affordable, carbon-neutral built environment a reality in Europe and globally.
– BYinnovation is Media Partner of BPIE
Giornata mondiale delle api: CONAPI sostiene con BeeLife una PAC per gli impollinatori. Istituita dall’ONU nel 2018, il 20 maggio di ogni anno ricorre la Giornata Mondiale delle Api, un’occasione per far conoscere questa specie protetta e il ruolo che svolge per il benessere del nostro pianeta.
Il Consorzio Nazionale Apicoltori appoggia il progetto di BeeLife Coordinamento Apistico Europeo nella proposta di misure chiave nell’ambito della nuova PAC per contribuire alla salvaguardia degli impollinatori in Europa
Tra le iniziative promosse dalla Cooperativa, con l’obiettivo di sollecitare le autorità ad adottare una politica più responsabile, il lancio della campagna social di sensibilizzazione #BeeLifeBeeGreen, e un fitto programma di webinar edutainment svolti in collaborazione con il Centro Agricoltura Ambiente
La Politica Agricola Comune (PAC) rappresenta circa il 40% del bilancio complessivo dell’Unione Europea e, solo nel 2018, l’Ue ha fornito sostegni agli agricoltori per oltre 58 miliardi di euro. La PAC è una delle politiche cruciali dell’Ue, con un impatto diretto sull’economia e sulla sicurezza alimentare. Il modello attuale può essere migliorato facendo fronte agli impatti negativi dell’agricoltura sull’ambiente e sugli impollinatori e riqualificando gli investimenti pubblici al fine di migliorare e non deteriorare ulteriormente le condizioni ambientali.
BeeLife Coordinamento Apistico Europeo propone misure chiave nell’ambito della nuova PAC con l’obiettivo di contribuire alla salvaguardia degli impollinatori. Questi ultimi, possono divenire alleati determinanti per tutto il settore agricolo e contribuire a verificare e misurare l’impatto ambientale delle scelte politiche.
Conapi, Consorzio Nazionale Apicoltori con oltre 600 soci apicoltori professionisti e 100 mila alveari, nella Giornata Mondiale delle Api appoggia e promuove le proposte di BeeLife affinché le Politiche Agricole Comunitarie considerino le api come indicatore di sostenibilità dell’agricoltura, capaci di dare informazioni importanti, poiché veri e propri termometri dello stato di salute dell’ambiente e dell’agricoltura, in grado di testare concretamente se un territorio è pulito.
È importante che nella stesura delle Politiche Agricole della Comunità Europea siano inseriti elementi concreti per la riduzione sistematica dell’uso di pesticidi, con accertamenti sui residui chimici e sulla biodiversità botanica nelle matrici di alveari e favorendo metodi naturali di miglioramento della fertilità del suolo e di controllo dei parassiti. Per raggiungere quest’obiettivo, tra le tante azioni necessarie e possibili riteniamo che un passo fondamentale sia anche favorire la cooperazione intersettoriale delle comunità agricole: agricoltori e apicoltori insieme per raggiungere un importante obiettivo comune.
In occasione della Giornata mondiale delle Api, Conapi ha quindi attivato la campagna social #BeeLifeBeeGreen con la partecipazione di Gianumberto Accinelli, entomologo e scrittore, e Anna Ganapini, apicoltrice biologica, socia Conapi e consigliere BeeLife, per diffondere i concetti base delle richieste che BeeLife ha portato presso le Istituzioni Europee, chiedendo di condividere queste proposte per una #AgricolturaFiorita.
Inoltre, saranno attivate le prime Conferenze on line dirette al pubblico per dare indicazioni sui migliori metodi per allestire giardini e orti accoglienti per gli impollinatori, utilizzando sistemi di manutenzione e di disinfestazione da parassiti non dannosi per le api. Le conferenze, tenute dal Centro Agricoltura Ambiente, rientrano nel progetto Verde Urbano che, insieme a Api e Orti Urbani, rappresentano alcuni dei progetti promossi dalla Cooperativa, rivolti al pubblico, che hanno riscosso grande successo aumentando la consapevolezza del ruolo di questi insetti.
Le dirette streaming si svolgeranno domani sulla pagina Facebook CONAPI alle ore 17,00 e alle 19,00 e saranno disponibili anche successivamente.
CONAPI
Conapi, Consorzio Nazionale Apicoltori, rappresenta la più importante cooperativa di apicoltori in Italia e una delle più importanti nel mondo, di cui Mielizia è lo storico brand che rappresenta un modello completo di “filiera del miele”: dalla scelta dei territori, alla produzione in apiario, fino al confezionamento e alla commercializzazione del prodotto finito. Sono oltre 600 gli apicoltori e circa 100.000 gli alveari in tutta Italia, dal Piemonte alla Sicilia, da cui provengono mediamente oltre 2.600 tonnellate di miele. Conapi, che riunisce apicoltori biologici e convenzionali, è il primo produttore di miele biologico in Italia.
BEELIFE
Coordinamento Apistico Europeo è l’associazione internazionale che riunisce associazioni apistiche di diversi Paesi della Ue. Sua mission è la tutela e salvaguardia di api, impollinatori e biodiversità; le api infatti sono l’odierno “canarino nelle miniere, che lancia l’allarme se qualcosa non va nell’ambiente”. BeeLife è membro di Save the Bees Coalition, di Bee Partnership ed è partner del progetto finanziato dall’Europa, Internet of Bees).
Partner Barometro Procurement, Logistica, Supply Chain. Si è tenuto il 14 maggio il webinar organizzato da BYinnovation Sustainable Business Development con ADACI Associazione Italiana Acquisti & Supply Management, inizialmente progettato come convegno nel contesto della Fiera Green Logistics Expo, rimandata per i motivi sanitari.
(altro…)
RAEE oltre 343.000 tonnellate. Il 12° Rapporto Annuale 2019 del Centro di Coordinamento RAEE evidenzia che nel nostro Paese sono state avviate a corretto smaltimento 343.069 tonnellate di Rifiuti da Apparecchiature Elettriche ed Elettroniche, registrando una crescita del 10,45%. La Valle d’Aosta si conferma la regione più virtuosa d’Italia per raccolta pro capite, quasi doppia rispetto a quella nazionale, mentre la Toscana spicca tra le regioni del Centro. La Campania è la migliore per quantità assolute raccolte del Sud Italia, ma ha la maglia nera per raccolta pro capite
Sono oltre 343mila le tonnellate di Rifiuti da Apparecchiature Elettriche ed Elettroniche (RAEE) raccolte in Italia nel 2019.
È quanto emerge dall’analisi dei dati resi noti dal Centro di Coordinamento RAEE, l’organismo centrale che organizza l’attività di tutti i Sistemi Collettivi dei produttori di apparecchiature elettriche ed elettroniche che si occupano della gestione dei RAEE in Italia, e che rappresenta il punto di riferimento per tutta la filiera dei RAEE domestici. Si tratta di un risultato estremamente positivo, in crescita di oltre il 10% rispetto al 2018, che conferma e migliora ulteriormente il trend degli ultimi anni.
I dati più importanti della raccolta RAEE 2019 sono stati presentati nel Rapporto Annuale 2019 che raccoglie e sintetizza i risultati della raccolta conseguiti dai singoli Sistemi Collettivi, ed è pertanto l’unico report in grado di fotografare l’andamento della raccolta di RAEE domestici nella sua totalità a livello nazionale.
Quest’anno il Rapporto Annuale viene proposto in una veste totalmente nuova, ripensato nei contenuti e nella grafica, realizzata da Accent On Design di Milano. Oltre a fornire i risultati più significativi della raccolta a livello nazionale e regionale, il rapporto di quest’anno si propone come strumento informativo a tutto tondo grazie all’inserimento del vocabolario dei RAEE e dello schema di funzionamento dell’intero sistema, dal cittadino ai Sistemi Collettivi.
Per conoscere invece in maniera dettagliata lo stato della raccolta dei RAEE domestici in Italia, il CdC RAEE mette a disposizione un nuovo servizio online, il sito raeeitalia.it, concepito per presentare i dati attuali e storici. La neonata piattaforma web è stata sviluppata integrando il tool Pingendo, strumento per il design e l’aggiornamento di siti web moderni ed affidabili, con Google Data Studio, lo strumento di Data Visualization che permette di realizzare report interattivi ed accessibili da chiunque, su ogni dispositivo.
“Siamo molto soddisfatti dei risultati raggiunti dal sistema RAEE nel 2019, grazie all’impegno dei Sistemi Collettivi e di tutti i gestori della raccolta, siano essi Comuni, aziende della gestione rifiuti piuttosto che distributori e installatori di apparecchiature elettriche e elettroniche” commenta Bruno Rebolini, neo presidente del Centro di Coordinamento RAEE. “Si tratta di un risultato molto positivo che conferma e consolida ancora una volta il trend evidenziatosi negli ultimi anni. Il sistema di gestione dei RAEE promosso dai produttori di apparecchiature elettriche ed elettroniche ha migliorato livelli di servizio e di efficienza già particolarmente virtuosi su tutto il territorio nazionale, a conferma che il sistema multi-consortile italiano è un modello di riferimento a livello europeo. Al tempo stesso i produttori di AEE attraverso i sistemi collettivi hanno ulteriormente incrementato i finanziamenti a disposizione dei soggetti che effettuano la raccolta, che tra premi di efficienza, fondo per lo sviluppo delle infrastrutture di raccolta e finanziamenti per la comunicazione locale e nazionale, ammontano a oltre 22 milioni di euro”.
Dati nazionali raccolta RAEE 2019
Nel 2019 i Sistemi Collettivi hanno raccolto complessivamente 343.069 tonnellate di RAEE sull’intero territorio nazionale, quasi 32.460 tonnellate in più rispetto al 2018, valore che corrisponde a un incremento del 10,45% rispetto al 2019, in assoluto la crescita migliore dal 2014. Migliora anche la raccolta media pro capite che si attesa a 5,68 kg per abitante (+10,68%).
Si amplia anche la rete infrastrutturale attiva sul territorio nazionale che comprende 4.367 centri di raccolta comunali, con un ulteriore miglioramento del servizio a disposizione di cittadini e consumatori per il corretto conferimento dei RAEE.
Nel corso del 2019 i Sistemi Collettivi hanno gestito 194.734 ritiri di RAEE sull’intero territorio nazionale, l’8,55% in più rispetto all’anno precedente, corrispondente a una media di 16.288 movimenti mensili.
Le missioni di freddo e clima (R1) e grandi bianchi (R2) hanno registrato un forte incremento rispetto all’anno precedente (+9,42% e +11,07%), ma se guardiamo la crescita del carico medio, quella di R2 è stata superiore all’1,80%, quella di R1 si è fermata al +1,51%. Quest’ultimo raggruppamento ha ancora margini di miglioramento, considerando che la possibilità di ottimizzare i carichi è analoga per la somiglianza delle apparecchiature che li compongono. Particolarmente significativo è l’incremento del carico medio di R4 (+4,17%), direttamente legato alla importante crescita della raccolta di Consumer Electronics e piccoli elettrodomestici.
Il costante efficientamento della movimentazione dei RAEE è andato di pari passo con un tasso di puntualità sempre elevato con valori costantemente superiori al 99%.
Questi risultati sono l’esito della costante attività di sensibilizzazione e promozione della cultura della raccolta dei RAEE, impegno che per due anni dal 2018 ha visto coinvolto in prima persona il Centro di Coordinamento RAEE, promotore della prima campagna di comunicazione nazionale sull’argomento. A questo aspetto si affiancano gli effetti positivi degli Accordi di Programma che coinvolgono, oltre al Centro di Coordinamento RAEE, i produttori di apparecchiature elettriche ed elettroniche, i Comuni, i gestori della raccolta dei rifiuti e i distributori.
Affinché il percorso virtuoso imboccato e consolidato negli anni dal nostro Paese prosegua per conseguire gli obiettivi di raccolta sempre più sfidanti a livello europeo, va ribadita ancora una volta la necessità di rendere urgente e prioritaria l’azione di contrasto alla dispersione e al commercio illegale dei RAEE.
La classifica dei cinque raggruppamenti
Nel 2019 tutti i cinque raggruppamenti nei quali sono suddivisi i RAEE secondo le diverse esigenze di trattamento e riciclo, hanno registrato un incremento: il più significativo, pari al +15,28%, spetta all’elettronica di consumo e ai piccoli elettrodomestici (R4) il cui peso si attesta a 72.609 tonnellate. Si conferma pertanto l’ottimo trend avviato lo scorso anno, indubbiamente favorito anche dalla campagna di comunicazione promossa dal CdC RAEE negli ultimi due anni.
Molto positivo, e pari a al +13,12%, l’incremento dei grandi bianchi (R2) che si confermano la tipologia di apparecchiature a fine vita più raccolte con 115.109 tonnellate, arrivando a rappresentare oltre un terzo della raccolta assoluta. Crescono a doppia cifra (+11,06%) anche freddo e clima (R1) per un totale di 93.432 tonnellate, mentre Tv e monitor (R3) raggiungono quota 59.853 tonnellate (+0,12%). Le sorgenti luminose (R5), infine, superano per la prima volta quota 2.000 tonnellate, confermando seppur a ritmi più contenuti rispetto all’anno precedente (+5,36%) la crescita iniziata nel 2018.
La raccolta geografica
In linea con quanto già emerso negli anni precedenti, anche dal Rapporto Annuale 2019 emerge che l’andamento della raccolta è stato positivo in quasi tutto il Paese. Nord, Centro, Sud e Isole rafforzano ulteriormente i quantitativi di raccolta complessiva rispetto al 2018, seppur con trend differenti anche ampi, tra le diverse aree territoriali. In particolare, il gap dell’area Sud e Isole con il resto d’Italia rimane evidente e riconferma il fatto che, nonostante sia in crescita, la raccolta in queste regioni dovrà procedere a ritmi più sostenuti nel prossimo futuro.
Una situazione similare si osserva nella raccolta pro capite, in crescita in quasi tutto il Paese.
Nelle regioni del Nord la raccolta complessiva cresce dell’8,77% rispetto al 2018 per un totale di poco più di 186.000 tonnellate, con una media pro capite che arriva a 7,40 kg per abitante, ben al di sopra della media nazionale. In termini di raccolta assoluta le regioni registrano un trend positivo, ad eccezione della Valle d’Aosta che segna un calo (-2,28%), pur non intaccando il suo primato nazionale in termini di raccolta pro capite (10,30 kg/ab). Spicca, al contrario l’incremento della raccolta in Liguria che anche nel 2018 è a doppio digit (+14,45%).
Tra le migliori del Paese, anche le raccolte pro capite dell’Emilia Romagna e della Liguria, rispettivamente con 8,08 kg/ab e 7,62 kg/ab. Da sottolineare che quest’ultima nel 2018 ha superato il Trentino Alto Adige che si è sempre distinto per avere una delle raccolte pro capite più alte.
Nel Centro Italia la raccolta di RAEE domestici cresce del 12,26% rispetto all’anno precedente per un totale di 79.525 tonnellate; sale anche la media pro capite che raggiunge i 5,91 kg per abitante, superando nuovamente la media italiana. Tutte le regioni registrano andamenti molto positivi, compresa l’Umbria che segna un’importante inversione di tendenza portando la raccolta dal -0,61% del 2018 al + 8,44% nel 2019. Particolarmente performante il Lazio che evidenzia un incremento nella raccolta superiore al 18%, quarto miglior risultato a livello nazionale.
Sono però il Sud e le Isole a registrare la maggiore crescita nella raccolta a livello di aree, con un incremento del 12,76%, confermando così il trend positivo emerso già nel corso del 2018, che si traduce in una raccolta complessiva di 77.377 tonnellate. Sei regioni su sette evidenziano risultati a segno più, mentre il Molise conferma per il secondo anno consecutivo l’unico trend negativo.
All’opposto, la miglior performance nell’incremento della raccolta – da notare, non solo a livello di area, ma addirittura a livello nazionale – spetta alla Basilicata che registra un incremento nella raccolta del 29,72% favorito dalla presenza di un importante luogo di raccolta.
Molto positivi e sempre a doppia cifra anche i trend di crescita della Sicilia e della Puglia, rispettivamente a +19,18% e +18,85%, che si posizionano così al secondo e al terzo posto a livello italiano per maggiore crescita nella raccolta, ma che ancora stentano in quella assoluta.
A livello di raccolta pro capite, l’area raggiunge quota 4,77 kg/ab, riducendo in maniera significativa il divario rispetto alla media nazionale. A livello di singole regioni, la Sardegna ratifica la seconda posizione a livello nazionale con un pro capite di 8,43 kg/ab, seguita dal Molise con 5,24 kg/ab che così come le restanti regioni dell’area rimangono però tutte al di sotto della media nazionale.
Classifica per regioni
Nella classifica delle regioni, in valori assoluti a livello nazionale la Lombardia tiene stretto il podio con 64.728 tonnellate di RAEE raccolti, mentre in termini di raccolta pro capite, come già evidenziato, la Valle d’Aosta conferma nuovamente la propria leadership.
Nel Centro Italia il Lazio diventa la regione più virtuosa per raccolta complessiva, con 29.547 tonnellate di RAEE raccolti, superando di un soffio la Toscana che rimane invece salda al comando per quanto riguarda la media pro capite, pari a 7,87 kg/ab. Nessuna variazione, invece, nel Sud Italia e isole, dove la Campania si conferma al primo posto nella raccolta assoluta con 18.809 tonnellate di RAEE, mentre la Sardegna è prima per raccolta pro capite, con 8,43 kg/ab.
Maglia nera al contrario per Puglia, Sicilia e Campania in termini di raccolta pro capite, le tre regioni anche nel 2019 occupano infatti le ultime tre posizioni della classifica nazionale seppur con un lieve cambiamento: con 3,52 kg/ab la Puglia è terzultima, seguita al penultimo posto dalla Sicilia con 3,47 kg/ab. Ultimo posto, ancora una volta, per la Campania con soli 3,24 kg/ab, dati abbondantemente al di sotto della media nazionale e lontanissimi dagli ambiziosi obiettivi imposti dall’Unione Europea.
Conclude Rebolini: “Siamo consapevoli che nonostante il cammino fin qui intrapreso e i molti risultati positivi conseguiti, la strada per raggiungere gli sfidanti target imposti dall’Unione Europea continua a essere lunga e con molti ostacoli. Ciò nonostante, anche nel prossimo futuro il Centro di Coordinamento RAEE, insieme ai Sistemi Collettivi e ai produttori, proseguirà il cammino intrapreso ormai dodici anni fa all’insegna del massimo impegno e mettendo in campo risorse reali e concrete”.
Centro di Coordinamento RAEE
Il Centro di Coordinamento RAEE è un consorzio di natura privata, gestito e governato dai Sistemi Collettivi sotto la supervisione del Ministero dell’Ambiente e della tutela del territorio e del mare e del Ministero dello Sviluppo Economico. È costituito dai Sistemi Collettivi dei produttori di Apparecchiature Elettriche ed Elettroniche (AEE), in adempimento all’obbligo previsto dal Decreto Legislativo n. 49 del 14 marzo 2014.
Il compito primario del Centro di Coordinamento RAEE è garantire su tutto il territorio nazionale una corretta gestione dei RAEE originati dalla raccolta differenziata, assicurando che tutti i Sistemi Collettivi lavorino con modalità ed in condizioni operative omogenee; il Centro di Coordinamento RAEE stabilisce, inoltre, come devono essere assegnati i Centri di Raccolta RAEE ai diversi Sistemi Collettivi.
Contro il Dominio dei Costi – 2 – Una Visione Ecosistemica. Da moltissimi esempi che si potrebbero estrapolare in ogni campo produttivo, il tema che emerge è il seguente: i costi sono da valutare in un’ottica di sistemi aperti (o ecosistemi) e non di sistemi chiusi.
Questa è una considerazione più generale di quella che si impose nel management per superare il paradosso della produttività.
La qualità totale di allora era company-wide. Oggi non possiamo non renderci conto che tutto è interconnesso, che il sistema mondo non è frazionabile.
Le considerazioni che ascoltiamo e leggiamo oggi sulla green economy sono un riflesso parziale di questa constatazione generale. La green economy presuppone un patrimonio connesso al miglioramento della qualità della vita, che non è misurabile perché non si riferisce a un sistema chiuso, ma della cui esistenza siamo consapevoli.
Dietro questa consapevolezza che convive con la non-misurabilità, c’è una questione enorme e irrisolta.
Non possiamo essere generici e nasconderci dietro parole-slogan, come green, blue, teal, e così via.
Un rischio oggi evidente è dato dalle semplificazioni e dagli slanci volontaristici
È proprio ciò di cui dovremmo fare a meno. Alcuni modi in cui i sistemi esistenti generano esternalità dannose sono infatti molto evidenti, ne abbiamo citato esempi, e sono già oggi contestati da vari movimenti. Quando però la base di tali critiche è eminentemente moralistica, basata su pensieri e valori ritriti; comunicata con slogan che appartengono al vecchio mondo, spacciandoli come nuovi, “giovani”, si rischia molto, perché la cosa più facile per un potere che rifiuta di rigenerarsi è adottare questi stessi slogan, che apparentemente richiamano il cambiamento, ma nella sostanza (a) reiterano i pregiudizi epistemici alla radice del problema, (b) nel loro approccio semplificatorio inducono la politica a operare danni ancor più gravi – per di più col sostegno delle masse.
Occorre sicuramente una misura del patrimonio diversa da quella che emerge dalle logiche di bilancio dei sistemi chiusi, che collegano stato patrimoniale a conto economico. Saremmo portati a convenire che l’esito dei processi che si svolgono in un sistema aperto e complesso possa essere valutato per l’impatto che ha sulla vita delle persone, sugli ambienti culturali e tecnologici in cui si sono costruiti i loro stili di vita e i loro valori, incluso il pianeta con le sue biosfere e noosfere, e infine sull’idea di mondo che include tutto ciò.
Come dire che siamo indotti a ragionare di biopolitica
Approccio oggi più aderente alla situazione di quanto non lo fosse nel mondo studiato da Foucault ai suoi tempi (mezzo secolo fa e anche meno, ma i fattori chiave sono cambiati nel frattempo…); il rapporto tra il potere e la vita sta diventando molto meno intermediato, più diretto, e nello stesso tempo straordinariamente più complesso.
Il declino degli intermediari storici (stati, partiti, sindacati, comunità scientifiche e accademiche, banche, grandi imprese, chiese e altri raggruppamenti religiosi, organizzazioni economiche e sociali di ogni tipo) è spiegabile proprio col fatto che sono non solo basati, ma intrinsecamente costituiti sull’idea di sistemi chiusi, con responsabilità separate. In questa separatezza i costi sono infatti gestiti in una logica di chiusura sia spaziale-organizzativa, sia temporale (il periodo di esercizio, il ciclo di vita dell’investimento, ecc.).
Questo porta a una deresponsabilizzazione rispetto a quello che succede “fuori” dal sottosistema e “dopo” il termine in cui si debbano rendicontare dei risultati.
La stretta relazione tra chiusura del sistema e mancanza di sostenibilità appare ovvia
L‘ottimizzazione dei sottosistemi, perseguita in un’ottica di sistemi chiusi, porta al degrado del sistema nel suo complesso.
Quando poi ci sono parti del sistema che non sono rappresentate da qualche forma di potere, vengono naturalmente depredate; tipicamente il rapporto uomo-natura è sempre stato un rapporto di predazione.
Tutti gli intermediari storici hanno predato dove e quando hanno potuto, e tuttora la nostra economia mainstream, ancora prevalente pur se in affanno, si basa sulla predazione delle risorse naturali, si pensi ai combustibili fossili.
Il nuovo rapporto tra potere e biopolitica, che sta emergendo in contemporanea alla crisi degli intermediari storici, forse può offrire nuove prospettive, ma al momento non è compreso ed è privo di guida; né siamo in grado di capire quale genere di guida eventualmente serva.
Si affacciano realtà di multiappartenenze (appartenenze a multiple comunità di tipo tribale, unite da valori e stili di vita simili), di peer-to-peer (gruppi che si governano senza centri di riferimento, come i possessori di valute virtuali), di data management (soprattutto da parte di grandi piattaforme cui attengono milioni/miliardi di persone dalle quali assorbire i dati relativi alla loro vita, potendone quindi rinforzare, modificare, sfruttare i valori, i saperi, le attività).
È tuttavia difficile immaginare l’evoluzione di questi sviluppi e a maggior ragione capire come possano generare un nuovo “ordine”. Sicuramente i più solidi tra gli intermediari tradizionali possono leggere la trasformazione e cavalcarla.
Lo stato cinese per esempio sembra in grado di sommare alla sua funzione storica quella di grande piattaforma digitale, tale da coinvolgere gli abitanti della Cina. Tuttavia difficilmente potrà evitare che ognuno di essi sia comunque “multiappartenente”; caratteristica che potrebbe diventare peraltro un grande atout, se ci sarà la saggezza di avvalersene.
Gli stati tuttavia rimangono troppo implicati nel vecchio ordine industriale, in cui i consumi di massa sono funzionali al consenso politico: consumi di massa che per essere tali a loro volta si appoggiano sul concetto di “costo”, anzi di “basso costo”.
Purtroppo i costi bassi di questi consumi sono la causa diretta della non-sostenibilità del sistema: agricoltura intensiva, allevamenti intensivi, produzioni standardizzate, permettono bassi costi di accesso, ma pregiudicano mortalmente la salute sia del pianeta sia delle persone.
Questo modello di produzione/consumo è comunque ormai in declino generalizzato perché insostenibile anche economicamente, non più in grado di retribuire né il lavoro, né il capitale: in più, la disruption indotta dall’emergere del digitale lo stravolge a livello fisico-territoriale, economico, culturale.
Tuttavia gli stati territoriali hanno costruito su di esso i propri messaggi politici e le competenze delle loro vaste burocrazie: saranno capaci di liberarsi di questi enormi “distressed asset” per riproporsi come intermediari efficaci?
Il fattore costo sta alla base di tutto ciò, e come abbiamo visto impatta pesantemente sulle nostre vite e su quelle di tutte le istituzioni, determinano policy, scelte, decisioni che modificano a fondo le nostre prospettive e opportunità, ma soprattutto la nostra qualità della vita e i livelli di rischio cui siamo soggetti: tutto quanto possiamo chiamare biopolitica. Abbiamo anche visto che questo impatto il più delle volte è negativo e provoca danni e catastrofi.
Manca in modo flagrante un quadro in cui questo parametro possa essere governato.
Se consideriamo come modello di sistema aperto l’ecosistema, cioè un sistema vivente o quasi-vivente, che si autodefinisce in un equilibrio dinamico (e non statico come i sistemi chiusi), possiamo immaginare un governo della biopolitica?
Certamente porterebbe con sé alcune promesse interessanti:
– La sostenibilità intrinseca, perché la sostenibilità equivale al mantenimento dell’equilibrio dinamico dell’ecosistema
– La governabilità della relazione tra macrosistema e sottosistemi a vari livelli (sul modello organismo-cellule), e per analogia tra locale e globale
– Una misura di efficienza rapportata alla qualità e non all’output (come noto, i sistemi viventi sono estremamente inefficienti dal punto di vista termodinamico, dissipano energia per creare “ordine”, finalizzano la conoscenza all’emersione di livelli superiori di adattamento e di potenziale)
– L’enfasi sulla ridondanza (che trova la sua metafora nell’importanza delle cellule staminali, pluripotenti), riconducibile anche alla conoscenza estesa e connessa come patrimonio primario
– L’enfasi sulla diversità (è già ben approfondito il tema della biodiversità)
– La ricorsività dei pattern come alternativa all’universalità degli standard (il che promette nuovi approcci non solo all’economia, ma anche alla politica e al diritto).
La diversità dell’approccio rispetto a quello attuale è impressionante, tuttavia trova delle corrispondenze in una serie di fenomeni emergenti nella nostra epoca: il fallimento dei modelli predittivi mainstream, una distribuzione di capitali finanziari sulle imprese che prescinde molto più che in passato dal conto economico, una crisi delle organizzazioni pubbliche e private orientate a soddisfare bisogni di massa, la perdita di importanza nella generazione di capitali delle immobilizzazioni materiali, che diventano sempre più liability, il crescente ruolo strategico dell’innovazione e in generale del controllo della conoscenza.
Molti di questi fenomeni sono sintetizzabili in uno spostamento del modello vincente da quello basato sullo sfruttamento di risorse finite (e quindi iper-focalizzato sui costi) a quello basato sulle fonti cognitive, teoricamente infinite e quindi nel loro complesso non vincolate da un sistema di costi.
Se teniamo conto del fatto che processi cognitivi e processi vitali sono identificabili, si può immaginare che una nuova biopolitica e una nuova bioeconomia possano essere configurate a partire da una rappresentazione del mondo basata sul possibile della cognizione e non sullo pseudo-reale delle risorse materiali.
L’inizio della sperimentazione di nuovi modelli di questo genere non può essere immaginato in modo massivo, ma è immaginabile che un nuovo paradigma culturale sia adottato in vari iperluoghi, territori e/o reti globali, dove si creino dei sistemi pilota in grado di prosperare sulle logiche del vivente, totalmente diverse da quelle del modello macchina oggi ancora imperante pur se profondamente scosso.
Nel frattempo i decisori attuali, privati e pubblici, possono gradualmente acquisire la consapevolezza che i vincoli connessi ai costi non sono barriere reali, ma totem da abbattere. Soprattutto in una regione come l’Europa, che vanta come punto di forza l’eccellenza e la varietà dei suoi stili di vita.
Autore: Paolo Zanenga, Presidente Diotima Society
Diotima Society
History. D is an open non-profit organization established in 2013, with headquarters in Milan (Italy), and with members, correspondents and ambassadors all around the world.
Goal. D investigates the multiple Change dynamics: origins, paths, research strategies, resiliency factors, and frames of convergence (“consilience”). An essential tenet is the reunification of the “two cultures” (scientific and humanistic).
Awards. D Golden MASK is awarded to distinguished Insightful Thinkers and Society Innovators. The Award is granted by an International committee of 36 members, nominated by the Board of Trustees of D in conjunction with other Institutions.
per rileggere la PARTE 1:
Contro il Dominio dei Costi – 1 – In Nome della Sostenibilità