Methane escaping LNG-ships. Investigation into so-called ‘green’ liquid natural gas (LNG) powered ships uncovers significant amounts of invisible methane being released into the atmosphere, exposing Europe’s dirty secret at sea.
Infrared images show unburned methane – a potent greenhouse gas – being released from supposedly ‘green’ LNG ships, a damning new investigation by Transport & Environment (T&E) shows. European politicians are playing with fire in their support for LNG, says T&E, with methane over 80 times more climate warming than carbon dioxide over a 20-year period.
Delphine Gozillon, shipping officer at T&E, said: “Europe has a dirty secret at sea. In promoting LNG ships, European policymakers are locking us into a future of fossil gas.The ships may be painted green, but, beneath the surface, the truth is that most LNG ships on the market today are more damaging for the climate than the fossil ships they’re supposed to replace.”
Leaks and slips occur throughout the natural gas supply chain
The use of fossil LNG as a maritime fuel is particularly problematic because slips occur from ship engines. According to data from the International Maritime Organisation (IMO), depending on the engine, it has been estimated that between 0.2% to over 3% of fossil gas slips from the combustion process and is released directly to the atmosphere.
For this reason, about 80%[2] of LNG today is burned in an engine with worse total greenhouse gas emissions than traditional engines running on dirty fuel oil [3]. Emission plumes that go up in the sky and remain there for a long time are an indication of this.
T&E carried out the investigation on a clear November day at the port of Rotterdam – Europe’s largest – using a state of the art infrared camera, with a special filter to detect hydrocarbon gases[4]. As LNG is typically 90% methane, any unburnt fuel that slips through the engine will also be primarily composed of the climate warming gas.
T&E was able to clearly observe significant methane emissions from two ships. The first of these was an LNG-powered container ship, the ‘Louvre’, owned by French shipping company CMA-CGM.
According to a peer review of the images carried out by TCHD Consulting, an optical gas imaging consultancy, the images from the Louvre are evidence that intense uncombusted hydrocarbon emissions were being released from the three exhaust vents into the atmosphere above the ship and outside the frame of the video.
CMA CGM claims that its LNG ships enable a significant reduction in CO2 emissions per container. Its website claims, “LNG is the best solution currently available to reduce the environmental impact of shipping.” There is no mention in any of its communication of methane, or how much methane typically slips from its vessels.
The second LNG-powered ship that T&E was able to track was the ‘Eco-Delta’, a dredger used to clear shipping lanes by pulling up sand from the sea bed. Again, uncombusted and partially combusted emissions were documented, with methane being released from two hot exhaust stacks on the front of the ship.
Shipowners commissioned more gas-fuelled vessels in 2021 than the four previous years combined, with LNG ships promoted as a clean alternative to traditional fuels. The fossil gas industry continues to lobby for LNG as a green shipping solution, pointing to low methane slippage based on their own data in what T&E says is increasingly looking like a ‘methane-gate’.
Last year, the EU proposed carbon intensity targets for marine fuels which would force shipowners to move away from residual fuel oil, the most widely used shipping fuel today. However, T&E has warned that without sustainability safeguards this will simply lock in LNG as the cheapest alternative.
Recent T&E analysis shows that over two-thirds of new ships could be powered with LNG from 2025. This would raise the share of fossil LNG from an estimated 6% today to over one-fifth of all marine fuels in Europe by 2030 and lock-in fossil fuel use into the 2040s.
Delphine Gozillon concluded: “We are in a climate crisis. We cannot afford to put more methane into the atmosphere. Our investigation is just a small sample, but it should act as a warning to policymakers. In promoting LNG, it is betting on the wrong horse. We should be focusing on genuinely green hydrogen-based solutions instead.”
For now, T&E’s investigation has been limited to two ships due to the complexity of carrying out such an investigation. LNG ships were located and tracked by matching marine traffic data and IHS data that specifies the engine and fuel type of ships.
The image shows heat and gas emissions from the exhaust stack of ship engines. The bright light near the exhaust stack indicates a heat source. As the plume moves away from the heated exhaust stack, we are able to observe uncombusted hydrocarbon emissions.
Cibo strumento di inclusione. Slow Food Youth & Food. Vengono dal Benin e dal Mali, dal Pakistan, dal Senegal e dal Maghreb, hanno tra i 17 e i 19 anni, il bagaglio pesante di chi ne ha già viste tante e la luce di chi comunque ancora crede di avere una chance di realizzare il proprio sogno attraverso il cibo, imparando un mestiere, inserendosi in una nuova comunità, raccontando una storia, la propria, a chi vorrà ascoltarla.
A Torino e Agrigento 60 minori stranieri non accompagnati scrivono il loro futuro
Sono i primi 30 giovani, ragazze e ragazzi, che partecipano al percorso di inclusione sociale, lavorativa e abitativa previsto dal progetto Youth & Food – Il cibo veicolo di inclusione, selezionato da Con i Bambini nell’ambito del Fondo per il contrasto della povertà educativa minorile.
Messo a punto da Slow Food, il progetto si svolge nell’arco di tre anni e coinvolgerà in tutto 60 minori stranieri non accompagnati nelle città di Agrigento e Torino, grazie alla collaborazione con Al Kharub cooperativa sociale, Sanitaria Delfino Società Cooperativa Sociale, Coop.Meeting Service Catering, Associazione Multietnica dei Mediatori Interculturali (AMMI), Comune di Torino, Servizio VIII – Centro per l’Impiego di Agrigento, C.P.I.A. di Agrigento.
In questi giorni in cui il nostro sguardo è rivolto al vicino Est, l’avvio delle attività del progetto ci riporta a una realtà che da anni passa sotto i nostri occhi ormai quasi inosservata, quella dei minori che arrivano in Italia non accompagnati, che stando ai dati del 31 dicembre 2021 della Direzione Generale dell’Immigrazione del ministero del Lavoro, sono 12.284, il 73,5% in più rispetto all’anno precedente.
«Il nostro obiettivo è garantire un cibo buono, pulito e giusto per tutti, dove il nostro “per tutti” comprende anche i più fragili, come i cittadini migranti e i minori in particolare. Sono gli ultimi: vittime della bugia della crescita infinita, che nutre ingiustizia sociale, iniquità ed esclusione. Attraverso questo progetto vogliamo delineare una narrazione di aggregazione, riscatto, dignità, a partire da un soggetto potente: il cibo» dichiara Barbara Nappini, presidente di Slow Food Italia.
Il progetto si divide in più fasi che prevedono un modulo di formazione – dai corsi di italiano alle nozioni sui diritti dei lavoratori, dall’apicoltura alla cucina internazionale – un periodo di stage, la creazione di start up in ambito agricolo e gastronomico e l’indipendenza abitativa.
«Per rendere sostenibile l’inclusione sociale è fondamentale assicurare l’inserimento lavorativo attraverso i tirocini e la nascita di start up grazie alle quali i ragazzi collaboreranno con le realtà del territorio e metteranno alla prova la propria creatività» sottolinea Abderrahmane Amajou, coordinatore della Rete Migranti di Slow Food e referente di Youth & Food. «Si tratta di ragazzi giovanissimi a cui manca l’affetto dei familiari. Ci auguriamo che, proprio grazie alle relazioni che i ragazzi stabiliranno, possano trovare una nuova famiglia sociale che li accolga e li faccia sentire parte di una comunità».
La scuola per mediatori gastronomici di Torino e le ricette del cuore per imparare l’Italiano
A Torino, dove sono stati selezionati 16 ragazzi, perlopiù provenienti da Pakistan, Senegal e Maghreb, e una ragazza dalla Somalia, il progetto è partito da poco: «Abbiamo messo in piedi una vera e propria scuola per mediatori gastronomici. A ogni ragazzo abbiamo chiesto una ricetta del cuore. A partire da queste abbiamo lavorato sull’Italiano: come si scrive una ricetta, quali verbi usare, le unità di misura… Abbiamo coinvolto un cuoco di ciascun Paese che ha preparato i piatti indicati dai giovani e ha insegnato loro a replicarli. È stato un momento molto particolare perché la maggior parte non mangiava il proprio piatto del cuore da quando ha lasciato il paese d’origine» racconta Stefano Di Polito che con la Cooperativa Meeting Service, che ha seguito le fasi di avvio del progetto nelle cucine attrezzate per la formazione professionale delle Fonderie Ozanam di Torino.
Un vero e proprio corso di cucina internazionale che nasce dall’orgoglio della propria provenienza e dalle emozioni che un cibo può suscitare. E così i ragazzi senegalesi hanno riassaggiato e imparato a cucinare il thiebou dien i pakistani hanno richiesto il biryani, mentre i maghrebini hanno raccontato le varianti del couscous. «Non appena finirà il Ramadan ricominceremo con i corsi di cucina internazionale e italiana, accanto alle più classiche lezioni di panetteria e pasticceria, propedeutiche a trovare un tirocinio. I tutor sono selezionati tra giovani nati e cresciuti in Italia ma dello stesso paese di origine dei ragazzi, che è anche un bel modo di far vivere la Torino multietnica. E poi, una sorpresa per chi vorrà seguirci: stiamo pensando a eventi gastronomici e servizi innovativi, in cui i protagonisti sono gli stessi ragazzi, per garantire la sostenibilità economica delle attività».
Le api, l’innesto e i diritti dei lavoratori per contrastare il caporalato ad Agrigento
Ad Agrigento i ragazzi sono 15 e arrivano principalmente dal Benin e dal Mali: «Alcuni hanno già una competenza acquisita nel loro paese, come Rachid che in Benin faceva l’apicoltore e che probabilmente sarà uno dei primi a trovare uno sbocco lavorativo. Nel gruppo c’è anche un ragazzo che presenta disturbi del comportamento a causa dei forti traumi che ha subito in Libia» racconta Carmelo Roccaro della cooperativa Al Kharub che segue Youth & Food ad Agrigento.
I giovani studenti sono molto curiosi, chiedono soprattutto quali prospettive lavorative li aspettano. «Stiamo approfittando di questi giorni di Ramadan per far affiatare il gruppo e fargli conoscere la città e il paesaggio intorno: i ragazzi parlano inglese, francese o arabo e per fortuna il nostro mediatore tunisino conosce tutte e tre le lingue. C’è anche un ragazzo del Bangladesh che non parla nessuna delle tre lingue, e quindi lo seguiamo in maniera particolare. Partiremo a maggio con il corso di cucina, poi attiveremo anche due moduli di apicoltura, per imparare a gestire le api e fare il miele ma anche per costruire i telaini e riparare le arnie. Un’altra competenza molto richiesta in agricoltura è quella della potatura e dell’innesto: su questo lavoreremo molto».
I ragazzi si presenteranno nelle aziende agricole per i tirocini e l’inserimento lavorativo con una competenza che potranno spendere nel proprio curriculum e saranno accompagnati dagli operatori impegnati nel progetto: «Nel nostro percorso cercheremo di trasmettere alcune nozioni di diritto dei lavoratori affinché i ragazzi possano riconoscere e tenersi alla larga dai pericoli dello sfruttamento e del caporalato e vivere sempre liberamente il proprio lavoro e la propria vita» continua Carmelo.
Il progetto è stato selezionato da Con i Bambini nell’ambito del Fondo per il contrasto della povertà educativa minorile. Il Fondo nasce da un’intesa tra le Fondazioni di origine bancaria rappresentate da Acri, il Forum Nazionale del Terzo Settore e il Governo. Sostiene interventi finalizzati a rimuovere gli ostacoli di natura economica, sociale e culturale che impediscono la piena fruizione dei processi educativi da parte dei minori.
Per attuare i programmi del Fondo, a giugno 2016 è nata l’impresa sociale Con i Bambini, organizzazione senza scopo di lucro interamente partecipata dalla Fondazione CON IL SUD.
Transizione ecologica mobilità va pianificata. Lo stiamo facendo? I dati di vendita di auto elettriche in Italia, seppur positivi, non sono tali da garantire il raggiungimento degli obiettivi dell’Europa. Sotto i riflettori: infrastruttura di ricarica; costi; cornice socio-economica di utilizzo. Nella seconda giornata di Next Generation Mobility, in programma a Torino dal 3 al 5 maggio, si fa il punto insieme ai player del settore e ai rappresentanti del progetto europeo Interreg Alpine Space e-SMART
La transizione ecologica nella mobilità costituisce uno dei pilastri nel piano di sviluppo condiviso a livello europeo e nazionale.
Le dimensioni del parco di vetture circolanti, in Italia di 39 milioni, nel 2021 ha registrato appena 265.000 auto ibride, dato poco incoraggiante rispetto al boom degli ultimi tre anni dopo con la spinta dell’ecobonus.
Diverse le cause di questa netta frenata, non ultima quella dell’attesa degli incentivi, fin troppo preannunciati, che hanno provocato il posponimento di acquisti già decisi.
Secondo lo scenario del PNIEC (Piano Nazionale Integrato per l’Energia e il Clima), entro il 2030 le e-car in Italia dovrebbero rappresentare, con sei milioni di unità vendute, il 13% del parco circolante. Ciò significa che per raggiungere tale obiettivo nei prossimi 8 anni si dovranno vendere circa 800mila “auto alla spina”, a fronte delle sole 137mila vendute nel 2021.
Cosa è necessario per far sì che la domanda regga a questi ritmi senza flessioni?
Una recente ricerca di BIP, società di consulenza aziendale e tecnologica italiana, che sarà presentata a Next Generation Mobility il prossimo 4 maggio, dimostra che l’implementazione e il potenziamento delle infrastrutture di ricarica sono la chiave per lanciare il mercato dell’auto elettrica in Italia. Come già sta succedendo in Francia, Germania, Norvegia e nel Regno Unito il percorso da intraprendere prevede due fasi: nella prima, capillarità territoriale per ridurre la distanza media tra punti di ricarica; nella seconda, calcolo della sostenibilità economica dell’infrastruttura, facendo attenzione all’aumento del numero medio di auto servite per stazione.
Il punto di riferimento è il mercato norvegese, il primo e unico maturo oggi, dove l’infrastruttura di ricarica serve 30-32 vetture per punto con distanze medie tra una stazione e l’altra di 4 km. In numeri assoluti, prendendo per buono il target PNIEC, significano 187.500 punti diffusi sul territorio italiano. Oggi sono circa 27.900. Se si punta prima alla capillarità e poi alla sostenibilità economica, gli investimenti dovranno essere sostenuti da fondi pubblici. Il PNRR prevede finanziamenti per 13.755 colonnine in aree urbane e 7.500 sulle autostrade, del tipo rapido o ultrarapido. Ammesso che tutte vengano installate, si arriverebbe a poco più di 49.000 colonnine. Ne mancherebbero ancora quasi 140.000. Non è ben chiaro chi sosterrebbe l’investimento, al ritmo di 1300 al mese.
Questi numeri, che sono solo alcuni tra quelli proposti dallo studio BIP Consulting, fissano il punto da cui bisogna partire per il successo della transizione della mobilità da combustibili fossili a elettrico.
Oggi metà delle ricariche avvengono in ambito domestico, un quarto sul posto di lavoro e il resto in punti pubblici. Questa situazione riflette il quadro socio-economico attuale dell’utilizzatore medio di auto elettriche alla spina (ricordiamo che sono 265.000). Con 6 milioni di vetture, è improbabile che le condizioni saranno le stesse. Questo va considerato nella pianificazione della transizione.
Lo stesso per il prezzo della ricarica.
Come ricordato da BIP, gli interessi di utilizzatori, case automobilistiche e fornitori di ricarica sono divergenti.
L’utente non vuole pagare il sovrapprezzo della ricarica rapida se non necessario; i costruttori automobilistici vogliono evitare i costi e i pesi addizionali legati a caricatori di bordo più potenti; i fornitori vogliono realizzare infrastrutture in grado di garantire un rapido ritorno dell’investimento.
Come conciliare tutto questo, ammesso che sia possibile, costituisce una sfida per chi spinge per la transizione, ossia lo Stato.
La pianificazione della transizione ecologica nella mobilità e le sue sfide costituiscono una questione talmente importante che Next Generation Mobility dedica l’intera giornata del 4 maggio, ad affrontarne i diversi angoli. In particolare, oltre al trasporto individuale di persone, verrà affrontato il tema dell’elettrificazione del trasporto pubblico e di quello delle merci nel tratto finale della catena distributiva, che conduce al punto vendita di prossimità. L’intera sessione è organizzata in collaborazione con il progetto europeo Interreg e-Smart, partner di Next Generation Mobility, e i suoi risultati verranno illustrati dai rappresentanti delle diverse città e nazioni partecipanti.
Next Generation Mobility nasce da una partnership consolidata: Clickutility Team, che da oltre 15 anni organizza convegni in ambito mobilità e smart city, e Studio Comelli, che da sempre si occupa di progettare contenuti di eventi e agende scientifiche e di media relations.
– BYinnovation è Media Partner di Next Generation Mobility
La Tradizione illuminata. SMARTEFFICIENCY per ILLUMINAZIONE. Deco Industrie, proprietaria di Scala, il marchio del settore iscritto nel Registro Speciale dei Marchi Storici di Interesse Nazionale secondo il Ministero dello Sviluppo Economico, si è avvalsa della consulenza di SmartEfficiency per la riqualificazione illuminotecnica dei propri stabilimenti di Bagnacavallo (RA), Forlì (BO) e Zerbinate di Bondeno (FE). (altro…)
Viaggi sostenibili: 10 consigli della piattaforma di viaggi Omio (per principianti ed esperti) sono un tema molto ampio e la scelta del mezzo di trasporto non è l’unico punto da affrontare.
Ci sono vari aspetti del viaggio da considerare, dalla modalità di prenotazione fino allo smaltimento dei rifiuti. Omio, piattaforma e app per la prenotazione di biglietti di treni, aerei, autobus e traghetti, ha stilato una lista di consigli pratici sia per chi vuole iniziare a viaggiare in modo responsabile sia per chi si considera già esperto ma vuole avere un comportamento ancora più attento all’ambiente.
Per principianti:
– Non solo aereo: valuta tutte le alternative
Evitare crociere ad alto impatto ambientale può essere semplice, ma le cose si fanno più complicate per quanto riguarda l’aereo, spesso preferito perché veloce. Grazie a Omio, tuttavia, è possibile confrontare le varie opzioni di viaggio e scoprire come treno e autobus spesso siano più veloci ed economici di quanto si pensi e permettano di risparmiare CO2.
– Esplora i dintorni
Un consiglio tanto semplice quanto efficace: le distanze brevi riducono la nostra impronta ecologica, e in più non bisognerà preoccuparsi dei lunghi tragitti in treno o in autobus. Pianificate un viaggio a tappe o provate i treni notturni: in questo modo si risparmia anche una notte in hotel e al mattino si è già pronti per scoprire la destinazione.
– Utilizza solo biglietti elettronici
Stampare i biglietti è ormai obsoleto. L’app di Omio garantisce accesso a tutte le prenotazioni e a tutti i biglietti, in qualsiasi momento, anche offline, e permette di gestire i propri soggiorni direttamente dall’app grazie alla partnership con Booking.com.
– Riduci gli sprechi
Quando si viaggia si producono molti rifiuti che potrebbero essere facilmente evitati. Ad esempio, è sempre bene portare con sé una borraccia invece di comprare una bottiglia dietro l’altra, evitare take-away che producono troppa plastica e preferire il proprio shampoo, bagnoschiuma e sapone, lasciando i flaconcini omaggio in hotel.
– Spostati in bici o con i mezzi pubblici
Una volta arrivati, è meglio spostarsi con i trasporti pubblici locali o con una bici: questa scelta, oltre che sostenibile, è anche economica e consente di immergersi subito nella destinazione.
– Preferisci le alternative locali alle grandi catene
Meglio prenotare un piccolo hotel a conduzione familiare, provare piatti locali in ristoranti autentici, bere un caffé in un piccolo bar e scegliere prodotti del posto: in questo modo entrerete nello spirito della destinazione e potrete scoprirla come veri local.
– Non disperdere rifiuti nella natura
Per chi ama trascorrere il tempo immerso nella natura, è sempre bene portare un sacchetto per i rifiuti, poiché i cestini non sono sempre presenti o spesso sono stracolmi. Raccogliete tutta la spazzatura e buttatela quando possibile.
– Rispetta la natura
Molti non sanno che raccogliere conchiglie, coralli, pietre e sabbia è proibito in molti Paesi e può addirittura essere sanzionato. Prima di tutto, è importante proteggere gli ecosistemi locali e lasciarli il più possibile intatti.
– Rispetta gli animali
Farsi un selfie con gli animali non rientra tra le pratiche di turismo responsabile: non siate insistenti e limitatevi ad ammirarli da lontano!
– Risparmia energia mentre sei via
Prima di partire per le vacanze, assicuratevi di aver spento riscaldamento, luci, gas e tutti i dispositivi non necessari.
Per esperti:
– Scegli una vacanza self-made invece che all-inclusive
Prenotare una vacanza all-inclusive già organizzata nei minimi dettagli è una grande tentazione, ma non sempre vengono proposte alternative sostenibili, sia per quanto riguarda i mezzi di trasporto che il soggiorno. Inoltre, programmare la propria vacanza da soli è anche un ottimo modo per sostenere ristoranti, negozi e piccoli produttori.
– Preferisci i mezzi di trasporto a minor impatto ambientale
Viaggiare in treno o in pullman a volte implica tempistiche più lunghe; tuttavia permette di non perdersi panorami mozzafiato, di immergersi nella destinazione e di entrare a contatto con gli abitanti locali.
Una soluzione potrebbe essere pianificare itinerari a tappe: in questo modo andrete a fondo nell’esplorazione della destinazione e conoscerete meglio le sue caratteristiche.
– Metti in valigia solo lo stretto necessario
Portate solo ciò che davvero vi serve, perché un peso maggiore significa maggiori emissioni. Siamo onesti, chi non sì è mai accorto alla fine delle vacanze di non avere usato nemmeno la metà delle cose?! E se non sapete da che parte iniziare, potete seguire la guida di Omio per la valigia perfetta.
– Esci dagli schemi
I viaggi più belli e più sostenibili (e quelli che rimarranno nel cuore più a lungo) sono quelli che evitano le mete troppo turistiche. Scegliere una destinazione insolita e meno inflazionata renderà l’esperienza di viaggio unica e consentirà di sostenere le popolazioni locali che normalmente traggono pochi profitti dal turismo.
– Viaggia plastic-free
Sono poche le persone che riescono a viaggiare completamente senza plastica, eppure le alternative sostenibili a questo materiale non mancano. Per esempio, si possono mettere in valigia posate da viaggio riutilizzabili, una tote bag in cotone biologico, una giacca a vento ottenuta da materiali riciclati, shampoo solido e dischetti struccanti di cotone.
– Scegli una protezione solare green
Le tradizionali creme solari contengono sostanze che vanno a intaccare il delicato equilibrio degli ecosistemi. Quindi, specialmente in spiaggia, scegliete una crema solare naturale e biologica che rispettano il mare e l’ambiente circostante.
– Rinuncia all’aria condizionata
È consigliabile evitare il più possibile l’uso del condizionatore, anche nelle destinazioni più calde. Certo, bisognerà sopportare un po’ il caldo, ma si risparmierà energia e si eviteranno tosse e mal di gola in vacanza.
– Non disperdere i rifiuti e raccogli quelli che trovi
Oltre a raccogliere i propri rifiuti, non lasciate che quelli dispersi dagli altri rimangano dove sono: raccoglieteli o partecipate a iniziative di gruppo (ad esempio quelle per la pulizia di spiagge), un modo utile e originale per prendersi cura dell’ambiente, entrare in contatto con le persone del posto e fare nuove amicizie.
– Scegli un alloggio sostenibile
Prenotare alloggi sostenibili non è sempre semplice, ma per fortuna sono sempre più numerose le piattaforme che scelgono di introdurre delle etichette per identificare gli alloggi green o che mettono a disposizione soluzioni di soggiorno ecologiche e immerse nella natura.
– Sostieni le iniziative locali
Turismo responsabile significa anche offrire sostegno agli abitanti locali, specialmente se la tua meta è un luogo più povero rispetto al proprio Paese di origine. Ricordatevi di dare una mancia se è usanza, scegliete guide di viaggio del posto e scoprite le organizzazioni che partecipano a progetti di sostegno sociale.
Strategie per Diversity Inclusion per migliorare resilienza e reputation. I concetti di diversità e inclusione si stanno sempre più affermando a livello mondiale quale valore fondamentale all’interno degli ambienti di lavoro: sono parte integrante delle strategie di sostenibilità e Responsabilità Sociale d’Impresa (CSR) nelle organizzazioni e strumento efficace per migliorare resilienza e reputazione.
Per molte imprese l’integrazione e il rispetto delle diversità costituiscono una vera e propria strategia di business, che sta acquisendo sempre più valore nel corso degli anni.
Per Diversity si intendono le caratteristiche che determinano differenze e similitudini tra gli individui e che influenzano l’identità e la prospettiva che portano con sé sul posto di lavoro. Inclusion si riferisce, invece, all’insieme di pratiche inclusive verso tutti gli stakeholder presenti nel contesto dell’organizzazione, volte a valorizzare la diversità all’interno dell’ambiente di lavoro (genere, orientamento sessuale, origini etniche, cultura, abilità fisiche, etc.).
L’edizione 2021 del “Diversity brand index” attesta la grande importanza del tema dell’inclusione anche tra i consumatori. L’88% della popolazione è, infatti, più propensa ad avvicinarsi ai brand più inclusivi, il gap tra i ricavi di un brand inclusivo rispetto a uno non inclusivo può superare il 23% a favore del primo e le aziende maggiormente inclusive ottengono ottimi risultati anche con il passaparola: il Net promoter score dei brand più inclusivi aumenta dell’81,2% mentre quella dei marchi non inclusivi scende del 90,9%.
Investire in Diversity & Inclusion apporta una maggiore creatività e innovazione, altro tema chiave, quest’ultimo, per l’uscita dalla crisi attuale, ma anche garanzia di flessibilità e migliore capacità di risoluzione dei problemi.
Ma come è possibile applicare fattivamente delle politiche di diversità e inclusione?
In che modo sono così attuali?
Cosa si può imparare per renderle un vero traino del nostro business?
“Il primo passo per comprendere l’importanza dei temi emergenti in ambito di Diversity & Inclusion è partire dei propri pregiudizi e dalle credenze personali, derivanti dal contesto socioculturale in cui siamo abituati a interagire”, afferma Sara Brandimarti, Global Product Performance Manager Sustainability in Business Assurance di TÜV Italia.
Il ruolo dei pregiudizi (i cosiddetti unconscious bias), è essenziale nell’approcciare un contesto veloce e mutevole come quello attuale. Le organizzazioni e i lavoratori sono spinti a cambiare priorità, modalità di agire, contesti relazionali e culturali in modo sempre più rapido.
Lavorare sul concetto di inclusione e sull’accettazione della diversità come una risorsa da accogliere e stimolare, porta le organizzazioni a lavorare in maniera più aperta, innovativa e ad abbandonare le rigidità tipiche di un contesto sociale percepito come arcaico.
“Si tratta di temi complessi e delicati che vanno affrontati a livello strategico e con un taglio pratico che rendano coerenti, agli occhi dei portatori di interesse, le dichiarazioni dei membri del Board con la realtà vissuta e percepita dai lavoratori, fornitori, utenti dei servizi che sperimentano l’inclusione in prima persona”, aggiunge Brandimarti.
Per un’azienda può essere utile prendere come riferimento la linea Guida ISO 30415, che suggerisce all’organizzazione il perimetro di azione e gli step da seguire per assicurarsi un livello di integrazione ottimale del tema D&I all’interno dell’organizzazione stessa.
“Le tematiche relative a diversità e inclusione appartengono e contribuiscono alla dimensione sociale ed economica della sostenibilità”, dichiara Francesco Bovalo, Project specialist Sustainability nella Divisione Business Assurance di TÜV Italia.
Lo sviluppo di policy e iniziative in campo D&I contribuisce a 3 dei 17 Obiettivi di sviluppo sostenibile delle Nazioni Unite (SDGs): 5 Parità di genere, 8 Lavoro dignitoso e crescita economica e 10 Riduzione delle disuguaglianze.
La diversità è parte fondamentale delle strategie di sostenibilità delle organizzazioni, ed è perfettamente integrata, complementare e funzionale con la sostenibilità aziendale.
A livello aziendale è necessario prevedere un cambiamento culturale che deve passare anche dall’educazione, in quanto è sempre più evidente l’importanza di investire in progetti formativi che sviluppino consapevolezza.
“Un’organizzazione realmente inclusiva è un’organizzazione che sa accogliere la diversità sia nei processi aziendali, sia da un punto di vista relazionale, diffondendo una cultura organizzativa orientata alla valorizzazione della pluralità”, afferma Cristina Brodo, Business Unit Manager TÜV Italia Akademie. “Questo percorso passa necessariamente attraverso la formazione di tutti, dal top management e in generale a tutti i dipendenti per garantire sensibilizzazione e consapevolezza dei propri comportamenti”.
Per andare in supporto alle organizzazioni, TÜV Italia ha progettato un percorso E-Learning che possa diffondere in modo efficiente ed efficace tali argomenti, con una suddivisione in unità didattiche dove si alternano momenti di conoscenza ad attività di learning by doing, mappe concettuali ad interazioni in cui il partecipante ha la possibilità di mettersi in gioco e dimostrare quanto ha appreso.
La stimolazione continua, l’utilizzo di case study animati forniscono “ritmo” e rendono la fruizione dei contenuti piacevole e questo contribuisce all’interiorizzazione.
Fondato nel 1866 come associazione di controllo delle caldaie a vapore, il Gruppo TÜV SÜD è cresciuto diventando un’impresa globale. Opera con oltre 24.000 dipendenti dislocati in oltre 1.000 sedi in circa 50 paesi allo scopo di migliorare costantemente tecnologia, sistemi e competenze. TÜV SÜD contribuisce attivamente a rendere innovazioni tecniche come Industria 4.0, guida autonoma ed energie rinnovabili sicure e affidabili.
TÜV Italia fa parte del gruppo TÜV SÜD ed è presente in Italia dal 1987. TÜV Italia ha una struttura di oltre 600 dipendenti e 400 collaboratori, con diversi uffici operativi sul territorio nazionale, a cui si affiancano i laboratori TÜV Italia e Bytest a Volpiano (TO) e pH a Barberino Tavarnelle (FI), acquisite rispettivamente nel gennaio 2012 e nel gennaio 2013.
TÜV Italia organizza periodicamente webinar e seminari gratuiti, dove vengono affrontati I temi tecnici più attuali, altre ai numerosi corsi formativi professionali, dedicati ad approfondire e sviluppare competenze in tutti i settori in cui l’ente opera.
Rompere soffitto di cristallo e aumentare la presenza femminile nei ruoli di leadership. SumUp: dai bias inconsci del “mini-me” alla sindrome dell’impostore: insieme a Felizitas Lichtenberg (she/her), Global Head of Diversity and Inclusion, e Nastasia Neumann (she/her), Lead Talent Acquisition Partner, la fintech SumUp mette in evidenza le strategie da applicare nel processo di recruiting e nella comunicazione per rompere il “soffitto di cristallo” e dare più spazio alle donne nei ruoli di leadership.
Nel mondo del lavoro, per le donne è ancora evidente la difficoltà a rompere il “soffitto di cristallo”, a raggiungere cioè ruoli di rilievo all’interno della propria organizzazione lavorativa o sociale o ad affermare la parità dei diritti, a causa di barriere e discriminazioni sociali, culturali e anche psicologiche.
A confermarlo sono anzitutto i numeri: secondo un sondaggio IBM, ad esempio, su 2.300 organizzazioni mondiali meno di 2 ruoli di responsabilità su 10 (tra cui CEO, vicepresidenti, direttori e senior manager) sono ricoperti da donne e un’analisi condotta da Preply rivela che le donne rappresentano solo il 4,7% dei più importanti CEO a livello mondiale.
Per raggiungere un equilibrio di genere sul lavoro è necessario affrontare i pregiudizi inconsci – a partire dal processo di assunzione: secondo il Gender Insights Report di LinkedIn, nell’esaminare i candidati i recruiter hanno il 13% di probabilità in meno di cliccare e visualizzare il profilo di una donna quand’esso compare nelle ricerche. Eppure, nel momento in cui vengono esaminati, i profili delle donne risultano qualificati tanto quanto quelli maschili.
È necessario, quindi, che le aziende lavorino su più fronti per abbattere barriere, stereotipi e pregiudizi e per creare una cultura aziendale che valorizzi la diversità e all’interno della quale la donna non si senta in difetto.
A fare il punto sul tema è SumUp, fintech leader nel settore delle soluzioni digitali e cashless per le piccole imprese e sempre al fianco delle donne e imprenditrici di tutto il mondo.
Insieme a Felizitas Lichtenberg (she/her), sua Global Head of Diversity and Inclusion, e a Nastasia Neumann (she/her), sua Lead Talent Acquisition Partner, la fintech sta infatti portando avanti un percorso che mira a valorizzare i migliori talenti professionali e individuali e a creare una cultura aziendale in cui la partecipazione femminile nei ruoli di leadership venga supportata.
Anche grazie a questo lavoro continuo, SumUp può oggi vantare il 51% di donne tra i dipendenti dell’azienda; inoltre, nell’ultimo anno, la presenza femminile in ruoli executive è passata dal 17% al 25%; nel 2021, con l’impegno ad assumere il 30% di donne nei ruoli dirigenziali, Sumup ha raggiunto l’obiettivo del 48%. Si tratta di risultati particolarmente importanti considerando il settore i cui opera la fintech. Inoltre, proprio in questi giorni la Vicepresidentessa del Design di SumUp, Pamela Mead, ha ricevuto il riconoscimento come una delle 25 donne leader nella tecnologia finanziaria da parte del Financial Technology Report: entrata in SumUp nel 2019, Pamela lavora con il suo team mettendo al primo posto nella progettazione dei prodotti l’accessibilità, per creare soluzioni che siano efficaci, utili, ma soprattutto inclusive per tutti i commercianti.
Un esempio e un apprezzamento importante che dà ancora più forza a SumUp nel proseguire questa crescita e la dedizione per aumentare ulteriormente la presenza di donne in ruoli di leadership. “Per farlo – spiegano Felizitas Lichtenberg e Nastasia Neumann – è necessario decostruire i bias inconsci (come, ad esempio, la sindrome del ‘mini-me’ o i cosiddetti in-group bias), radicati nella società e nelle persone, inclusi i recruiter e i responsabili delle assunzioni e delle Risorse Umane. È fondamentale aumentare la consapevolezza generale in merito ai pregiudizi e a come le micro-disuguaglianze possano manifestarsi in ogni contesto, così da migliorare le strategie di ricerca, attingendo talenti da diversi e nuovi network. Allo stesso tempo, bisogna supportare le donne affinché superino convinzioni autolimitanti e sovrastrutture (ad esempio la sindrome dell’impostore)“.
Un processo delicato che parte dalle strategie da applicare già in fase di recruiting e nella comunicazione interna all’azienda, e che, come spiega SumUp, è necessario per costruire una cultura aziendale sana, che garantisce il rispetto dei diritti di tutti e favorisce la crescita professionale dei singoli e dei team di lavoro.
Proprio con l’intento di ispirare altre aziende ad avere un approccio inclusivo e accogliente che valorizzi le figure femminili, Felizitas Lichtenberg, Nastasia Neumann e SumUp condividono quattro punti chiave che stanno sperimentando per migliorare giorno dopo giorno la crescita delle donne in azienda.
1 – Evitare i bias in fase di recruiting
La collaborazione tra il team Diversity & Inclusion e quello delle Risorse Umane è fondamentale: da una parte è necessario incoraggiare candidature al femminile anche attraverso annunci di lavoro inclusivi, dall’altra bisogna formare i recruiter e gli HR Manager affinché non svolgano i colloqui basandosi, anche inconsciamente, su bias e pregiudizi. Proprio per questo, ad esempio, SumUp sta adottando una strategia per la quale i colloqui vengono svolti attraverso diverse interviste: mettere insieme più opinioni su un candidato aiuta ad eliminare i bias inconsci che un singolo recruiter potrebbe avere e a far sì che si ottenga una visione il più oggettiva possibile. In particolare, per i ruoli “senior” si prevedono anche più interviste con numerosi stakeholder interni all’azienda.
2 – Eliminare la sindrome del “mini-me” (o in-group bias)
Un approccio al recruiting di questo tipo aiuta ad arginare la cosiddetta sindrome del “mini-me” (o i cosiddetti in-group bias), che porta referenti e dirigenti a favorire o cercare candidati che siano il più simili possibile a loro per età e genere, mentalità, esperienza nel settore, con cui condividono formazione scolastica e lavorativa, ma anche hobby. Tuttavia, creare un luogo di lavoro con individui troppo simili tra loro può essere controproducente: si rischierebbe soltanto di ottenere un team poco diversificato, mancante di innovazione e punti di vista differenti.
3 – La condivisione fa la forza contro la sindrome dell’impostore
Uno spazio di lavoro sicuro è un luogo all’interno del quale sentirsi liberi, a qualunque livello di seniority, di condividere i propri errori e di mostrarsi vulnerabili, senza per questo sentirsi giudicati.
Raccontare le proprie difficoltà può aiutare a sentirsi meno soli, ad esempio raccogliendo esperienze dirette da parte di colleghi che si trovano – o si sono trovati – ad affrontare situazioni analoghe. Nel caso delle donne, ad esempio, è comune la cosiddetta “Sindrome dell’Impostore”, una condizione psicologica per la quale un individuo arriva a dubitare delle proprie competenze e a non riuscire a riconoscere neanche i propri meriti. A causa di questa condizione, molti professionisti non raggiungono ruoli di leadership: temono, infatti, di non essere adeguati e di non poter pretendere o meritare aumenti e incarichi di responsabilità. In un contesto lavorativo aperto all’ascolto, invece, una persona può scoprire di non essere la sola a vivere questa specifica condizione e, grazie al supporto di colleghi e colleghe, superare questo “disturbo” e ritrovare la propria serenità e sicurezza sul lavoro.
“Nei momenti in cui ho dubbi o insicurezze mi ritrovo addirittura a pensare cosa farebbe un uomo al mio posto”, spiega Pamela Mead, Vicepresidentessa del Design di SumUp, portando la sua personale esperienza nel superare la sindrome dell’impostore. “Riesco a superare queste incertezze cambiando la mia modalità di pensiero e spostando invece l’attenzione sui miei punti di forza e su ciò che so fare meglio. In questo processo, aiuta molto la condivisione con amici e colleghi: è un modo per ricordare a me stessa tutto quello che sono riuscita a fare. Allo stesso tempo, quando altre persone si confidano con me raccontandomi i dubbi su loro stessi, consiglio di focalizzarsi sui punti di eccellenza e su quello che hanno raggiunto. L’aspetto più curioso – e che fa molto riflettere – è che spesso quando ci si mette in discussione ci si accorge che in realtà gli altri dall’esterno hanno una percezione completamente diversa: ad esempio, arrivano a farmi i complimenti per come ho gestito una presentazione o per la sicurezza mostrata. Per questo, il messaggio importante che vorrei dare è: la voce interiore è sempre molto critica, bisogna ascoltarla, ma non farsi mai sopraffare”.
4 – Promuovere il processo di Allyship
Per aumentare la presenza femminile nei ruoli di leadership – in azienda e anche più in generale nei team e nei settori tecnico e scientifico – servono educazione all’ascolto e sensibilizzazione su vari livelli. Questo serve a promuovere un processo di Allyship, in cui tutti siano coinvolti attivamente per l’inclusione e la crescita degli altri, eliminando le micro-iniquità quotidiane. Questo significa, ad esempio, sostenere anche situazioni che non ci riguardano direttamente, ma che sono importanti per altri membri del team, condividere le proprie esperienze e fare network anche attraverso workshop interni: un esempio è l’Inclusive Leadership Workshop, a cui ha partecipato oltre il 50% dei leader di SumUp e su cui vengono formati i nuovi membri dei team. Proprio per questo Nastasia Neumann, Lead Talent Acquisition Partner di SumUp, prenderà parte al FemTechConf Women in Tech Q1 Summit – dove condividerà con professioniste provenienti da numerose aziende internazionali la propria esperienza relativa alla sindrome dell’impostore, con l’intento di trovare spunti e soluzioni per affrontare collettivamente la questione.
SumUp è l’azienda leader a livello globale nella tecnologia finanziaria che ha l’obiettivo di creare un mondo in cui i piccoli commercianti possono avere successo facendo ciò che amano. SumUp supporta oltre 3,5 milioni di commercianti in più di 30 mercati in Europa, Stati Uniti e America Latina, con strumenti e servizi pensati e realizzati appositamente per micro e nano imprese. SumUp offre alle piccole imprese un toolkit completo per gestire e far crescere le loro attività. L’ampia suite di prodotti include terminali hardware proprietari, SumUp Conto Aziendale e SumUp Card, e-commerce, pagamenti a distanza, fatturazione e registratori di cassa per i punti vendita. Con l’intento di valorizzare il proprio successo per rendere il mondo un posto migliore, SumUp si è impegnata a donare l’1% dei futuri ricavi netti a cause ambientali.
Il sole per il Centro Cash di Oristano. SMARTEFFICIENCY per FOTOVOLTAICO. Il Centro Cash di Oristano si trova accanto alla sede da cui iniziò l’attività della Famiglia Ibba, lo storico Mangimificio. Centro Cash è l’insegna del gruppo ABBI dedicata al mondo del Cash&Carry, attiva dal 2005 in Sardegna. (altro…)
Il cibo è la nostra salute. Solo con la biodiversità si nutre il pianeta. In occasione della Giornata Mondiale della Salute 2022, Slow Food presenta la sua posizione sul tema Cibo e Salute.
Slow Food lavora per migliorare la biodiversità, il clima e la salute attraverso il cibo
«Esiste un legame indissolubile tra la salute dell’uomo, degli animali, delle piante e dell’ambiente: solo con una prospettiva olistica è possibile affrontare i problemi che riguardano ciascuna forma di vita» afferma Barbara Nappini, presidente di Slow Food Italia in occasione della Giornata Mondiale della Salute 2022. «La salute è al centro dell’impegno di Slow Food. Obiettivo dell’associazione è infatti rendere il cibo buono, pulito e giusto accessibile a tutti. Una dieta è sana non solo quando è adeguata dal punto di vista nutrizionale, ma anche se promuove la salute umana e rispetta quella del pianeta. Una dieta sana si basa su una ricca diversità di cibi di origine vegetale, integrali e minimamente lavorati, coltivati localmente con metodi sostenibili e, soprattutto, una dieta sana può essere – ed è – piacevole».
«La difesa della biodiversità, una battaglia che da sempre caratterizza la nostra associazione, rappresenta una possibile soluzione alla crisi climatica e alla malnutrizione in tutte le sue forme: sovrappeso e obesità, denutrizione e carenza di micronutrienti. Guardando alle tendenze che stanno plasmando le diete in tutto il mondo e che favoriscono le malattie legate all’alimentazione e la malnutrizione, crediamo che l’approccio One Health possa far comprendere come il modo in cui il cibo viene prodotto possa avere un impatto diretto sulla salute umana, animale, vegetale e, in generale, del pianeta».
La ricerca di Slow Food su Cibo e Salute esamina lo stato attuale dei nostri sistemi alimentari globali e le modalità con cui Slow Food lavora per promuovere diete sane.
Il documento presenta inoltre una ricerca condotta da Slow Food per analizzare il contenuto nutrizionale di alcuni Presìdi Slow Food e descrivere in che modo le principali iniziative di Slow Food, come gli orti e i Mercati della Terra, sostengono le comunità locali e garantiscono diete sane e sostenibili proteggendo la biodiversità.
Il documento descrive anche il modo in cui i nostri sistemi alimentari sono governati oggi ed evidenzia la necessità di applicare una politica migliore in ambito alimentare e sanitario, concludendo con una serie di raccomandazioni che Slow Food rivolge ai responsabili politici europei.
I dati sul sistema alimentare odierno
Il sistema alimentare oggi è dominato da grandi aziende che producono, trasformano, distribuiscono e vendono il cibo, indirizzando le scelte alimentari che le persone compiono e definendo dall’alto la disponibilità del cibo e il suo prezzo. La qualità del cibo fornito è di conseguenza povera di sostanze nutritive: ricca di grassi, sale e zuccheri e priva di nutrienti importanti come minerali e vitamine. Inoltre, l’eccessiva abbondanza di questi alimenti solleva problemi di sicurezza alimentare, poiché molti individui e comunità non hanno attualmente accesso a diete adeguate e culturalmente appropriate.
Allo stato attuale, secondo la Fao, ci sono 1,9 miliardi di adulti in sovrappeso nel mondo, oltre 650 milioni dei quali sono obesi, mentre allo stesso tempo ci sono quasi 800 milioni di persone denutrite che soffrono la fame e miliardi che presentano carenze di micronutrienti. L’obesità, un tempo riscontrata soprattutto nei Paesi dal reddito elevato, si è oggi estesa ai Paesi con medio e basso reddito, spesso insieme alla denutrizione. Anche nei Paesi dove una maggiore disponibilità di calorie ha mitigato i problemi di sicurezza alimentare, la malnutrizione persiste sotto forma di carenze di micronutrienti.
La tutela della biodiversità come risposta
L’altra faccia della medaglia di questa abbondanza industrializzata è il grandissimo potenziale di biodiversità disponibile per le comunità locali di cui solo una minuscola percentuale viene effettivamente consumata. Delle oltre 300.000 specie vegetali commestibili note, infatti, l’approvvigionamento alimentare mondiale dipende da sole 150. Inoltre, quattro colture – riso, mais, patate e grano – forniscono più della metà delle calorie consumate globalmente.
«Spesso dimenticate, le piante alimentari commestibili locali possono dare un contributo significativo a migliorare e diversificare la dieta. Da un punto di vista nutrizionale, molte di queste specie vegetali sono più ricche di vitamine, minerali e macronutrienti come grassi e proteine rispetto alle specie domestiche convenzionali» spiega Serena Milano, segretario generale della Fondazione Slow Food per la Biodiversità. «Inoltre, le piante commestibili locali richiedono meno acqua, fertilizzanti, prodotti chimici, si adattano naturalmente al loro ambiente e sono in grado di resistere meglio alla pressione di malattie e parassiti. Promuovere le piante alimentari locali è una strategia che aumenta la diversità della dieta tra le popolazioni urbane e rurali durante tutto l’anno e riduce la fame e il rischio di malnutrizione in tempi di penuria alimentare e carestia. Per di più l’utilizzo di queste piante è sostenibile ed efficace dal punto di vista dei costi».
Crisi climatica e salute
C’è un altro elemento che provoca effetti negativi sulla nostra salute: la crisi climatica. Quest’ultima sta avendo un impatto su tutti i sistemi ambientali e sta danneggiando anche la salute umana.
La sicurezza alimentare globale è minacciata dall’aumento delle temperature e dai cambiamenti nelle precipitazioni, oltre che da eventi estremi come ondate di calore, inondazioni e siccità, che hanno un effetto significativo sulla produzione agricola.
La nostra dieta è uno dei motori del cambiamento climatico, dato che la sola produzione di carne è responsabile di quasi un quinto delle emissioni globali di gas serra. Allo stesso tempo, il consumo eccessivo di carne rossa ha anche effetti negativi sulla salute umana.
Il cambiamento climatico può anche rendere il cibo meno nutriente
L’impoverimento nutrizionale dovuto all’aumento dei livelli di CO2 può influenzare le concentrazioni di quasi tutti i micronutrienti. Questa alterazione del valore nutrizionale del cibo dovuta al cambiamento climatico si unisce alle conseguenze causate dall’impoverimento del suolo.
Ecco perché nella Giornata Mondiale della Salute Slow Food riafferma con forza il suo impegno a lavorare per una salute migliore, promuovendo abitudini alimentari sane in cui il cibo sia considerato di vitale importanza sia per la salute dell’ambiente che per quella di chi lo produce e lo consuma.
A sostenere le attività di ricerca e approfondimento di Slow Food sul tema Cibo e Salute è Reale Mutua, Sostenitore Ufficiale di Slow Food Italia.
Circular Economy package set to be a game changer. The new package is a fundamental step forward but still lacks teeth to make sustainable products the norm, the EEB warns
The European Commission released a set of initiatives [1] to speed up the transition towards a circular economy. The European Environmental Bureau (EEB) welcomed the Package as a potential game changer, but stressed the need for swift action to reduce our emissions and resource use, while respecting planetary boundaries and human rights.
Stéphane Arditi, Director of Policy Integration and Circular Economy at the EEB, said: “This package could help drive the much needed market and industry transformations to achieve a resource-efficient, sustainable and fair economy – but it still lacks teeth to truly make sustainable products the default choice for all.”
The package consists of:
– A Sustainable Products Initiative aimed at boosting the circularity of products on the EU market, including a reform of Ecodesign laws
– A Strategy for Sustainable and Circular Textiles
– A proposal for the revision of the Construction Products Regulation (CPR)
– New rules to reinforce the consumer power.
Sustainable products and Ecodesign
The Sustainable Products communication lays out a number of measures targeting the sustainability of products sold on the EU market, and the Commission restated its ambition to make sustainable products the norm.
The Package also includes a legislative proposal to unleash the potential of Ecodesign, extending its scope to virtually all products placed on the market, and opening the door to new innovative measures such as carbon and environmental footprinting of products, the development of a Digital Product Passport, and impact consideration beyond EU borders.
However, the new regulation will only deliver results through the delegated acts established for specific product groups. These will take time to establish, notably as the Commission foresees a limited increase in staff working on product policy. Opportunities to deliver results from the onset, such as an immediate ban on the destruction of unsold goods, were not taken. Moreover, the proposal fails to address and disclose social and due diligence aspects within the Product Passport. [2]
Jean-Pierre Schweitzer, Policy officer for products and circular economy at the EEB, said: “Applying Ecodesign to a broader set of products will save Europe emissions, resources, and increase our resilience, but we are still a long way from these measures being put into practice.”
Sustainable textiles
The ‘Textiles Strategy’ sets out the European Commission’s plans for new policies to bring more sustainability to one of the world’s most polluting, wasteful and exploitative sectors.
The EEB welcomes the clear plans for binding rules on product design, targets for more reused textile products, and for more weight on producers to bear the end-of-life costs of textile waste. However, the EEB calls on policy-makers to ensure strong civil society participation in the development of the initiatives announced in the Strategy, and to enhance measures that tackle human rights’ abuses in supply chains, a clear blind spot in today’s text.
Emily Macintosh, Policy Officer for Textiles at the EEB, said: “You can’t green fast fashion. Today the European Commission has named overproduction as the problem by calling out the number of collections brands put out every year. Now we need to ensure that the actions set out in this strategy are translated into real industrial accountability for all companies regardless of size, and that there are no get-out clauses when it comes to the destruction of goods and ensuring fairness for workers.”
Construction Products
Despite larger advancements in other files, the Construction Products Regulation revision timidly inches forward in regards to alignment with the Sustainable Products Initiative. Faced with rising demands for a Renovation Wave, the CPR continues to set a lower bar for construction products by proposing neither legally binding environmental requirements for product performances nor more digital and transparent product information.
NGOs have continuously warned [3] such lack of ambition is especially concerning for an industry desperately in need of decarbonisation, as the source of 35% of EU emission [4]. This largely goes unaddressed by the current CPR, which continues to allow dominant industry players to set environmental standards, where they can agree on the lowest common denominator that stifle out innovations and SMEs.
Gonzalo Sánchez, Policy Officer for Circular Economy and Carbon Neutrality in the Building Sector at the EEB, said: “Minimum environmental requirements and a mandatory Digital Products Passport for construction products are key to decarbonise Europe’s built environment by 2050. Postponing these actions will mean an unsurmountable task in the next decade to decarbonise the building stock, due to the delay in implementing circular measures and investing in low-emission materials.”
Empowering consumers
The Initiative on ‘Empowering the Consumer for the Green Transition’ is set to strengthen existing EU legislation to prevent greenwashing and reduce obsolescence, by amending both the Unfair Commercial Practices Directive (UCPD) and the Consumer Rights Directive (CRD).
The proposal aims to improve the credibility of sustainability claims and labels – a measure highly called for, as recent research showed that 42% of green claims are potentially false or deceptive [5]. Moreover, new rules on information provisions regarding the length of warranty periods, the availability of spare parts, and software updates, are meant to help consumers understand the expected lifespan of the products they purchase [6].
The EEB welcomes the measures as a much-needed step to stop greenwashing, but warned about possible loopholes: the initiative fails to clarify how some of the most problematic and widespread claims such as “climate neutrality” are going to be tackled, while the foreseen ban on planned obsolescence was dropped from the proposal.
Blanca Morales, Senior Coordinator for EU Ecolabel at the EEB, said: “We need bolder measures to prohibit unreliable credentials, especially on climate neutrality, and list those that are based on harmonised, robust methods. We call on the Commission to reinforce these provisions in the upcoming regulation on Green Claims. Companies should be obliged to publicly register their claims and evidence before use. No data, no market!”
NOTES
[1] https://ec.europa.eu/commission/presscorner/detail/en/ip_22_2013
[2] In its presentation of the initiative, the Commission said these aspects would be addressed via the Corporate Sustainabilty and Due Diligence files, but those do not deliver the same level of transparency as the Digital Product Passport.
[3] https://eeb.org/library/ngos-letter-on-the-construction-products-regulation-revision/
[4] https://ec.europa.eu/environment/levels_en
[5] https://ec.europa.eu/commission/presscorner/detail/en/ip_21_269
[6] The proposal also blacklists companies’ practices leading to premature obsolescence, such as avoiding to inform consumers on the need to use software updates that prevent products from working, or requiring the use original consumables like inks for printers.
The European Environmental Bureau (EEB) is Europe’s largest network of environmental citizens’ organisations, standing for environmental justice, sustainable development and participatory democracy. Our experts work on climate change, biodiversity, circular economy, air, water, soil, chemical pollution, as well as policies on industry, energy, agriculture, product design and waste prevention. We are also active on overarching issues as sustainable development, good governance, participatory democracy and the rule of law in Europe and beyond.
We have over 140 members in over 30 countries.