Dicembre 2023

Investimenti in rigenerazione urbana sostenibile: grandi opportunità per Milano e Roma. Si è tenuto presso la Deloitte GreenHouse di Milano l’evento “Investimenti per la Rigenerazione Urbana Sostenibile”, dove sono state presentate due ricerche, una sulle opportunità di investimento e una sulla rigenerazione urbana sostenibile.

All’apertura dell’evento erano presenti Franco Amelio, Amministratore Delegato Deloitte Climate & Sustainability, Angela D’Amico, Deloitte Industry Leader (Real Estate) e Josephine Romano, Head of Corporate Compliance, Deloitte Tax & Legal, che hanno introdotto le tematiche.

La prima ricerca sulle opportunità di investimento a Milano e Roma è stata condotta da Paolo Galuzzi, Professore Ordinario della Sapienza Università di Roma e da Piergiorgio Vitillo, Professore Associato del Politecnico di Milano.

A Milano il mercato della rigenerazione urbana può valere fino a 30 miliardi
Gli ambiti di rigenerazione urbana della città di Milano interessano una superficie territoriale di circa 9,5 kmq e una superficie lorda pari a poco più di 5 milioni di metri quadrati, concentrata per poco meno della metà nel comparto residenziale (2,35 milioni di mq), per un terzo nel direzionale (1,5 milioni di mq) e per poco meno del 10 per cento in quello commerciale (460 mila mq).

Rigenerare in chiave sostenibile Milano può valere fino a 30 miliardi e fino a 19,5 miliardi di euro di valore aggiunto, concentrato per quasi il 60% nel comparto residenziale.

Entro il 2050, le stime più accreditate parlano di 920 chilometri quadrati di superficie territoriale da rigenerare a livello nazionale (1,6% della superficie urbanizzata attuale), di cui 193 kmq in Lombardia, per oltre 350 milioni di metri quadrati di superficie lorda edificabile. Con un fatturato industriale di 2.300 miliardi di euro entro appunto il 2050, di cui 700 miliardi come ricaduta diretta sul comparto immobiliare.

Secondo Stefano Pareglio, Presidente di Deloitte Climate & Sustainability, “Le aree urbane sono il fulcro delle società contemporanee, per gli impatti che determinano e per le opportunità che offrono. Circa il 40% delle emissioni totali di CO2, più di un terzo del consumo globale di energia, quasi il 60% della popolazione mondiale sono riferiti alle città. Rigenerare il tessuto urbano non più adeguato a stili di vita contemporanei è indispensabile, e per farlo in modo sostenibile è necessario il concorso di numerosi attori. Per questo abbiamo deciso di occuparcene, consapevoli che la sfida per la sostenibilità urbana è una straordinaria occasione di crescita economica, di innovazione e di progresso sociale”.

Angela D’Amico, Deloitte Real Estate Sector Leader, ha commentato: “È un dato di fatto che gli operatori, nel lungo periodo, si orienteranno sempre più su immobili con elevati standard ESG, che aumentano le opportunità di commercializzazione degli immobili e rientrano a pieno titolo nelle strategie di creazione del valore. Secondo ricerche di mercato, il miglioramento da classe di rating C ad A/AA comporta un repricing real estate dal 7 al 45% in Italia. La necessità di adottare standard ESG con questa finalità è particolarmente sentita per l’asset class degli Hotel, dove i principali brand internazionali hanno già sviluppato una Global ESG Policy che detta gli obiettivi di sostenibilità ambientale, sociale e di governance per tutte le strutture alberghiere del mondo aderenti al medesimo brand”.

Secondo le stime di Coima sgr, per effettuare la transizione energetica dell’intero patrimonio immobiliare esistente, portandolo a zero emissioni entro il 2050, sono necessari oltre 2 mila miliardi di euro per rinnovare circa 5.3 miliardi di metri quadrati di superficie (79% immobiliare residenziale, 2% commerciale, 7% pubblico e 12% appartenente ad altre categorie). Per raggiungere questo obiettivo, è necessario stimolare un incremento del numero di investitori istituzionali nel settore immobiliare, che in Italia rappresenta meno del 10% (contro una media internazionale del 15% circa).

“Dall’Accordo di Parigi, che ha delineato l’Agenda ONU 2030 e i 17 Obiettivi di Sviluppo Sostenibile (SDGs) con i relativi target, l’Unione Europea ha indubbiamente avviato una serie di riforme volte ad introdurre, nelle modalità di trasformazione dell’ambiente costruito, indirizzi e requisiti per favorire una maggiore sostenibilità ambientale, sebbene al momento non sussista ancora un framework regolatorio paneuropeo sulla rigenerazione urbana.” – ha dichiarato Josephine Romano, Head of Corporate Compliance, Deloitte Tax & Legal.

Successivamente, è seguito un dibattito che ha approfondito la visione degli operatori, analizzando le sfide e le opportunità connesse all’evoluzione del patrimonio immobiliare nell’ottica della sostenibilità.
Erano presenti Manfredi Catella, Founder e CEO COIMA SGR, Davide Albertini Petroni, Presidente Assomobiliare e Managing Director di Risanamento S.p.A. Ha moderato il dibattito Serena Uccello del Sole24Ore.

La seconda ricerca, ovvero il report “Rigenerazione urbana e sostenibilità: contesto, sfide e visione di lungo termine” presentato all’evento, ha analizzato la rigenerazione urbana da un punto di vista sostenibile e secondo l’approccio Deloitte. Il report ha inoltre valutato l’impatto sociale che può avere la rigenerazione urbana, oltre alle sfide e opportunità che ci mette davanti.

Infine, si è parlato di come le CER possano essere fattore di sostenibilità e motore per la rigenerazione urbana insieme a Antonio Piciocchi, Partner di Tax & Legal & Board Member di Deloitte Climate & Sustainability, per passare poi alle conclusioni con Stefano Pareglio, Presidente Deloitte Climate & Sustainability e Luca Dal Fabbro, Presidente ESG Institute e Presidente Gruppo IREN.

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Industria 4.0 in manifatturiere italiane: tendenze e barriere evolutive. La ricerca LIUC Business School per ICIM Group fornisce un’interpretazione della reattività del panorama produttivo nazionale e conferma la necessità di un rafforzamento e di un preciso orientamento delle politiche di supporto agli investimenti e all’innovazione.

Gli incentivi e le manovre di governo hanno rappresentato un’opportunità da non perdere per le imprese italiane, ma quale grado di consapevolezza tecnologica si nasconde dietro gli investimenti 4.0?

Dalla ricerca realizzata da LIUC Business School per ICIM Group – presentata presso l’i-FAB della LIUC-Università Cattaneo di Castellanza (VA) – emerge come la possibilità di ammodernare il proprio parco macchine, sfruttando il finanziamento per la dotazione di prestazioni superiori a quelle degli impianti esistenti, abbia in molti casi oscurato le potenzialità della quarta rivoluzione industriale.
Ne è mancata, talvolta, il vero obiettivo: aumentare il valore generato dai processi di produzione in termini di efficienza, qualità, flessibilità, sostenibilità e sicurezza, grazie all’integrazione dei nove pilastri tecnologici (dall’Internet of Things al Big data analytics; dalla manifattura additiva alla realtà aumentata e simulazione) che consentono di raggiungere l’automazione industriale, l’integrazione delle risorse all’interno della fabbrica e l’attuazione di processi decisionali guidati dai dati.

Insomma, investimenti sì ma ancora con parecchie barriere all’innovazione, a causa della mancanza di un’adeguata comprensione del concetto di Industria 4.0 e/o di scarse competenze all’interno dell’organizzazione.
Sia tra le grandi sia tra le piccole e medie imprese.
Queste le principali evidenze dello studio realizzato dall’ingegner Violetta Giada Cannas, ricercatrice della LIUC Business School, che si è concentrato sull’analisi degli investimenti 4.0 realizzati dalle imprese italiane.
In particolare, sugli investimenti delle imprese italiane che hanno scelto di affidare l’attestazione di conformità Industria 4.0 nell’anno 2020 a ICIM SpA, ente di certificazione di ICIM Group, il polo di competenze a maggioranza ANIMA Confindustria che fornisce servizi di formazione, consulenza, testing e, appunto certificazione.
ICIM SpA è, infatti, l’ente di certificazione di riferimento in ambito Trasformazione Industriale e Industria 4.0 con oltre 3600 attestazioni rilasciate a oltre 1350 aziende, per investimenti pari a circa 2 miliardi di euro.

OBIETTIVO DELLO STUDIO
Capire come le imprese italiane abbiano affrontato, negli anni successivi all’investimento, l’implementazione delle tecnologie 4.0 acquisite, investigando, in particolare, quali siano le principali tendenze e barriere evolutive.
Tale analisi è stata condotta utilizzando la metodologia di ricerca scientifica dei casi studio e svolgendo un’analisi approfondita dei dati raccolti da un numero limitato di imprese, selezionate all’interno del campione, con interviste mirate alle figure che hanno guidato gli investimenti 4.0 e visite in loco presso i reparti produttivi.
I casi sono stati selezionati con l’obiettivo di analizzare investimenti di entità diverse, condotti da imprese di diverse dimensioni, appartenenti a diversi settori industriali.

IL CAMPIONE
Campione oggetto di indagine sono state 123 imprese: le aziende dei casi studio sono prevalentemente concentrate nel segmento manifatturiero (86,18%), commercio all’ingrosso e al dettaglio (7,32%), per il restante in sanità e assistenza sociale, costruzioni; equamente distribuito per dimensione aziendale e per investimento medio (circa 387 mila euro per le PMI, contro 386 mila euro per le grandi imprese).
Gli investimenti sono stati effettuati da imprese localizzate perlopiù nelle regioni del Nord Italia, per il 55% da PMI e per il 45% da grandi aziende.

RISULTATI DELLO STUDIO
Dall’analisi dei casi è emerso che tutte le imprese intervistate si sono dichiarate soddisfatte dei risultati ottenuti dall’investimento 4.0 intrapreso e dai benefici emersi negli anni successivi a tale investimento: maggior produttività, monitoraggio e controllo continuo dell’impianto produttivo grazie all’utilizzo di dati oggettivi raccolti in tempo reale, a vantaggio del processo decisionale; miglioramento delle condizioni di lavoro del personale nei vari reparti; riduzione delle attività alienanti e dei delivery lead time; miglioramento del livello di integrazione con i fornitori e, più in generale, con tutti gli attori della supply chain.
I beni materiali acquisiti sono per il 90% beni strumentali gestiti da sistemi computerizzati e per il 10% sistemi per l’assicurazione della qualità e della sostenibilità.

Tuttavia, è interessante notare che la maggior parte degli intervistati (75%) ha dichiarato che la decisione di investire nell’Industria 4.0 è stata principalmente (o, in alcuni casi, esclusivamente) legata ai vantaggi economici e finanziari. Pochi intervistati (25%) hanno testimoniato che la motivazione di investire nell’Industria 4.0 sia stata principalmente legata a una spiccata cultura digitale dell’impresa e all’ambizione di portare la propria impresa verso la quarta rivoluzione industriale, mantenendo una buona posizione competitiva in un mercato dinamico e in continua evoluzione dal punto di vista tecnologico.

Se da un lato il piano di investimenti ha fortemente contribuito a oliare la trasformazione del tessuto produttivo nazionale, dall’altro le imprese non comprendono ancora realmente cosa significhi generare valore da tali investimenti.

Tra le principali barriere all’innovazione, la non adeguata comprensione del concetto di Industria 4.0 per le scarse competenze all’interno delle organizzazioni (67%), la resistenza al cambiamento (75%), la complessità di inserire i nuovi sistemi all’interno di cicli produttivi preesistenti (83%) e la difficoltà a trovare partner validi per lo sviluppo della progettualità (57%),

Un esempio scaturito dalle analisi è sicuramente lo scarso utilizzo della numerosa quantità di dati generata dai sensori intelligenti contenuti nei nuovi impianti produttivi.
“Tali dati sono oggi da considerarsi un vero e proprio asset strategico – spiega Violetta Giada Cannas – tuttavia, la scarsa conoscenza dei pilastri tecnologici 4.0 e dei processi basati sui dati porta le imprese a non utilizzare tali informazioni o ad utilizzarne solo una parte per analisi di tipo descrittivo, non applicando analitiche prescrittive o predittive che ne potenzino il valore e guidino meglio le decisioni, proteggendo poco l’aspetto di privacy e tutela del dato stesso, con bassi investimenti in cybersecurity. Tra gli ostacoli allo sviluppo ci sono le scarse competenze che impediscono la comprensione del concetto di Industria 4.0 e anche la resistenza al cambiamento”.

“Alla vigilia della revisione degli incentivi per la digitalizzazione ci sembrava importante mettere a disposizione il patrimonio di esperienze raccolto in 5 anni di attività connesse all’attestazione di beni I 4.0 – dice l’ingegner Paolo Gianoglio, Direttore Innovazione, Sviluppo e Relazioni Associative di ICIM Group, Responsabile del Progetto Industria 4.0. – Abbiamo condiviso i nostri dati per indagare con maggiore dettaglio quali tecnologie siano state preferite dalle imprese, per quali utilizzi, con quali obiettivi. Nei prossimi anni la sfida della digitalizzazione si incrocerà con quella della sostenibilità, la cosiddetta Twin Transition che l’Europa ci chiede per rispondere a criteri di competitività che non compromettano l’impegno per combattere il cambiamento climatico. Con la ricerca commissionata a LIUC crediamo di aver offerto un contributo significativo per le decisioni dei prossimi anni”.

È quindi necessario che l’impegno e gli sforzi di tutti gli attori della filiera, a cominciare da Università e Competence Center, siano orientati, anche attraverso politiche incentivanti, a favorire questo passaggio evolutivo che prende le mosse dalla consapevolezza – che deve essere diffusa tra imprenditori e manager – delle potenzialità che “l’economia dei dati” può portare al settore manifatturiero, come già in altri settori (banche, assicurazioni, social media).

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8 milioni di famiglie per riqualificare casa. Osservatorio Gabetti Lab e Nomisma: quale il lascito del Superbonus? Che futuro c’è per la necessaria riqualificazione del patrimonio edilizio del nostro Paese?
Quale via italiana per dare corso alle politiche green europee?

Con il coinvolgimento di attori della filiera, amministratori di condominio e operatori della finanza, attraverso la partecipazione a tavoli di lavoro e l’avvio di indagini quantitative, Gabetti Lab e Nomisma, coordinati da Ppan come content & communication partner, hanno formulato una proposta operativa per la ripartenza del settore nel post 110. I tavoli tematici hanno visto la partecipazione di una sessantina di interlocutori privilegiati, chiamati a discutere di soluzioni e indirizzi per il futuro.
Tra le priorità e le richieste, in un virtuoso dialogo tra pubblico e privato:
– La necessità di un piano strategico degli investimenti con modularità temporale a non meno di 3-5 anni
– L’adozione di un meccanismo redistributivo dell’aliquota
– L’introduzione di strumenti di tipo ESCO sul privato ed EPC sul pubblico
– La reintroduzione della cessione del credito
Le survey in particolare hanno consentito di rilevare l’opinione di tre target direttamente coinvolti nel processo di riqualificazione edilizia del patrimonio residenziale: le famiglie, gli amministratori in qualità di «antenne all’interno delle comunità condominiali”, la filiera delle costruzioni costituita da imprese e professionisti

LE FAMIGLIE
Secondo i dati del report redatto a valle di questa attività di studio e ricerca, lo sguardo delle famiglie ha messo in evidenza una consolidata consapevolezza riguardo alla necessità di riqualificare il proprio patrimonio abitativo. Sette famiglie su 10 dichiarano di conoscere la direttiva Case green e la metà percepisce una certa preoccupazione rispetto agli effetti che potrebbe avere sulla comunità, con particolare riguardo ai costi da sostenere per l’adeguamento energetico. Ancora, una su due ritiene che la propria abitazione necessiterebbe di interventi di manutenzione straordinaria, che nella metà dei casi finora non sono stati condotti per i costi. Infine, 7,9 milioni di famiglie esprimono l’intenzionalità di riqualificazione, a fronte di un Superbonus “riconfigurato”, con aliquote commisurate secondo differenti criteri.

GLI AMMINISTRATORI DI CONDOMINIO
In linea con queste aspettative, l’indagine agli amministratori di condominio, rivolta al network Gabetti Lab con una quarantina di interlocutori che complessivamente gestiscono 5000 condomini, riflette da un lato le difficoltà dei proprietari di casa, dall’altro le preoccupazioni del mondo della filiera. Tra le evidenze, si segnala che:
Il 90% degli amministratori intervistati ha fatto esperienza di 110% all’interno dei condomini amministrati.
Il 67% degli amministratori intervistati denuncia casi di cantieri bloccati nei condomini, nella metà dei casi anche per problematiche connesse alla cessione del credito.
Quasi la metà degli amministratori intervistati non esprime fiducia verso la possibilità di risoluzione di queste problematiche.

IMPRESE, STUDI PROFESSIONALI, GENERAL CONTRACTOR E ATTORI DEL MONDO DELLE COSTRUZIONI
Gli intervistati (85) testimoniano invece una strutturazione interna sostanziale, resasi necessaria per far fronte alle complessità procedurali del Superbonus. I risultati dell’indagine mostrano l’adozione di nuovi modelli organizzativi interni, l’acquisizione di nuove competenze professionali e la creazione di nuove partnership/collaborazioni con altre realtà imprenditoriali. A questo si aggiunge il considerevole impatto economico delle nuove progettualità, con una incidenza sul fatturato complessivo che in un terzo dei casi supera la soglia del 50% negli ultimi 3 anni. Non mancano tuttavia le criticità, legate in primis al blocco dei progetti in itinere – una casistica che ha coinvolto la maggioranza assoluta degli addetti ai lavori intervistati.

A fronte di questo quadro di riferimento, si intravedono alcune condizioni imprescindibili per una strategia di riqualificazione del patrimonio edilizio credibile e compatibile con le esigenze di finanza pubblica. Ci vorrà uno sforzo di riqualificazione di 1,8 milioni di immobili in 10 anni, non sarà semplice, visto che con questa ondata senza precedenti di riqualificazione è stato efficientato meno del 4% del parco residenziale italiano.

“Va sottolineato che senza il riconoscimento della casa come leva cruciale di politica ambientale ed ecologica, difficilmente le città italiane potranno raggiungere gli obiettivi di neutralità climatica e di miglioramento energetico imposti dall’Europa”, spiega Alessandro De Biasio, amministratore delegato di Gabetti Lab, prima filiera integrata nell’ambito della sostenibilità in Italia e primo player nella riqualificazione per il benessere abitativo grazie alla gestione di reti di imprese. “Alla luce di questo, abbiamo ritenuto necessario attivare collaborazioni importanti con Centri di ricerca e Università per portare all’attenzione di tutti gli operatori, con la forza dei numeri e della ricerca, il fatto che questo grande lavoro di riqualificazione ha prodotto e potrebbe produrre vantaggi di lungo periodo per famiglie e Paese. È stato reso pubblico qualche giorno fa l’esito dell’indagine commissionata dal Gruppo Gabetti insieme al suo Ufficio Studi e condotta dal Politecnico di Milano e dal Politecnico di Torino, che ha dimostrato come l’efficientamento energetico degli immobili influisca sui prezzi di compravendita e il valore degli immobili”.

Gabetti Property Solutions, attraverso le diverse linee di business delle società controllate, eroga servizi per l’intero sistema immobiliare, offrendo consulenza integrata per soddisfare esigenze e aspettative di privati, aziende e operatori istituzionali.
Proprio dall’integrazione e dalla sinergia di tutti i servizi, emerge il valore aggiunto del gruppo: un modello unico rispetto ai competitor. Il sistema organizzativo di Gabetti Property Solutions consente l’integrazione e il coordinamento delle competenze specifiche di ciascuna società del Gruppo nell’ambito delle seguenti aree: Consulenza, Valorizzazione, Gestione, Intermediazione, Mediazione Creditizia e Assicurativa e Riqualificazione.

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Riforma agevolazioni Imprese Energivore. A decorrere dal 1 gennaio 2024, potranno accedere alle agevolazioni “energivori” le imprese che, nell’anno precedente alla presentazione dell’istanza di concessione delle agevolazioni, avranno realizzato un consumo annuo di energia elettrica non inferiore a 1 GWh e che rispettino almeno uno dei seguenti requisiti:
a). operano in uno dei settori ad ALTO rischio allegato 1;
b). operano in uno dei settori a rischio allegato 1;
c). pur non operando in alcuno dei settori di cui alle lettere a) e b), hanno beneficiato, nell’anno 2022 ovvero nell’anno 2023 energivori, precedente schema.
Non accedono alle agevolazioni le imprese che, seppur in possesso dei requisiti di cui al comma lettere a), b) e c), si trovano in stato di difficoltà.

Le imprese sono soggette ai seguenti contributi a copertura degli oneri generali afferenti al sistema elettrico al sostegno delle energie rinnovabili:
– le imprese lettera a), nella misura del minor valore tra il 15 %della componente degli oneri generali e lo 0,5 % del valore aggiunto lordo dell’impresa;
– le imprese lettera b), nella misura del minor valore tra il 25 % della componente degli oneri generali e l’1 % del valore aggiunto lordo dell’impresa;
– le imprese lettera c), nella misura del minor valore:
— per le annualità 2024, 2025 e 2026, tra il 35 %della componente degli oneri generali e l’1,5 %del valore lordo aggiunto dell’impresa;
— per l’anno 2027, tra il 55 %della componente degli oneri generali e il 2,5 %del valore lordo aggiunto dell’impresa;
— per l’anno 2028, tra l’80 %della componente degli oneri generali e il 3,5 %del valore lordo aggiunto dell’impresa.

Qualora l’impresa lettera b) e c) – quest’ultime fino al 31 dicembre 2028 – copra almeno il 50 % del proprio consumo di energia elettrica con energia da fonti che non emettono carbonio, di cui almeno il 10 % assicurato mediante un contratto di approvvigionamento a termine oppure almeno il 5 % garantito mediante energia prodotta in sito o in sua prossimità, allora il contributo a copertura degli oneri di sistema è pari al minor valore tra:
– il 15 %della componente degli oneri generali e lo 0,5 %del valore aggiunto lordo dell’impresa X le imprese b)
– il 35 %della componente degli oneri generali e lo 1,5 %del valore aggiunto lordo dell’impresa X le imprese c).

In ciascun anno, i contributi a copertura degli oneri di sistema per le imprese lettere a), b) e c), 5 e 6 non possono, in ogni caso, essere inferiori al prodotto tra 0,5 €/MWh e l’energia elettrica prelevata dalla rete pubblica.

Le imprese che accedono alle agevolazioni sono tenute a effettuare la diagnosi energetica.
Le imprese di cui al primo periodo sono altresì tenute a adottare almeno una delle seguenti misure:
a) attuare le raccomandazioni di cui al rapporto di diagnosi energetica, qualora il tempo di ammortamento degli investimenti a tal fine necessari non superi i tre anni e il relativo costo non ecceda l’importo dell’agevolazione percepita;
b) ridurre l’impronta di carbonio del consumo di energia elettrica fino a coprire almeno il 30 %del proprio fabbisogno da fonti che non emettono carbonio;
c) investire una quota pari almeno al 50 % dell’importo dell’agevolazione in progetti che comportano riduzioni sostanziali delle emissioni di gas a effetto serra al fine di determinare un livello di riduzioni al di sotto del parametro di riferimento utilizzato per l’assegnazione gratuita nel sistema di scambio di quote di emissione dell’Unione europea di cui al regolamento di esecuzione (UE) 2021/447 della Commissione europea, del 12 marzo 2021.

RIFERIMENTO NORMATIVO
DECRETO-LEGGE 29 settembre 2023, n. 131 – Misure urgenti in materia di energia, interventi per sostenere il potere di acquisto e a tutela del risparmio. (23G00141) (GU n.228 del 29-9-2023)

Considerata la complessità della tematica, i tecnici EnergyINlink provvederanno (gratuitamente) ad effettuare il calcolo per verificare se la vostra Azienda possiede i requisiti di cui sopra.
Contatto: energia@energyinlink.it
In caso affermativo, saremo a disposizione per supportarvi nello svolgimento della procedura di accreditamento su sistema telematico.

– BYinnovation è Media Partner EnergyINlink

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normativa

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Electricity Market Report Italia 2023 – Energy&Strategy School of Management Politecnico Milano. Mercato elettrico, la nuova bozza del PNIEC impone un’accelerazione al 2030: -24% di emissioni, -12% di consumi, +40% di generazione da rinnovabili.
Per realizzarla va completato il quadro normativo, con risorse e incentivi.

L’instabilità geo-politica ha ridato centralità agli obiettivi di sicurezza energetica e di competitività dei prezzi dell’energia, accanto alla consapevolezza che sarà necessaria una ristrutturazione significativa del sistema elettrico (l’elettrificazione dei consumi e il forte incremento atteso della generazione di energia da fonti rinnovabili non programmabili richiederanno radicali modifiche nel dispacciamento e nella gestione del sistema), già in forte evoluzione in Italia e obbligato ad accelerare la trasformazione per traguardare i target sempre più stringenti indicati dalla bozza del nuovo Piano Nazionale Integrato per l’Energia e il Clima (PNIEC).

Stando ai dati presentati dall’Electricity Market Report 2023 redatto dall’Energy&Strategy della School of Management del Politecnico di Milano, discussi insieme alle aziende partner della ricerca, la situazione rivela l’immaturità del nostro Paese rispetto agli obiettivi posti sia per il 2030 che per il 2050. Entro otto anni, infatti, dovremo tagliare le emissioni per più del 24% a fronte di un consumo finale lordo di energia ridotto del 12% e prodotto per una percentuale doppia, rispetto all’attuale, da fonti rinnovabili, e tuttavia la domanda di energia elettrica è prevista in aumento del 6%.
La bozza della nuova versione del PNIEC prevede un significativo innalzamento anche rispetto alla capacità di generazione da rinnovabile (+40% circa), mentre l’unico valore che decresce riguarda la capacità installata di elettrolizzatori per la produzione di idrogeno verde, da 5 a 3 GW. Non sono stati definiti, invece, obiettivi espliciti in termini di capacità di accumulo necessaria per accompagnare la trasformazione del sistema elettrico: l’edizione del 2019 parlava di circa 10 GW (tra centralizzati e distribuiti).

“Il ritardo accumulato dal nostro Paese nella transizione verso un sistema energetico sostenibile richiede un impegno più robusto e coordinato – conferma Simone Franzò, Responsabile scientifico dell’Osservatorio – in particolare per la riduzione delle emissioni di gas serra tramite la promozione delle energie rinnovabili e il miglioramento dell’efficienza energetica. Questi sforzi sono essenziali per assicurare l’allineamento del Paese rispetto agli obiettivi definiti a livello comunitario e mitigare gli impatti sui cambiamenti climatici. In questo contesto, risulta fondamentale l’intervento normativo, a partire dal nuovo Testo Integrato del Dispacciamento Elettrico (TIDE), con cui si vuole rendere strutturale in Italia la partecipazione di risorse distribuite – tanto dal punto di vista della generazione che della domanda, organizzate all’interno di aggregati virtuali – alla fornitura di servizi ancillari”.

La continua revisione delle politiche energetiche e ambientali europee, anche in risposta alla complessa situazione geopolitica (“Fit-for-55”, “RepowerEU” e il nuovo “Green Deal Industrial Plan”), ha prodotto la proposta di revisione del market design da parte della Commissione europea, che ambisce a rendere il mercato elettrico maggiormente integrato, decarbonizzato e capace di far fronte ad eventuali emergenze energetiche future, riducendo il livello di rischio legato all’instabilità dei prezzi e definendo, per ciascuno Stato membro, obiettivi in termini di fabbisogno di flessibilità del sistema e di risorse deputate ad assicurarlo.

Fra gli strumenti identificati ci sono la riforma dei forward market, un maggiore supporto alle fonti di energia rinnovabile (attraverso PPA Contract for Difference a due vie) e la realizzazione di meccanismi di flessibilità della rete. I forward market sono importanti strumenti di protezione dei consumatori dalla volatilità dei prezzi dell’energia: la Commissione propone la creazione di virtual hub che amplino il perimetro geografico di negoziazione dei contratti, allo scopo di aumentare la liquidità dei mercati e quindi la loro efficacia.
Tuttavia, tale formulazione non è stata accolta con favore unanime dagli operatori, soprattutto perché il meccanismo proposto comporterebbe la formazione di prezzi all’interno degli hub non indicizzati ai prezzi nazionali, generando la necessità di istituire un meccanismo ad hoc per consentire di effettuare le negoziazioni.

“L’efficacia di tutti questi provvedimenti – commenta Franzò – sarà da valutare alla luce delle misure attuative adottate nei prossimi mesi a livello italiano, anche per abilitare le risorse ‘distribuite’ di piccola taglia a fornire servizi ancillari. Ad esempio, con la Deliberazione 300/2017è iniziata la sperimentazione per ampliare i soggetti in grado di fornire servizi di rete, aggregati virtualmente all’interno delle cosiddette UVAM. Il progetto pilota ha mostrato sia le potenzialità che, in alcuni casi, i problemi di affidabilità delle risorse coinvolte. Il TIDE si inserisce in questo percorso di innovazione, puntando a integrare le sperimentazioni nel quadro generale del dispacciamento. Ancora, la delibera 727/2022/R/eel ha completato il panorama regolatorio relativo al mondo dell’autoconsumo collettivo, ma l’Italia è, ad oggi, ancora in attesa della definizione puntuale di alcuni aspetti, in primis gli incentivi: questa incertezza ha creato una situazione di stallo, come emerge dalla mappatura delle iniziative – ben inferiori alle stime attese, nonostante le grandi potenzialità – e dalle interviste a operatori e utenti finali. Tuttavia, la partecipazione a una comunità energetica rinnovabile può rappresentare una grande opportunità per i consumatori, benché vi siano criticità legate alle attività amministrative e pareri divergenti tra gli operatori”.

Il crescente impatto delle FER sul sistema elettrico
L’integrazione crescente delle fonti di energia rinnovabile sta progressivamente trasformando il sistema elettrico, ponendo nuove sfide da superare come la non programmabilità delle FER, il posizionamento degli impianti rispetto ai punti di consumo e la diffusione della generazione distribuita. Cambiamenti che non influenzano soltanto l’infrastruttura, ma anche la già complessa gestione del sistema e il funzionamento dei mercati energetici.
In Italia, la potenza complessiva installata da FER è aumentata lentamente negli ultimi anni e a fine 2022 risultava pari a circa 64 GW (+5% rispetto al 2021). La capacità di generazione termoelettrica, invece, si è assestata sui 60 GW. L’affermarsi delle FER ha determinato l’aumento della quota di energia prodotta al Sud e di quella da generazione distribuita: a fine 2022 il 36% della potenza installata proveniva da fonte non programmabile e il Sud e le isole rappresentavano il 40% della potenza installata totale.

L’Europa cerca di chiudere un circolo virtuoso per le FER
Una delle principali barriere agli investimenti in impianti a fonte rinnovabile è rappresentata, ad oggi, dall’incertezza sui ricavi futuri. La Commissione Europea individua una possibile soluzione nei Power Purchase Agreement (PPA) e nei Contract-for-Difference (CfD) a due vie, introducendo, nel primo caso, strumenti finanziari statali per schermare i produttori dal rischio di insolvenza degli offtaker. Perché questi contratti riescano effettivamente a decollare in Italia, però, è necessario utilizzare diverse leve attraverso un approccio coordinato.
Nel contesto italiano, infatti, i CfD a due vie sono da tempo impiegati come strumento di sostegno all’investimento in impianti FER, tramite aste competitive dedicate. Tuttavia, con il susseguirsi dei bandi, si è registrato un progressivo calo nelle partecipazioni e una riduzione della saturazione del contingente disponibile. Perché i CfD riescano ad apportare i benefici attesi è fondamentale che queste aste guadagnino nuovamente efficacia attraverso una burocrazia più snella e una maggiore capacità di programmazione degli investimenti da parte degli operatori.
Il quadro normativo italiano, al contrario, si muove già nella direzione delle prescrizioni avanzate nella proposta di revisione del market design sul tema dell’adeguatezza, attraverso la presenza del capacity market e le aste definite nella delibera ARERA 247/2023. Sebbene sia ancora lunga la strada da percorrere, su aspetti quali la razionalizzazione del capacity market e la concreta realizzazione del nuovo meccanismo di aste dedicate agli stoccaggi l’Italia risulta dunque in anticipo.

I risultati del progetto pilota UVAM: potenzialità, rischi e incertezza futura
L’aumento della generazione da fonti rinnovabili e distribuite, accompagnato da una riduzione della percentuale di elettricità prodotta da fonti programmabili, ha portato alla Deliberazione 300/2017/eel e all’avvio del progetto pilota UVAM, che intende valutare l’effettiva capacità dei BSP (Balancing Service Provider) e delle risorse distribuite di piccola taglia di fornire servizi ancillari in forma aggregata. Negli ultimi due anni, però, il numero di UVAM abilitate è diminuito di circa un quarto (a settembre 2023 erano 208) a causa del mancato superamento, da parte di un numero non trascurabile di esse, dei test di affidabilità a cui sono state sottoposte. Anche la partecipazione delle UVAM alle aste di approvvigionamento ha subito una contrazione, come si può vedere in figura per il prodotto pomeridiano nell’area A nel periodo tra maggio 2021 e giugno 2023. In linea con la riduzione della capacità assegnata, aumentano i prezzi medi ponderati.

Il progetto pilota UVAM: MW assegnati e prezzi medi ponderati per il prodotto pomeridiano nell’area A nel periodo da maggio 2021 a giugno 2023
Il TIDE intende completare il processo di innovazione innescato dalle Deliberazione 300 del 2017 e integrare nel quadro generale del dispacciamento la regolazione sperimentata nei progetti pilota, includendo l’ampliamento dei soggetti che possono offrire servizi ancillari e l’istituzionalizzazione dei ruoli di BSP e BRP (utente del dispacciamento). Inoltre, i criteri contenuti nel TIDE comporteranno un significativo sforzo di revisione dei modelli di rete e degli algoritmi applicati da Terna nell’ambito del dispacciamento. Secondo gli operatori, il Testo Integrato del Dispacciamento Elettrico apre numerose opportunità e rappresenta uno strumento abilitante, ma per valutarne l’effettivo impatto è necessario comprendere come sarà declinato nel Codice di Rete. Inoltre, sarebbe utile che l’Autorità fornisse ulteriori chiarimenti.

Comunità energetiche rinnovabili a rilento: il ritardo normativo è causa di disillusione sul mercato
Ad oggi in Italia sono presenti circa 85 configurazioni in autoconsumo collettivo: 61 gruppi di autoconsumatori e 24 comunità di energia. Considerando le iniziative ancora in fase progettuale, il totale raggiunge 198 iniziative, 6 volte di più rispetto alle 33 mappate nel 2021 ma notevolmente al di sotto delle stime attese, in primo luogo a causa del ritardo normativo.
Con la delibera 727/2022/R/eel, infatti, è stato completato il quadro regolatorio, ma la normativa sulle Comunità energetiche risulta incompleta, in particolare per quanto riguarda il decreto MASE, che definisce i meccanismi di incentivazione. I progetti ad oggi sono stati realizzati in larga maggioranza nel Nord Italia, fatta eccezione per la
Sicilia, e promossi principalmente dai Comuni tramite fondi nazionali ed europei. La taglia degli impianti è eterogenea, in genere nell’ordine di qualche decina di kW.

Comunità Energetiche Rinnovabili come nuova opportunità per la diffusione delle FER, e non solo
La partecipazione a una comunità energetica rappresenta una buona opportunità per i consumatori, sia per chi non ha la possibilità di installare un impianto rinnovabile per l’autoconsumo, sia per chi invece può condividere la sua energia in eccesso, massimizzando i ricavi. Nel rapporto vengono analizzati diversi business case, con le rispettive analisi di sensitivity, per valutare la sostenibilità economica degli investimenti ed effettuare un confronto tra iniziative di piccole dimensioni, dedicate a utenti residenziali, e quelle di taglia maggiore rivolte a utenti industriali. In generale, la ricerca di un bilanciamento ottimale tra produzione e consumo rappresenta una condizione necessaria per una buona riuscita.
Come emerso dalla mappatura, tra i progetti attualmente realizzati le prime iniziative osservate in Italia riguardano comunità energetiche formate da utenti residenziali, mentre le PMI ancora non sono coinvolte in maniera diffusa, soprattutto a causa delle norme transitorie definite dal Decreto Milleproproghe. Terminato l’iter per ampliare il perimetro delle comunità energetiche, ci si può attendere l’arrivo di utenti di grandi dimensioni e di impianti che potrebbero raggiungere 1 MW di taglia, portando alla nascita di due principali cluster: CER basate su utenze residenziali (con pay back time più lunghi e obiettivi sociali e comunitari) e CER basate su utenti industriali (interessati alla sostenibilità ambientale ma anche a benefici economici, rilevanti sulle grandi taglie), senza escludere per questo possibili configurazioni miste.

Mercato potenziale e prossimi obiettivi: che cosa aspettarsi?
Gli incentivi stabiliti nella nuova proposta del decreto MASE del 23 Febbraio 2023, insieme ai fondi stanziati dal PNRR (2,2 miliardi di euro in conto capitale destinati ai Comuni sotto i 5.000 abitanti), permetterebbero di installare – tramite le CER – una potenza rinnovabile (a partire da quella fotovoltaica) pari a circa 7 GW in 5 anni, un obiettivo decisamente sfidante se paragonato alla situazione corrente e ai target mancati fino ad ora. Tuttavia, nonostante ad oggi le configurazioni già in fase operativa siano limitate, appare evidente la volontà di cogliere questa nuova opportunità per clienti finali e imprese.

Cosa pensano gli operatori del settore della potenziale diffusione delle comunità energetiche e degli “autoconsumatori collettivi” in Italia
Incertezza e ritardi normativi, barriere culturali, difficoltà di gestione e impegno economico potrebbero porre un freno alle iniziative, mentre i risvolti sociali ed ambientali, l’affermarsi del concetto di comunità e la semplicità tecnologica continuano ad essere notevoli driver per una crescente espansione.

Energy & Strategy è un team multi-disciplinare della School of Management del Politecnico di Milano. Il gruppo nasce nel 2007 ed attraverso attività di Ricerca, Consulenza e Formazione nel campo dell’Energia e della Sostenibilità, si pone l’obiettivo di istituire un Osservatorio permanente sui mercati e sulle filiere industriali afferenti i seguenti comparti:
Energie rinnovabili, Efficienza energetica, Sistema elettrico e smart grid, Smart mobility, Smart buildings, Startup e nuove tecnologie per la sostenibilità ambientale, Circular economy.
La nostra proposizione di valore – in coerenza con la mission del Politecnico di Milano – verte sulla creazione e condivisione di conoscenza sui temi legati alla gestione strategica dell’energia ed alla sostenibilità, grazie al combinato disposto di competenze tecnico-scientifiche e capacità di analisi e ricerca “sul campo”, oltre che all’interazione con i 30.000 professionisti e manager che costituiscono la “Energy & Strategy Community”

www.energystrategy.it

www.som.polimi.it

EU nuclear energy stakeholders have met at the European Nuclear Energy Forum. The nuclear industry, along with certain EU countries, calls for more support and subsidies for nuclear power, particulary for Small Modular Reactors (SMRs), in the name of reaching the EU’s climate goals.

Environmental NGOs join voices to contest this claim, arguing that investing in new nuclear power plants will delay decarbonisation and that SMRs fail to answer the industry’s problems.
Governments should rather focus on cheap renewable energy, grids and storage.

At the European Nuclear Energy Forum, NGOs call on the EU and its member states to subsidise energy sources that can reliably and cheaply achieve our climate goals, not nuclear power.

Investing in new nuclear power plants may prove detrimental to EU climate goals
1. Prolonged delays: The latest nuclear plants built in Europe have experienced delays of over a decade. We cannot risk such delays on our path to reduce fossil fuel emissions.
2. Cost overruns: Nuclear power plants have faced huge cost overruns. The nuclear industry seeks to pass these high costs on to taxpayers and households via state and EU subsidies. The French nuclear industry has been nationalised.
3. Geostrategic interests: Nuclear energy is being pushed by powerful lobbies and geostrategic interests. Several EU states’ nuclear energy relies on the state-owned Russian nuclear firm Rosatom, importing uranium from unstable countries outside the EU.
4. Decentralised transition: To quickly decarbonise, we must choose cheap technologies, easy to deploy at scale, like solar panels and windmills. Nuclear power contradicts the vision of a decentralised energy system with citizen engagement.
5. Environmental impact: According to the IPCC report published in March 2023, nuclear power is one of the two least effective mitigation options (like Carbon Capture and storage). It’s an inefficient option that poses serious contamination risks during use and for future generations due to everlasting toxic waste.

Small Modular Reactors (SMRs) do not answer any of the industry’s fundamental problems:
1. Unproven technology: Even the simplest designs used today in submarines will not be available at scale until late next decade, if at all.
2. Waste and proliferation risks: SMR designs fail to address the persistent nuclear waste problem and pose new risks associated with the proliferation of nuclear materials.

Luke Haywood, from the European Environmental Bureau, said: “It is highly unlikely that small modular reactors will change anything about the poor economics of investments in nuclear energy. Our focus should be on what we know works to rapidly reduce emissions: energy savings and renewables. Every euro invested in nuclear could help replace fossil fuels faster and cheaper if directed to renewables, grids and energy storage. This would also reduce air pollution, radioactive waste, and energy bills while allowing for more citizen participation.”

Marion Rivet, from Réseau Sortir du nucléaire, said: “New nuclear power plant projects in France are estimated to cost around 52 billion euros. All this money should be invested in immediate and effective solutions for a real energy transition. The reduction of the greenhouse gas our countries produce has to be effective in the next 10 years and has to come from a source fully sustainable (meaning that does not create long-term wastes, that does not rely on uranium.”

Antoine Bonduelle, from Virage Energie, said: “Small reactors are not an option for the climate crisis. At best, they cost double or more per kWh than other nuclear options, and even much more than efficiency or renewables, as shown extensively in the models and in the consensus of the recent AR6 IPCC report. Small reactors would produce more waste than classical reactors, and use more materials and fuels. Accidents are still possible and proliferation risks are much higher. In France, several proposed projects are shady arrangements aimed at using more public money or justifying unproductive research teams. In the end, it is a costly impasse, a loss of time and public money.”

Signatories
European Environmental Bureau (EU), Foundation for Environment and Agriculture (Bulgaria), France Nature Environnement (France), Global Chance (France), Klimaticka Koalicia (Slovakia), Réseau Sortir du Nucléaire (France), Virage Énergie (France), NOAH Friends of the Earth (Denmark), Védegylet/Protect the Future (Hungary), Estonian Green Movement – Friends of the Earth Estonia, MKG – Swedish NGO Office for Nuclear Waste Review (Sweden), Milkas – The Swedish Environment Movement`s Nuclear Waste Secretariat (Sweden).

The European Environmental Bureau (EEB) is Europe’s largest network of environmental citizens’ organisations, standing for environmental justice, sustainable development and participatory democracy.
Our experts work on climate change, biodiversity, circular economy, air, water, soil, chemical pollution, as well as policies on industry, energy, agriculture, product design and waste prevention.
We are also active on overarching issues such as sustainable development, good governance, participatory democracy and the rule of law in Europe and beyond.
We have over 180 members in over 38 countries.

eeb.org

IPCC Report