RE ITALY 20 gennaio 2021 Winter Forum. Si terrà la 13ma edizione, come tradizione fisicamente in Borsa Italiana a Milano, a partire dalle 9,30, con possibilità di collegamento in streaming per gli abbonati accreditati. I lavori della giornata saranno poi resi disponibili in podcast. La scelta di proseguire con gli eventi in presenza, sempre nei rigidi limiti di sicurezza imposti dalla normativa, pur se con partecipazione fisica limitata è dettata dal nostro convincimento che gli eventi online abbiano mostrato tutti i propri limiti. Se giustificati in una prima fase di quarantena, ormai risulta evidente come solo l’incontro fisico tra operatori riesca ad attivare il circolo virtuoso dello scambio di esperienze che porta al nascere di nuove attività lavorative. Se addirittura il mondo della scuola chiede a gran voce il ritorno alle lezioni in presenza appena possibile, significa che l’esperienza della videocomunicazione come unico strumento di contatto non può funzionare. E visto che lo scopo di Monitorimmobiliare e delle sue attività, tra le quali RE ITALY, è proprio di agevolare i contatti tra operatori le nostre manifestazioni si svolgeranno sempre in forma fisica, ovviamente col supporto della tecnologia.
Ma vista come supporto alle attività, non come protagonista scenografica.
Ore 12,00: Le strategie delle SGR
– Giovanna Della Posta, Amministratore Delegato Invimit Sgr
– Giampiero Schiavo, Amministratore Delegato Castello Sgr
– Michele Stella, Amministratore Delegato Torre Sgr
– Paolo Rella, Amministratore Delegato Blue Sgr
– Luca Turco Amministratore Delegato Quinta Capital Sgr
– Emanuele Caniggia, Amministratore Delegato Dea Capital Real Estate Sgr (in video)
Coordina i lavori:
– Francesco Lombardo, Partner Freshfields Bruckhaus Deringer
Ore 14,00: NPL, le novità del mercato
– Massimo Giacobbo, Managing Director NPL Prelios
– Katia Mariotti, Responsabile Direzione Centrale NPL Banca Ifis
– Giovanni Gilli, Presidente di Intrum
Coordina i lavori:
– Federico Sutti, Italy Managing Partner Dentons
15,15 Il nuovo ruolo degli Advisor
– Giuseppe Amitrano, Amministratore Delegato Gva Redilco Sigest
– Roberto Nicosia, Amministratore Delegato Colliers International Italia
– Alessandro Pasquarelli, Amministratore Delegato Yard Reaas
Coordina i lavori
– Maurizio Cannone, Direttore Responsabile Monitorimmobiliare
16,00 Investimenti e Progetti
– Edoardo De Albertis, CEO di Borio Mangiarotti Spa
– Igor De Biasio, Amministratore Delegato Arexpo
– Alexei Dal Pastro, Amministratore Delegato Italia Covivio (in video)
– Benedetto Giustiani, Head of Southern Europe Region Generali Real Estate
– Federico Soffietti, Director Investments Hines Italy
Coordina i lavori:
– Guido Inzaghi, Socio Belvedere Inzaghi e Partners
17,30 La nuova intermediazione immobiliare
– Gian Battista Baccarini, Presidente Fiaip
– Santino Taverna, Presidente Fimaa
– Dario Castiglia, Presidente Re/Max Italia
– Luigi Sada, Amministratore Delegato Tecnocasa Franchsing SpA
– Angelo Musco, Amministratore Delegato Compagnia immobiliare Italiana
Monitorimmobiliare.it è un’iniziativa di Giornalisti Associati Srl, service editoriale fondato nel 2000. E’ la più accreditata testata di informazione online specializzata nel settore del Real Estate.
AGV, LGV, navette automatiche. Veicoli autonomi in produzione e intralogistica. SmartEfficiency “si fa carico” della movimentazione interna per tutti i settori produttivi.
(altro…)
IT’S All Retail opportunità esclusiva per agevolare l’incontro e il confronto tra Retail, GDO e Fashion con esperti di Soluzioni, Sistemi e Tecnologie.
L’evento. organizzato da BRAIZ, coniuga la vision strategica agli aspetti tecnici, calandosi nella realtà delle strategie operative.
La nuova edizione della mostra convegno IT’S ALL RETAIL annovera 120 Relatori, 30 Media e più di 900 partecipanti.
I partecipanti di IT’S ALL RETAIL sono:
– TOP MANAGEMENT: Amministratore Delegato – Direttore Generale – Retail Director – Responsabile Strategie – Direttore Vendite – HR Director
– MARKETING & CRM: CRM Director – Marketing Director – Loyalty Manager – Ecommerce Director – Chief Digital Officer – Chief Data Officer
– IT & TECHNOLOGY: Chief Information Officer – Chief Technology Officer – IT Manager – Chief Security Information Officer – Pos & Payment Director
– LOGISTICA e MAGAZZINO: Logistics Director – Responsabile Logistica – Responsabile Magazzino
– UFFICIO TECNICO: Energy Manager – Facility Manager – Technical Director – Layout & Store Design – Visual Merchandising – Security Manager
Dei settori GDO – RETAIL – FASHION & LUXURY – ECOMMERCE – CONSUMER GOODS
22 Settembre 2020 al NH Milano Centro Congressi
– BYinnovation è Media Partner di IT’S ALL RETAIL
Stop olio di palma in biodiesel. Legambiente presenta il dossier sui biocarburanti. Più olio di palma nei motori che nei biscotti. Con l’olio di palma, le cui piantagioni sono la principale causa di deforestazione mondiale, non produciamo solo biscotti o detergenti ma soprattutto biocarburanti e bioenergie: il 67% delle importazioni di olio di palma in Europa e il 70% in Italia. Siamo, infatti, uno dei paesi europei che più consuma olii vegetali alimentari per l’energia, perlopiù all’insaputa dei consumatori e con costi aggiuntivi, come denuncia Legambiente nel suo dossier Più olio di palma nei motori che nei biscotti, la mappa degli impianti in Italia.
Per usi energetici, in Italia abbiamo bruciato nel 2019 oltre un milione di tonnellate di olio di palma, 150 mila tonnellate di olio di semi di girasole, 80 mila tonnellate di olio di soia. Per la quasi totalità prodotti in piantagioni indonesiane e malesi, a danno di una delle maggiori foreste tropicali al mondo che ha perso negli ultimi vent’anni alberi e torbiere per oltre 33 milioni di ettari. Un danno incalcolabile per il clima (ogni litro di olio di palma comporta il triplo delle emissioni di CO2 di un uguale volume di gasolio fossile) e per la biodiversità (distruggiamo l’habitat di specie vegetali e animali come l’orango, la tigre e il rinoceronte) che produce, inoltre, rischi di diffusione delle nuove zoonosi.
Secondo Transport & Environment, nel 2019 i conducenti europei hanno bruciato nei loro motori 22 volte più olio di palma di quanto ne ha usato la Ferrero per tutta la Nutella e i Kinder consumati nel mondo; 15 volte di più di quanto consumato dal gruppo Mondelez (Oreo e Cadbury) per i loro biscotti e cioccolatini, quattro volte di più dell’olio di palma impiegato da Unilever per tutti i propri prodotti detergenti in tutto il mondo.
Legambiente mette in guardia parlamentari, governo e consumatori.
“Mentre sulle confezioni o sui siti web dei prodotti alimentari o dei detergenti e dei cosmetici è riportata la loro composizione – dichiara Andrea Poggio, responsabile mobilità di Legambiente – i distributori di carburante o i produttori di energia elettrica che bruciano olio di palma lo nascondono nella migliore delle ipotesi, giustificano il sovraprezzo propagandando caratteristiche genericamente green, rinnovabili o vantaggi ambientali inesistenti. Greenwashing, come ha appurato il 15 gennaio scorso l’Autority a proposito dell’Eni-diesel+ del nostro principale ente petrolifero”.
Legambiente ha fatto qualche conto, a partire dai dati del Gestore Servizi Energetici nazionale, sui costi che cittadini e imprese si trovano indirettamente a sostenere a favore dei petrolieri per la distruzione delle foreste. Ogni automobilista italiano paga, in media, 16 euro all’anno per le così dette rinnovabili nel serbatoio, una cifra complessiva di circa 300 milioni di euro nel 2019 per la sola componente olio di palma (quasi metà del biodiesel). Inoltre, cittadini e imprese, pagano nella bolletta elettrica una piccola quota aggiuntiva per i biocombustibili (che sono per il 69% da olio di palma e di soia): quasi 600 milioni di euro di sussidi attribuibili alla sola componente degli oli alimentari.
“Quindi – prosegue Andrea Poggio – poco meno di 900 milioni di euro all’anno per distruggere foreste in tutto il mondo e aumentare le emissioni di CO2; tra l’altro in aperta violazione della nuova direttiva europea sulle energie rinnovabili che impone la comunicazione della composizione e della fonte del carburante e dell’elettricità venduta al consumatore”.
Per questo, Legambiente ha recentemente scritto ai senatori della Commissione Affari Europei del Senato e ai ministri dello Sviluppo Economico e dell’Ambiente, inviando loro precise proposte di emendamenti al disegno di legge sul recepimento della nuova direttiva rinnovabili, attualmente in discussione al Senato, affinché pongano fine al più presto all’“inganno verde”.
Bruciare olio di palma, di soia e altri oli alimentari non fa bene all’ambiente e non deve più essere sussidiato per legge: è un “sussidio ambientalmente dannoso” pagato dai cittadini senza ragione.
Una petizione, lanciata dall’associazione, per l’abbandono dei sussidi legali all’olio di palma e di soia entro il primo gennaio 2021, rivolta al Presidente del Consiglio Giuseppe Conte, ha già raccolto 60 mila firme.
Eni, il principale gruppo petrolifero nazionale, che pure nel 2019 ha importato 246 mila tonnellate di olio di palma, ha annunciato, in risposta a Legambiente all’assemblea societaria del 13 maggio scorso, che entro il 2023 abbandonerà l’uso dell’olio di palma e conterrà al 20% gli altri oli alimentari nella produzione di biodiesel. Ma Eni rappresenta “solo” un quarto delle importazioni dell’olio di palma bruciato in Italia.
E tutti gli altri? Potranno andare avanti a commerciarlo lucrando a spese dei cittadini ignari e dell’ambiente? Come evidenziato nel dossier, oltre alle due grandi bioraffinerie Eni, vanno infatti segnalate per importanza l’indonesiana Musim Mas, nel porto industriale di Livorno, che importa olio di palma che vende in tutta Europa, e la Bunge nel porto industriale di Ravenna.
Decine di traders e agenti commerciali forniscono oli di palma e soia alle 477 mini centrali – diesel – che producono elettricità inquinando come 5 mila autoarticolati a piena velocità autostradale.
Open innovation e circular economy, il cambiamento parte da un nuovo modello di sviluppo economico. Più sostenibilità e rispetto dell’ambiente per aumentare la resilienza dell’industria tricolore, ma senza un quadro normativo chiaro, l’Italia rischia di perdere il treno della ripresa.
La pandemia da Coronavirus ha messo a nudo la fragilità del nostro modello di sviluppo economico rendendo evidenti due facce della stessa medaglia: da un lato, l’evidenza che nessun settore è abbastanza solido per resistere a un cambiamento radicale senza un processo di continua innovazione.
Dall’altro, la necessità di ripensare all’attuale modello economico in una logica di maggiore attenzione alla sostenibilità e al rispetto ambientale.
Il modello di sviluppo a cui siamo abituati, ovvero quello lineare – fondato sull’estrazione di materie prime, sulla produzione ed il consumo di massa e sullo smaltimento degli scarti una volta raggiunta la fine della vita del prodotto – ha mostrato molte crepe specialmente negli ultimi mesi.
Un caso eclatante è quello del fashion, comparto strategico per il nostro Paese: dopo aver fatto per anni offshoring verso l’Asia, la pandemia ha bloccato intere filiere con la semplice chiusura delle frontiere.
Solo chi ha saputo riadattare il proprio modello di sviluppo ha mostrato la resilienza sufficiente a fronteggiare la crisi, gli altri sono andati in apnea. In questo senso un ottimo esempio è quello della filiera alimentare, che si è salvata grazie a un sistema decentralizzato, al ricorso a modelli di economia di prossimità e al canale digitale dell’e-commerce.
Ora più che mai, è indispensabile ripensare il ciclo economico in termini di economia circolare: un sistema pensato per potersi rigenerare, fondato sulla valorizzazione degli scarti, l’estensione del ciclo di vita dei prodotti, la condivisione delle risorse, l’impiego di materie prime da riciclo e di energia da fonti rinnovabili. Ma un cambiamento di rotta di questa portata, una trasformazione così radicale, non può gravare sulle spalle delle singole imprese. Servono, da un lato, sostegno a livello economico e finanziario, e dall’altro, la capacità di portare il paradigma dell’open innovation anche nella circular economy: vale a dire, fare in modo che le imprese che hanno bisogno di rinnovarsi per andare verso la circular economy possano entrare in contatto con delle realtà in grado di fornire loro gli strumenti per farlo.
L’Italia è in cima alle classifiche della green economy, ma rischia di perdere il vantaggio
L’economia circolare ha la capacità di creare filiere multidisciplinari integrate nelle aree locali e di restituire, sempre localmente, risorse ambientali, creando utile nel processo. Caratteristiche che la rendono uno dei pilastri del Green New Deal – la “tabella di marcia” lanciata nel 2019 dall’Unione Europea per rendere sostenibile la sua economia. E non potrebbe essere altrimenti dal momento che il sistema stesso si basa sulla scomparsa del concetto del rifiuto trasformando gli scarti in elementi produttivi.
Dal primo Rapporto nazionale 2019 sul modello dell’economia circolare realizzato dal Circulary Economy Network, l’Italia è N.1 in Europa in questo ambito: con un punteggio di 103, batte il Regno Unito (90 punti), la Germania (88), la Francia (87) e la Spagna (81). Secondo il rapporto “La bioeconomia in Europa”, realizzato dalla Direzione Studi e Ricerche di Intesa Sanpaolo, in collaborazione con Assobiotec e il Cluster SPRING, il mercato è già enorme e in Italia vale circa 345 miliardi di euro e due milioni di occupati: numeri che ci mettono al terzo posto in Europa alle spalle di Germania (414 miliardi) e Francia (359 miliardi).
Siamo perlomeno agganciati al treno di testa
Eppure, rischiamo di perdere contatto, perché dal punto di vista normativo la legislazione del settore è ancora agli albori. Dopo anni di discussioni, ancora oggi tutto il tema dei rifiuti viene trattato secondo specifiche normative su base regionale o comunale, quando invece l’obiettivo finale sarebbe quello di far scomparire le discariche per trasformare gli scarti in materie prime seconde. Motivo per cui abbiamo bisogno di un disciplinare chiaro che tratti i rifiuti come un bene produttivo.
A frenare è ancora una volta la burocrazia
La mancanza di una normativa centralizzata genera inevitabilmente grovigli burocratici che allungano i tempi e spesso finiscono per dissuadere le imprese dall’intraprendere la strada della circolarità. Un caso emblematico è quello di Fater, l’azienda leader in Italia nei prodotti assorbenti per la persona (suoi i marchi Pampers e Lines). Per riuscire a recuperare pannolini e assorbenti usati, con l’obiettivo di rimettere la cellulosa nel ciclo produttivo, Fater ha investito milioni di euro in tecnologia. Ma ha poi ha dovuto aspettare quasi 7 anni per il via libera amministrativo.
Oggi però a riaccendere i riflettori sull’economia circolare sono i piani di rilancio dell’economia presentati dalla task force di Vittorio Colao e dal governo. È proprio dal sostegno da parte delle istituzioni che in Italia dovrebbe passare il rilancio dell’economia basato su un modello circolare: norme chiare, meno burocrazia e soprattutto un piano di incentivi: non solo da parte dello Stato, ma anche con il sostegno del comparto creditizio – come quello offerto da Intesa Sanpaolo con un plafond da 5 miliardi di euro.
Investimenti in open innovation per trasformare le filiere produttive
Le risorse economiche così raccolte andrebbero poi catalizzate per avviare progetti di innovazione di largo respiro, attivando i capi filiera delle principali industrie italiane. Solo così si può pensare di riuscire a trasformare un intero ecosistema verso un modello virtuoso di recupero di materiali, capace di creare occupazione sul territorio sostenendo la ripresa economica.
La chiave di volta sarebbero investimenti nel campo dell’innovazione: dotato del giusto sostegno, il capo filiera avrebbe la forza di sostenere il cambiamento, fidelizzando la propria filiera e rendendola più solida.
Le aziende hanno ormai compreso che non si tratta di costi, ma di investimenti premiati dalla Borsa, tuttavia a mancare sono ancora le competenze per governare il cambiamento. Ma queste si possono acquisire attraverso l’open innovation, che abilita l’accesso alle idee esterne, in particolare quelle sviluppate da startup innovative. Perché non si possono avere al proprio interno tutti gli strumenti per cambiare. Serve allora, come detto all’inizio, la capacità di portare il paradigma dell’open innovation anche nella circular economy, perché nessuno è in grado di affrontare da solo la complessità dei temi e delle frontiere che portano cambiamenti del genere.
A cura di Riccardo Porro, Chief Operations Officer di Cariplo Factory
Largest open Ocean Clean-up. 103 Tons of Plastic Removed From the Great Pacific Garbage Patch. Ocean Voyages Institute’s marine plastic recovery vessel, S/V KWAI, docked at the port of Honolulu today, after a 48-day expedition, successfully removing 103 tons (206,000 lbs.) of fishing nets and consumer plastics from the North Pacific Subtropical Convergence Zone, more commonly known as the Great Pacific Garbage Patch or Gyre.
Establishing its lead in open ocean clean-up, Ocean Voyages Institute has set a new record with the largest at sea clean-up in the Gyre to date, more than doubling its own results from last year.
“I am so proud of our hard working crew,” says Mary Crowley, founder and executive director of Ocean Voyages Institute. “We exceeded our goal of capturing 100 tons of toxic consumer plastics and derelict ‘ghost’ nets, and in these challenging times, we are continuing to help restore the health of our ocean, which influences our own health and the health of the planet. The oceans can’t wait for these nets and debris to break down into microplastics which impair the ocean’s ability to store carbon and toxify the fragile ocean food web.”
Known as the “Ghost Net Buster,” Crowley is renowned for developing effective methods to remove significant amounts of plastics out of the ocean, including 48 tons (96,000 lbs.) of toxic plastics during two ocean clean-ups in 2019, one from the Gyre and one from the waters surrounding the Hawaiian islands.
“There is no cure-all solution to ocean clean-up: It is the long days at sea, with dedicated crew scanning the horizon, grappling nets, and retrieving huge amounts of trash, that makes it happen,” says Locky MacLean, a former director at Sea Shepherd and ocean campaigner in marine conservation for two decades.
The GPS satellite trackers used by Ocean Voyages Institute since 2018 are proving Crowley’s theory that one tracker can lead to many nets. The ocean frequently sorts debris so that a tagged fishing net can lead to other nets and a density of debris within a 15 mile radius.
The Pacific Gyre, located halfway between Hawaii and California, is the largest area with the most plastic, of the five major open ocean plastic accumulation regions, or Gyres, in the world’s oceans.
“We are utilizing proven nautical equipment to effectively clean-up the oceans while innovating with new technologies,” says Crowley. “Ocean Voyages Institute has been a leader in researching and accomplishing ocean clean-up for over a decade, granted with less fanfare and attention than others, but with passion and commitment and making meaningful impacts.”
Ocean Voyages Institute will be unloading the record-breaking haul of ocean plastic debris while docked alongside Pier 29 thanks to the support of Honolulu-based Matson, in preparation for upcycling and proper disposal.
“In keeping with our commitment to environmental stewardship, Matson has been searching for a way to get involved in cleaning up the Pacific Gyre,” said Matt Cox, chairman and CEO. “We’ve been impressed with the groundbreaking efforts of Ocean Voyages Institute and the progress they’ve made with such a small organization, and we hope our support will help them continue this important work.”
An Expanded 2020 Expedition
When the sailing cargo ship, S/V KWAI, arrived in Honolulu today, it completed a 48-day at sea clean-up mission that began at the Hawaiian port of Hilo on May 4, after a three week selfimposed quarantine period to ensure the health of crew members and safety of the mission, in the face of the COVID-19 pandemic.
During the expedition, the KWAI’s multinational crew collected marine plastic pollution with the help of GPS satellite trackers that Ocean Voyages Institute designed with engineer Andy Sybrandy, of Pacific Gyre, Inc. These beacons are placed on nets by volunteer yachts and ships. Drones, as well as lookouts up the mast, enable the ship’s crew to hone in on the debris.
They then recover the litter, place it in industrial bags, and store it in the ship’s cargo hold for proper recycling and repurposing at the end of the voyage.
S/V KWAI, led by Captain Brad Ives, and Ocean Voyages Institute are planning a second voyage to the Gyre departing the end of June to continue clean-up of this area, which is so besieged by toxic debris. The length of a second summer leg will be determined by how successful Ocean Voyages Institute is in securing additional donations.
“Our solutions are scalable, and next year, we could have three vessels operating in the North Pacific Gyre for three months all bringing in large cargos of debris,” says Crowley. “We are aiming to expand to other parts of the world desperately needing efficient clean-up technologies. There is no doubt in my mind that our work is making the oceans healthier for the planet and safer for marine wildlife, as these nets will never again entangle or harm a whale, dolphin, turtle or reefs.”
ABOUT OCEAN VOYAGES INSTITUTE
Ocean Voyages Institute (OVI) was founded in 1979 by Mary T. Crowley. Over the past 40 years it has provided sail training programs, engaged with high schools and college classrooms on subjects such as marine biology, and collaborated with other non-profit organizations around the world on a variety of projects and missions furthering the preservation of the maritime arts and sciences, ocean environment, and island cultures.
OVI creates access to ocean experiences as well as education promoting appreciation of the beauty and importance of our ocean to a healthy planet and our own health. OVI began ocean clean-up initiatives in the Pacific Ocean in 2009 on board the non-profit’s brigantine KAISEI and has been working continually to find solutions to the ocean trash dilemma since then.
Ocean Voyages Institute has received numerous awards, including United Nations (UNEP)’s “Climate Hero Award,” and Google Inc.’s “Earth Hero Award.”
ABOUT MARY CROWLEY
Mary founded OVI and was the first to advocate to re-purpose and innovate proven maritime equipment for ocean clean up missions. A sea captain, Mary has logged over 115,000 miles at sea and has numerous awards, including VOAP (Netherlands) “Environmental Achievement Award,” Society of Women Geographers “Outstanding Achievement Award,” San Diego Maritime Education & Technology: “Environmental Leadership Award,” 2019 Hawaii Senate “Guardians of our Ocean” Award, and the Marin Board of Supervisors “Exceptional Marine Research & Activism” Award.
It is through this expertise gathered during years at sea that Mary shares the passion and knowledge to accomplish the effective Ocean clean up that is so vitally important today.
ABOUT OCEAN VOYAGES THINK TANK/DO TANK
In 2010, Ocean Voyages Institute established a Think Tank/Do Tank of naval architects, marine engineers, sailors, oceanographers, marine biologists, and maritime industry professionals to study the best ways to utilize maritime industry equipment to carry out effective ocean cleanup operations, using data and experience from the Institute’s month long research voyages to the North Pacific Gyre, The Think Tank/Do Tank is ready to offer assistance to other groups throughout the world, wishing to partner on ocean clean-up projects.
ABOUT PACIFIC GYRE, INC.
Pacific Gyre designs and manufactures an array of products used to track currents, collect environmental data and mark remotely deployed assets. These products, including GPS and satellite telemetry systems such as the dTail GPS Satelitte Trackers, which are a collaborative product worked on by Andy Sybrandy of Pacific Gyre and Mary Crowley of Ocean Voyages Institute in their clean-up work, provide the ability to track and monitor conditions in near realtime.
ABOUT FLOATECO
Ocean Voyages Institute is proud to be a member of the FloatEco interdisciplinary team led by Dr. Nikolai Maximenko and assisted by Dr. Jan Hafner of the International Pacific Research Center, School of Ocean and Earth Science and Technology – SOEST, located at the University of Hawaii, Manoa campus. Ocean Voyages Institute also works with Dr. Luca Centurioni, Director of the Lagrangian Drifter Laboratory at the University of California San Diego, Scripps Institution of Oceanography, which runs the NOAA funded Global Drifter Program, a major component of the Global Ocean Observing System (GOOS).
Ocean Voyages Institute deployed these drifters on the 2020 expedition to gather oceanographic and meteorological data used in weather forecasting, calibration of satellites and scientific research.
Other FloatEco members working with OVI are: Dr. Andrey Shcherbina, University of Washington Applied Physics Laboratory; Dr. Gregory Ruiz and Dr. Linsey Haram, Smithsonian Environmental Research Center Marine Research Lab; Dr. James Carlton, Williams College Center of Environmental Studies; Dr. Kathryn Murray and Cindi Wright, Ecosystems Stressors Program in Fisheries and Oceans Canada, and NASA – National Aeronautics and Space Administration The research work, funded in part by NASA, synthesizes the expertise of oceanographers, biologists, experienced seafarers, and the maritime industry to answer challenging questions about the state of plastic pollution in the open ocean.
ABOUT MATSON
Founded in 1882, Matson (NYSE: MATX) is a leading provider of ocean transportation and logistics services. Matson provides a vital lifeline to the domestic non-contiguous economies of Hawaii, Alaska, and Guam, and to other island economies in Micronesia.
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