Bioplastica da rifiuti. La BioPiattaforma di Sesto San Giovanni insieme all’impianto gemello di Saragozza avvia un nuovo progetto di economia circolare per il recupero di materie prime seconde estratte dai fanghi e dalla FORSU.
I fanghi di depurazione e la frazione umida dei rifiuti: da scarti a preziose risorse da cui trarre materie prime seconde applicando principi di economia circolare nel nome della transizione ecologica.
È questo l’obiettivo di Gruppo CAP, gestore del servizio idrico integrato della Città metropolitana di Milano, attraverso CIRCULAR BIOCARBON, un progetto internazionale che coinvolge la BioPiattaforma di Sesto San Giovanni e l’impianto gemello di Saragozza che mira a recuperare biopolimeri e minerali da impiegare per la produzione di bioplastiche, fertilizzanti con proprietà biostimolanti e grafene da impiegare a livello industriale.
CIRCULAR BIOCARBON è un progetto finanziato dal consorzio pubblico-privato BBI-JU, composto dall’Unione Europea e da aziende e istituti di ricerca di vari Paesi europei finalizzato all’applicazione di tecnologie e processi per il recupero di materie prime seconde.
“Queste tecnologie e questi processi si sposano perfettamente con l’idea che ha portato Gruppo CAP a realizzare la BioPiattaforma, primo esempio di sinergia industriale a emissioni zero – spiega Alessandro Russo, presidente e amministratore delegato di Gruppo CAP – L’innovativo impianto integra infatti termovalorizzatore e depuratore, e consente in questo modo di trattare fanghi da depurazione e FORSU da cui estrarre preziose materie prime seconde che, grazie alle sinergie industriali che abbiamo costruito nel corso degli anni, possono trovare impiego immediato, chiudendo il cerchio dell’intero processo circolare”.
E proprio l’ambito delle materie prime seconde è al centro del progetto CIRCULAR BIOCARBON. Partito un anno fa, ha coinvolto sia l’impianto di Sesto San Giovanni, sia un impianto gemello, situato a Saragozza, in Spagna, con un finanziamento totale di ben 23milioni di euro, di cui 2,5 assegnati a Gruppo CAP.
L’utility lombarda ha intrapreso la validazione di tecnologia già esistente per il trattamento dei fanghi di depurazione e della FORSU (la frazione umida dei rifiuti) conferita dai comuni presso i propri impianti per realizzare un processo di economia circolare per il recupero sia di un biopolimero, il polidrossialcanonato o PHA, da impiegare per la produzione di bioplastiche prive di petrolio e biodegradabili, sia di un minerale, la struvite, fondamentale per la produzione di biofertilizzanti.
Con il progetto CIRCULAR BIOCARBON la BioPiattaforma di Gruppo CAP utilizzerà una parte delle 30.000 tonnellate all’anno di rifiuti umidi, raccolte nei 6 comuni lombardi: Sesto San Giovanni, Pioltello, Cormano, Segrate, Cologno Monzese e Cinisello Balsamo. Dopo una prima fase di studio, i processi diverranno operativi nel 2023, e a regime, dal 2024, si calcola che si potrà recuperare oltre 500 tonnellate all’anno di PHA. In questo modo, oltre a produttore netto di bioenergia, CAP diverrà anche il maggiore soggetto produttore di questo materiale, che verrà poi conferito a Novamont, nell’ambito di una partnership pluriennale iniziata nel 2018.
Novamont potrà impiegare il biopolimero anche per la realizzazione di teli biodegradabili da impiegare in agricoltura per la pacciamatura. La struvite invece verrà impiegata nell’ambito di una partnership con l’azienda francese Agro Innovation International per la produzione di fertilizzanti con proprietà biostimolanti.
Il progetto CIRCULAR BIOCARBON mira a essere prima di tutto un modello efficiente ed efficace di economia circolare, che potrà poi essere replicato presso altri impianti del Paese. Il Modello BioPiattaforma mira, infatti, a sviluppare nuove opportunità di business basate su una innovativa concezione dell’End of Waste, per accompagnare le moderne smart city verso una bioeconomia sostenibile.
CIRCULAR BIOCARBON è solo uno dei progetti di economia circolare di Gruppo CAP, secondo l’approccio definito fin dalla presentazione del proprio piano di sostenibilità nel 2019. Entro la fine del 2022, per esempio, Gruppo CAP sarà in grado di recuperare dai fanghi di depurazione e dalla FORSU trattata nei propri impianti oltre 10 milioni di metri cubi di biogas, da cui ricavare 5milioni di metri cubi di biometano, in grado di fornire 51milioni di kWh all’anno, bastanti per alimentare 15.500 automobili per oltre 172milioni di chilometri, più della distanza dalla Terra al Sole.
Gruppo CAP è la realtà industriale che gestisce il servizio idrico integrato sul territorio della Città metropolitana di Milano secondo il modello in house providing, cioè garantendo il controllo pubblico degli enti soci nel rispetto dei principi di trasparenza, responsabilità e partecipazione. Attraverso un know how ultradecennale e le competenze del proprio personale coniuga la natura pubblica della risorsa idrica e della sua gestione con un’organizzazione manageriale del servizio idrico in grado di realizzare investimenti sul territorio e di accrescere la conoscenza attraverso strumenti informatici. Per dimensione e patrimonio Gruppo CAP si pone tra le più importanti monoutility nel panorama nazionale. Nel 2022 si è aggiudicato il premio Top Utility Ten Years come Utility italiana più premiata negli ultimi dieci anni.
Circular Food upcycling. Consumare cibo sano non significa rinunciare al gusto, e tantomeno gravare sull’ambiente. Sono sempre più numerose le aziende, ma anche i singoli cittadini, che iniziano a rendersi conto di quanto sia importante tornare ad adottare stili di vita e modelli produttivi più rispettosi dell’ecosistema oltre che della salute.
Circular Food Srl è tra queste. La start-up veneta nota per LEY, la rivoluzionaria farina ottenuta dagli scarti di produzione dei birrifici recuperati attraverso l’innovativo processo di essiccazione HSCD (High Speed Cold Dryer), non ha dovuto intraprendere un processo di adattamento per allinearsi alle attuali politiche green, perché i concetti di upcycling e antispreco sono proprio i valori che ne hanno ispirato la creazione oltre a guidarne le pratiche quotidiane.
Tutto in Circular Food – dal nome stesso agli ingredienti utilizzati, dai metodi selezionati alle tecnologie impiegate – si basa sul concetto di circolarità: un approccio antispreco, sostenibile, circolare e di cooperazione che ruota attorno al desiderio di reinserire nella catena alimentare dei sottoprodotti dell’industria alimentare che hanno ancora molto da offrire.
Come sottolinea l’Agenda 2030, spreco alimentare e inquinamento non sono più accettabili. In base ai dati di Ecovia Intelligence, società di consulenza specializzata in sostenibilità, il 2022 sarà l’anno dell’upcycled food.
La Upcycled Food Association (UFA), organizzazione americana che riunisce circa 70 aziende produttrici di referenze realizzate con scarti della filiera alimentare riciclati in modo creativo, lo scorso anno ha annunciato l’adozione di uno standard internazionale per la certificazione dei prodotti e degli ingredienti upcycled che presenteranno il logo UFA.
Quest’anno i prodotti certificati aumenteranno. In parallelo, crescono anche gli investimenti nel settore. Nell’urgente necessità di un cambio di rotta, Circular Food si colloca tra i pionieri.
Rispetto al riciclo (recycling), che si propone di trovare un nuovo utilizzo ai prodotti usati, l’upcycling punta alla valorizzazione degli scarti
Il prodotto scartato non trova solo nuova vita, ma lo fa acquistando un maggior valore rispetto alla situazione di partenza.
È questo ciò che accade con la farina LEY: ottenuta dalla rapida essiccazione delle trebbie di birra – prodotto scartato quotidianamente in enormi quantità dai birrifici – questa preziosa farina diventa una vera e propria risorsa. Ricca di fibre, proteine e minerali, essa viene reinserita nella catena alimentare assumendo a pieno titolo un ruolo di primo piano nella lotta antispreco trasformandosi in squisiti prodotti da forno.
Oggi più di 1/3 del cibo prodotto a livello mondiale viene sprecato, e con esso l’energia, l’acqua e la manodopera impiegati per la produzione
Si stima che negli USA circa 3 miliardi di kg di prodotti agricoli siano invenduti per ragioni estetiche, il che significa che il 28% dei terreni coltivabili viene destinato alla produzione di prodotti che non saranno mai consumati.
Solo negli USA lo spreco alimentare è responsabile del 4% delle emissioni di gas serra
Il riutilizzo di queste derrate potrebbe rendere più efficiente il modello di produzione evitando che il 20% delle risorse idriche utilizzate, il 25% dei terreni coltivati e l’8% di emissioni di gas serra prodotte rispetto al totale vengano utilizzati senza immettere valore nel sistema, ma causando solo altri sprechi.
Fondamentale è anche il modo in cui l’azienda sceglie di operare e agire, coerentemente con i propri principi
La tecnologia di cui si avvale per l’essiccazione consente di lavorare gli scarti alimentari tramite un processo ad “alta resa” che richiede un basso fabbisogno di energia e quindi risulta alimentabile anche totalmente da fonti rinnovabili, con una drastica riduzione delle emissioni di CO2.
L’acqua evaporata dagli alimenti (che, nel caso delle trebbie, arriva anche all’85% del peso del prodotto umido) viene recuperata, raccolta e reimmessa nel sistema.
Coerente con le politiche dell’azienda anche la recente collaborazione con Too Good to Go, l’iniziativa che consente a chiunque di contribuire attivamente alla lotta antispreco acquistando a prezzi ridotti il cibo (ancora integro e buono) rimasto invenduto, come testimonia la dicitura “Spesso Buono Oltre” presente sulle confezioni per ricordare ai consumatori di fidarsi dei propri sensi per verificare le effettive condizioni di un prodotto prima di decidere se buttarlo via una volta superato il termine minimo di conservazione.
Circular Food crede fermamente nell’upcycling, vedendolo come l’opportunità di “do more with less” e dare il proprio contributo alla salute del pianeta e delle persone, garantendo sicurezza alimentare e risparmiando le limitate risorse del pianeta.
La sfida più difficile in questo momento è educare il pubblico e rassicurarlo sul fatto che i prodotti derivanti da uno scarto alimentare sono buoni e fanno bene alla persona e all’ambiente, per arrivare a un modello di consumo più sostenibile per la nostra civiltà. La fine di un ciclo può essere l’inizio di quello successivo. LEY ne è la prova.
Climate and biodiversity crisis. New Common Agricultural Policy plans ignore climate reality and biodiversity crisis.
A new assessment released by Birdlife Europe and the European Environmental Bureau finds that EU Member States are failing to use CAP funds to address environmental degradation from intensive agriculture practices. This comes in time when member states are putting a final touch on their CAP strategic plans before their submission for the approval by the European Commission.
In two new briefings on soil health and grasslands conservation, national agricultural experts at Birdlife and the EEB analysed how eight and eleven EU member states respectively planned to use CAP funds to protect and manage grasslands and to ensure and safeguard soil health on EU farms.
The briefings find that member states’ CAP strategic plans are insufficient
CAP plans for 2023-2027 fail to adequately protect and sustainably manage valuable grasslands and show too little ambition to safeguard EU soils.
The findings are at odds with the EU Green Deal’s ambitions for its Farm to Fork and Biodiversity Strategies.
This complements the findings of two linked Birdlife and EEB briefings that demonstrate the draft CAP strategic plans are unlikely to reach the 10% biodiversity target set by the EU Biodiversity Strategy. The plans fail to sufficiently protect wetlands and peatlands and, thereby, to safeguard the preservation of carbon-rich soils.
Clearly, there is room for improvement
The European Commission has sent out its Observation Letters to member states, pointing out gaps and calling for higher environmental and climate ambitions.
“Vested interests are arguing that with the conflict in Ukraine taking place, the EU should take a step back from its ambitions for the environment and climate, otherwise it may face global food shortages. But that argument couldn’t be further away from the truth. Science clearly states that healthy ecosystems are our best allies to safeguard our food systems. Sadly, our assessments show that new CAP strategic plans will fail to protect natural resources and support the continuation of damaging policies. Farm Ministers should stop gambling with our future and seriously invest in protecting our planet and the ecosystems our food production relies on,” says Marilda Dhaskali, EU Agriculture Policy Officer, BirdLife Europe.
“The European Parliament has celebrated the 60th anniversary of CAP – one of the oldest, most generously funded and yet most controversial EU policies. The content and ambition of the new generation of CAP strategic plans will be a litmus test of whether this policy will still have any legitimacy in the future,” says Célia Nyssens, Senior Policy Officer for Agriculture and Food Systems, EEB.
Environmental ambitions set by the European Green Deal are integral to addressing biodiversity loss and climate change. However, these targets can not be met if current draft CAP plans that hurt the environment are approved. The series of thematic briefings published by Birdlife Europe and the EEB confirm that the European Commission must push for stronger CAP strategic plans that align with the Green Deal targets.
Key findings from the thematic briefings:
1. Grasslands in the new CAP: bad news for biodiversity and climate (June 2022):
New CAP conditionality leaves large areas of grasslands unprotected, including the most valuable ones. Even if protected, most grasslands are poorly managed. Management schemes that have potential to support sustainable management and protect biodiversity are underfunded, while most funds still support intensification. Measures that would encourage reduction of livestock are missing.
2. Soil and carbon farming in the new CAP: alarming lack of action and ambition (June 2022):
Draft CAP Strategic Plans fail to sufficiently protect EU soils and thereby fail to prevent further soil degradation and loss of soil organic matter. The conditionality requirements relevant to soils (GAEC 5, 6 and 7) are implemented too weakly by Member States to reduce soil threats and slow down soil degradation.
3. Space for nature on farms in the new CAP: not in this round (April 2022):
The analysis shows that the draft CAP strategic plans are unlikely to adequately contribute to reaching the 10% biodiversity target. The reasons include: low mandatory baseline, use of exemptions and weighting factors that inflate the real area. The ambition to support non-productive elements by voluntary schemes measured by indicator R.34 is blatantly inadequate and/or in many cases the area is overestimated.
4. Peatlands and wetlands in the new CAP: too little action to protect and restore (April 2022)
Draft CAP Strategic Plans currently fail to sufficiently protect wetlands and peatlands and thereby to safeguard the preservation of carbon rich soils. Unfortunately, GAEC 2 is implemented weakly by Member States and in some cases even delayed, thereby contributing to the destructive status quo of peatland drainage and intensive use for agriculture.
The European Environmental Bureau (EEB) is Europe’s largest network of environmental citizens’ organisations, standing for environmental justice, sustainable development and participatory democracy. Our experts work on climate change, biodiversity, circular economy, air, water, soil, chemical pollution, as well as policies on industry, energy, agriculture, product design and waste prevention. We are also active on overarching issues as sustainable development, good governance, participatory democracy and the rule of law in Europe and beyond.
We have over 160 members in over 35 countries.
Sistema sub-irrigazione. Nasce Underdrip innovativo sistema di sub-irrigazione di precisione, sviluppato e testato in collaborazione con il Politecnico di Milano e l’Università Cattolica sedi di Cremona e Piacenza e promossa da MartinoRossi SpA. Il sistema interrato ad alta efficienza consente di ridurre sino al 60% i consumi idrici e del 25% quelli di fertilizzanti, abbattendo il ricorso a diserbanti e fitosanitari.
Un contributo tutto italiano alla crescita sostenibile in agricoltura e di contrasto ai cambiamenti climatici, argomenti più che mai attuali e al centro della crisi idrica.
Momento di particolare tensione per il comparto agricolo nazionale
Da sempre il settore agricolo e interlocutore chiave per un uso sostenibile delle risorse naturali che contemperi il crescente fabbisogno alimentare con la tutela della biodiversità e il contrasto alle alterazioni climatiche.
Il pericolo della siccità dopo un inverno e una primavera avari di precipitazioni e i costi per energia e carburante schizzati alle stelle, infatti, rendono se possibile più amare le riflessioni sul tema della Giornata Mondiale dell’Ambiente: Only One Earth, ossia, non esistono alternative alle risorse del pianeta che ci ospita.
Underdrip: l’agricoltura innovativa che si prende cura dell’ambiente
Il settore agricolo italiano è costantemente alla ricerca di soluzioni sostenibili per non subire passivamente le emergenze climatiche. Nell’ambito nevralgico dei sistemi irrigui, il nostro Paese è particolarmente dinamico e al centro di progetti, sperimentazioni e tecnologie all’avanguardia mondiale.
Uno degli esempi più brillanti di questa agricoltura innovativa e che sa guardare lontano è Underdrip, la società ad hoc creata da Giorgio Rossi, Presidente di MartinoRossi S.p.A, azienda specializzata nella trasformazione di cereali e legumi da filiera controllata in farine, semilavorati e ingredienti funzionali allergen free destinati a soddisfare i laboratori e l’industria alimentare specializzata.
La missione di Underdrip, sistema testato in collaborazione con l’Università degli Studi di Piacenza e Milano, è quella di curare lo sviluppo e la diffusione dell’omonimo sistema di sub-irrigazione di nuova concezione che rende possibile un netto salto di qualità in termini di efficienza irrigua, produttività delle colture e drastico abbattimento dell’impatto sull’ambiente delle attività agricole.
Il sistema prevede l’interramento delle manichette su file parallele a una profondità variabile tra i 35 e i 50 cm a seconda delle tessiture del terreno, con memorizzazione GPS della posizione dell’impianto.
Acqua e fertilizzanti vengono rilasciati a bassa pressione in corrispondenza delle radici delle colture e si distribuiscono gradualmente, sfruttando la microporosità del suolo.
Solo la giusta quantità: vantaggi testati
La tecnologia di sub-irrigazione profonda Underdrip ha superato anni di sperimentazione su terreni agricoli pilota nei quali ha dimostrato di poter ridurre sino al 60% i consumi idrici, azzerando le perdite per evaporazione e gli sprechi dei sistemi tradizionali.
La distribuzione dell’acqua in prossimità degli apparati radicali stimola questi ultimi a crescere più in profondità, migliorando l’assorbimento dell’acqua e degli elementi nutritivi con conseguente incremento di vitalità e di resa produttiva delle colture.
La superficie del campo asciutta, inoltre, inibisce la crescita delle specie infestanti e riduce il rischio per le colture di sviluppare malattie fungine in grado di compromettere qualità e quantità del raccolto.
Ne consegue una minor necessità di fare ricorso all’irrorazione di diserbanti e prodotti fitosanitari.
Anche sotto il profilo della fertirrigazione, la maggiore efficienza di Underdrip consente di ridurre del 25% il ricorso ai fertilizzanti azotati, principali responsabili del rilascio dell’azoto nell’atmosfera e dell’inquinamento da composti azotati delle acque di falda.
Un ulteriore aspetto positivo del sistema è che permette di beneficiare dei vantaggi dell’agricoltura conservativa: la non necessità di rivoltare periodicamente il terreno favorisce la naturale capacità del suolo di stoccare anidride carbonica e lo aiuta a conservarsi fertile, vitale e compatto.
“Underdrip è un progetto nato dalla ricerca di una soluzione innovativa ed efficace che contribuisse a vincere la sfida di una crescita sostenibile in campo agricolo” – spiega Giorgio Rossi, Presidente di MartinoRossi S.p.A. e Fondatore della società Underdrip. “Ci siamo focalizzati sull’irrigazione perché è lo snodo che consente alle aziende agricole di gestire le situazioni sempre più frequenti di scarsità d’acqua e di spezzare il circolo vizioso che porta a rispondere alla minore fertilità dei suoli coltivati con interventi sempre più invasivi in termini di impatto sull’ambiente.”
Altri vantaggi pratici utilizzando il sistema Underdrip
Oltre 10 anni di sperimentazione hanno provato che Underdrip, associato a tecniche di semina su sodo, garantisce già dal primo anno un incremento del 10% della produttività, un dato destinato a crescere negli anni successivi e l’irrigazione controllata riduce lo stress delle piante dovuto all’eccesso o alla carenza di acqua, creando le condizioni favorevoli allo sviluppo vegetativo di qualsiasi coltura.
MartinoRossi Spa da 70 anni produce farine, granelle, semilavorati e ingredienti funzionali a base di cereali e legumi senza glutine, soia e Ogm, servendo i maggiori gruppi alimentari internazionali.
Oggi l’azienda rappresenta uno dei principali punti di riferimento a livello mondiale in fatto di ricerca e innovazione applicata al settore food.
Fast-food emissions and water management. A three-year global investor engagement with fast food giants has resulted in significant progress on climate target setting but has raised concerns for investors about the management of both emissions and water usage in the supply chain, according to a new progress report published today by the global investor network FAIRR and the sustainability organization Ceres.
Led by an $11 trillion investor coalition, the Global Investor Engagement on Meat Sourcing focused on six leading fast-food companies with a combined market cap of more than $281 billion: Chipotle Mexican Grill, Domino’s Pizza, McDonald’s, Restaurant Brands International (owners of Burger King), Wendy’s Co. and Yum! Brands (owners of KFC, Pizza Hut and Taco Bell). The coalition, which includes over 90 investors, urged companies to de-risk their meat and dairy supply chains by setting ambitious targets to reduce greenhouse gas emissions, while reducing water usage and their impacts on water quality.
The report, Global Investor Engagement on Meat Sourcing Progress Update 2022, reveals that all six fast food companies have now publicly set, or committed to set, science-based targets approved by the Science Based Targets initiative (SBTi) (*).
Chipotle has committed to reduce scope 1, 2 and 3 emissions by 50% by 2030.
The report also shows that well over 90% of these companies’ emissions come from scope 3 emissions where suppliers of meat and dairy products are a key concern and play a significant role. However, only two of the six firms, RBI and Yum!, disclosed total emissions derived from animal agriculture. Both companies listed meat and dairy suppliers as responsible for more than half (57% and 51% respectively) of their total emissions.
Investors warn this lack of transparency in the animal agriculture supply chain could undermine the efforts of food brands to tackle climate risk.
The Global Investor Engagement on Meat Sourcing was coordinated by FAIRR and Ceres.
Cristina Figaredo, Senior Manager, Research & Engagement at FAIRR, said: “Regulators and influential frameworks such as the Science Based Targets Initiative (SBTi) are tightening requirements for the food sector to report and act on climate. So, investors are very concerned that ambitious climate targets by fast food companies are not translating into action along the supply chain. The lack of alignment of supplier policies with corporate climate ambitions risks undermining the efforts of these high-street brands to tackle climate risk. Their performance on water is also alarmingly poor, and efforts to mitigate risks related to water scarcity and pollution have stagnated over the past year.”
Addressing risks to the global water supply
None of the fast-food firms have set enterprise-level targets to reduce water pollution and consumption across their supply chains (**).
This is despite the food industry ranking as the largest driver by far of water consumption, water pollution, and other water-related impacts globally. While some companies, including Wendy’s, McDonald’s and Yum!, have begun setting targets to address their water impacts in their operations, investors continue to stress that they are failing to address larger risks within the agricultural supply chain. This is especially important because the agricultural supply chain make up the bulk of companies’ water footprint. Domino’s’ 2020 materiality assessment found that the production of ingredients accounted for 88% of its overall water consumption.
Currently, RBI has not disclosed any efforts to analyse water risks in their operations, while McDonald’s is the only company that has conducted a comprehensive water risk assessment that includes its supply chain. This means five of the six companies may be unaware of how much water is being drawn from areas of high-water stress and resulting water scarcity risks.
Daniel Shepard, Senior Associate of Investor Engagement, Water at Ceres, said: “When investors come together to move companies to action on climate and water risks, we see the power of capital markets to accelerate the shift to a more just, sustainable economy. While there is much more to do, the results of this engagement show that we are making progress.
The time is now for companies to double down on their commitments and demonstrate real impact. We are particularly focused on advancing better water risk management in supply chains, an often overlooked, but equally important, side of the climate change coin.”
John Anzani, LAPFF Executive Committee Member, said: “For many years, fast food companies have been laggards when it came to acting on climate risk, so we are pleased to see that all six of these fast-food giants have now committed to Science-Based Targets – an increase from just two in 2020.
However, progress on water, a key impact in this sector is lagging. We will be working with other investors to help capital markets properly value water and manage water impacts across industries.”
Masaru Okubo, Senior Stewardship Officer at Sumitomo Mitsui Trust Asset Management, said: “It is imperative that companies implement strong policies governing how they source meat and dairy, and engage suppliers to align their supply chains with corporate targets on climate and water.”
(*) Wendy’s and Domino’s have confirmed they will submit targets for approval by SBTi. All other firms have had their Science-Based Targets set and approved by SBTi.
(**) Covering their own operations and throughout the value chain, including direct and indirect suppliers.
The FAIRR Initiative is a collaborative investor network, founded by Jeremy Coller, with a membership of $55 trillion assets under management. FAIRR works with institutional investors to define the material ESG issues linked to intensive livestock and fish farming systems and provide them with the tools necessary to integrate this information into their asset stewardship and investment decisions.
This includes the Coller FAIRR Index, the world’s first comprehensive assessment of the largest global animal protein companies on environmental, social and governance issues.
Ceres is a nonprofit organization working with the most influential capital market leaders to solve the world’s greatest sustainability challenges. Through our powerful networks and global collaborations of investors, companies, and nonprofits, we drive action and inspire equitable market-based and policy solutions throughout the economy to build a just and sustainable future.
Raccolta rifiuti elettronici 2021, più di 24 mila tonnellate gestite da Ecolight. Con un tasso di recupero oltre il 95%, il consorzio nazionale RAEE è in prima linea nel processo di economia circolare. Il presidente Camarda: «Il potenziamento della raccolta inizia da un corretto conferimento»
Oltre 24 mila tonnellate di rifiuti da apparecchiature elettriche ed elettroniche (RAEE) gestite nel 2021 con un tasso di recupero che supera il 95%. Sono i dati dell’attività di Ecolight presentati nell’assemblea annuale del consorzio. Un volume di rifiuti hitech che pone Ecolight tra i protagonisti della filiera RAEE italiana per la costruzione di un reale processo di economia circolare e che traccia la strada per quella transizione ecologica tanto invocata.
«In uno scenario internazionale di grande incertezza, siamo tutti chiamati a una responsabilità in più: mettere in atto tutte le azioni necessarie per tutelare sempre di più il nostro ambiente, il nostro futuro», ha esordito il presidente di Ecolight, Walter Camarda. «E lo possiamo fare agendo correttamente per una maggiore raccolta e un miglior recupero. Le materie prime seconde rappresentano e rappresenteranno una risorsa sempre più importante che deve essere “coltivata” fin dall’inizio, ovvero da un corretto conferimento del rifiuto, in particolar modo per i RAEE».
L’attività del consorzio si è sviluppata lungo due direttrici principali: innanzitutto la raccolta presso le isole ecologiche attribuitegli dal Centro di Coordinamento RAEE. Attraverso i 3 mila punti di prelievo serviti, Ecolight ha raccolto più di 23,5 mila tonnellate di rifiuti elettronici. Oltre il 63% di questi ha riguardato il raggruppamento RAEE R4 che comprende i piccoli elettrodomestici e l’elettronica di consumo, quali ad esempio frullatori e smartphone.
«Rispetto al Sistema Italia, nel 2021 Ecolight ha gestito il 19% di tutti gli R4 raccolti e oltre il 40% degli R5, ovvero le lampade a risparmio energetico e i neon non più funzionanti, confermando così la propria posizione di riferimento per questi raggruppamenti», ha aggiunto Camarda.
La seconda direttrice è rappresentata dall’attenzione posta nei confronti della Distribuzione. Ai rivenditori di apparecchiature elettroniche la legge attribuisce un importante ruolo nella raccolta dei RAEE: in virtù del principio dell’Uno contro Uno, è infatti possibile consegnare al rivenditore la vecchia apparecchiatura quando se ne acquista una di equivalente funzionalità (ad esempio, in caso di sostituzione del frigorifero o del televisore) indipendentemente dalle modalità di vendita.
Il principio dell’Uno contro Zero interessa solamente i rifiuti elettronici di piccole dimensioni: questi possono essere lasciati in negozio senza alcun obbligo di acquisto. Il riferimento è a lampade, telefonini, mouse, caricabatterie. Ecolight, attraverso la propria azienda di servizi Ecolight Servizi, ha erogato il servizio a 3.250 punti vendita raccogliendo più di 750 tonnellate di RAEE. Inoltre, il consorzio è attivo anche con un servizio di raccolta di prossimità con le EcoIsole per i piccoli RAEE: attraverso i 32 contenitori automatizzati posti vicino a grandi strutture di vendita e, grazie alla collaborazione con AMSA-Gruppo A2A e il Comune di Milano, in corrispondenza di otto Municipi del capoluogo lombardo, sono state gestite 25 tonnellate di rifiuti tecnologici.
«Il tema dei RAEE richiede però un maggiore impegno da parte di ciascuno. La possibilità di valorizzare il recupero dipende innanzitutto da un conferimento corretto del rifiuto. E i rifiuti elettronici devono essere conferiti separatamente», conclude il presidente di Ecolight. «L’impegno del consorzio prosegue nella direzione di assicurare un sempre maggiore rispetto dell’ambiente; un obiettivo sul quale sono coinvolte tutte le 2.100 aziende che aderiscono a Ecolight».
Ecolight – Costituito nel 2004, è uno dei maggiori sistemi collettivi per la gestione dei RAEE, delle Pile e degli Accumulatori. Il consorzio Ecolight raccoglie oltre 2.100 aziende e opera in una logica di contenimento dei costi e rispetto per l’ambiente. È stato inoltre il primo sistema collettivo in Italia ad avere le certificazioni di qualità ISO 9001 e ISO 14001. È punto di riferimento per la grande distribuzione (Gdo) e tratta tutte le tipologie di RAEE.
Green Taxonomy e LCA: un binomio importante tra impatti economici e preparazione delle aziende. Cos’è la tassonomia verde (in inglese Green Taxonomy) e perché è utile adottare strumenti come il Life Cycle Assessment (LCA) per essere allineati ad essa.
Il tema del cambiamento climatico ha acquisito, nel corso degli anni, sempre maggiore importanza e generato un interesse più forte da parte di cittadini e istituzioni. Questa maggiore sensibilità, favorita anche da accordi internazionali come l’Agenda 2030 delle Nazioni Unite e la COP26 di Glasgow, trova uno sbocco anche nelle politiche messe in atto dall’Unione Europea, che punta all’obiettivo della carbon neutrality entro il 2050.
“L’UE vuole favorire la finanza sostenibile e indirizzare le scelte di investimento degli agenti economici tenendo conto dei fattori ESG (Environmental, Social e Governance), ovvero degli aspetti legati alla riduzione dell’impatto ambientale, alla gestione attenta delle persone e delle comunità e alla governance equilibrata delle organizzazioni”, dichiara Primiano De Rosa-Giglio, Business Line Manager Sustainability di TÜV Italia.
LA TASSONOMIA EUROPEA DELLE ATTIVITÀ SOSTENIBILI
Il Regolamento UE 2020/852 ha introdotto la “EU Taxonomy of Sustainable activities”, un meccanismo di classificazione delle attività che possono essere considerate sostenibili in base a quanto sono allineate agli obiettivi ambientali dell’Unione Europea e alla compliance con alcune clausole di carattere sociale. La tassonomia individua sei obiettivi ambientali e climatici:
1. Mitigazione del cambiamento climatico
2. Adattamento al cambiamento climatico
3. Uso sostenibile e protezione delle risorse idriche e marine
4. Transizione verso l’economia circolare, con riferimento anche a riduzione e riciclo dei rifiuti
5. Prevenzione e controllo dell’inquinamento
6. Protezione della biodiversità
“Un’attività, per essere allineata alla tassonomia, deve contribuire positivamente ad almeno uno dei sei obiettivi ambientali sopracitati, non produrre impatti negativi su nessun altro obiettivo e rispettare standard sociali minimi”, aggiunge De Rosa-Giglio.
La contribuzione agli obiettivi viene determinata tramite criteri tecnici di screening (TSC); questi criteri quantitativi permettono di definire se specifiche attività economiche possono dirsi “sostenibili”, oppure se, al contrario, non sono in linea con gli obiettivi ambientali.
La tassonomia è una guida per le organizzazioni, che hanno la possibilità di valutare la sostenibilità delle proprie attività e definire strategie di sostenibilità ambientale e per una rendicontazione (report di sostenibilità) più concreta e comparabile; una guida per gli investitori, in modo da comprendere l’impatto ambientale delle attività economiche nelle quali investono e integrare i criteri ESG nelle analisi del rischio, e infine una “lista della spesa per il futuro dell’umanità”, ossia una lista di quelle attività su cui possiamo contare per un futuro sostenibile a impatto zero.
QUAL È L’IMPATTO SULL’ECONOMIA ITALIANA?
I settori presi in considerazione dalla tassonomia hanno un peso rilevante sul sistema produttivo italiano. A livello nazionale le imprese operative nei settori identificati dalla tassonomia sono il 26,5% delle società di capitale italiane e impiegano 1 milione e 700 mila addetti. Il Regolamento UE 2020/852, prevede che le organizzazioni soggette alla Direttiva sulla rendicontazione non finanziaria (NFRD) e, successivamente, alla nuova Direttiva sulla rendicontazione di sostenibilità delle imprese (CSRD) dovranno rendicontare in merito all’allineamento delle proprie attività alla tassonomia.
COSA POSSONO FARE LE AZIENDE?
Le aziende possono iniziare a riflettere sul proprio modello di business e sulla propria strategia di sostenibilità, a misurare e raccogliere dati sull’impatto dei propri processi/prodotti confrontandoli con i criteri di screening della tassonomia e a rendicontare questi dati in modo integrato ed efficace.
“Qui entra in gioco il Life Cycle Assessment (LCA), metodo scientifico che permette alle aziende di calcolare l’impatto ambientale dei propri prodotti lungo il loro intero ciclo di vita”, aggiunge De Rosa-Giglio. “Tramite l’applicazione di questo metodo le aziende possono rispondere anche alle esigenze correlate agli obiettivi della tassonomia”.
COME FUNZIONA UNO STUDIO LCA
Uno degli output di uno studio LCA è la quantificazione dell’impatto che un prodotto ha sul cambiamento climatico. È, infatti, possibile calcolare le emissioni di CO2 equivalenti che il prodotto causa nell’arco del suo ciclo di vita. Possedere queste informazioni consente all’azienda di evidenziare le fasi critiche su cui andare ad agire in ottica di mitigazione dell’impatto e di conoscere meglio il contesto in cui opera in modo da poter pianificare azioni di adattamento al cambiamento climatico.
“Il Life Cycle Assessment non è focalizzato esclusivamente sul cambiamento climatico, e le aziende possono decidere di quantificare anche gli impatti ambientali legati al consumo e all’inquinamento delle risorse idriche, del suolo o dell’aria che respiriamo”, conclude De Rosa-Giglio. “Grazie a queste informazioni esse possono intervenire in maniera mirata sui propri processi per proteggere le risorse del pianeta e prevenire l’inquinamento”.
Implementare uno studio LCA significa quantificare i flussi di rifiuti, reflui ed emissioni in uscita dalla propria azienda e l’impatto delle relative operazioni di smaltimento e trattamento. Avere queste informazioni permette alle aziende di conoscere e controllare i propri flussi di output che risultano critici per l’ambiente e di iniziare a lavorare su opzioni di trattamento alternative, identificando potenziali nuovi utilizzi che trasformerebbero i rifiuti in sottoprodotti, dando quindi vita a nuovi processi circolari.
Gruppo TÜV SÜD, fondato nel 1866 come associazione di controllo delle caldaie a vapore, è cresciuto diventando un’impresa globale. Opera con oltre 24.000 dipendenti dislocati in oltre 1.000 sedi in circa 50 paesi allo scopo di migliorare costantemente tecnologia, sistemi e competenze. TÜV SÜD contribuisce attivamente a rendere innovazioni tecniche come Industria 4.0, guida autonoma ed energie rinnovabili sicure e affidabili.
TÜV Italia fa parte del gruppo TÜV SÜD ed è presente in Italia dal 1987. TÜV Italia ha una struttura di oltre 600 dipendenti e 400 collaboratori, con diversi uffici operativi sul territorio nazionale, a cui si affiancano i laboratori TÜV Italia e Bytest a Volpiano (TO) e pH a Barberino Tavarnelle (FI), acquisite rispettivamente nel gennaio 2012 e nel gennaio 2013. TÜV Italia organizza periodicamente webinar e seminari gratuiti, dove vengono affrontati I temi tecnici più attuali, altre ai numerosi corsi formativi professionali, dedicati ad approfondire e sviluppare competenze in tutti i settori in cui l’ente opera.
The biggest greenwashing in history. Fossil gas labelled green in European taxonomy. European MEPs from the far right and the majority of the EPP voted in favour of the EU Commission’s proposal to inexplicably label gas as ‘green’ in the EU’s taxonomy of sustainable investments by 328 to 278.
Europe’s elected representatives have let citizens down, says Transport & Environment, which has labelled the vote a disaster for the climate and a gift to Putin.
Luca Bonaccorsi, sustainable finance director at T&E, said: “This must be the biggest act of greenwashing in history; enacted by the same people that are supposed to protect us from the climate crisis. The sun won’t set in the east just because a bunch of complicit politicians say so in a law. Nor will gas ever be clean and renewable. The laws of nature don’t lie, but the taxonomy does. This bill will not stand up to the many legal challenges being announced, and it will be shunned by investors.”
The provisions allow all new gas plants to be labelled green under the condition that they will be used ‘sparingly’.
This undermines the credibility of sustainable investing, says T&E, since no green fund or green bond includes gas today.
At best the EU’s rules will be ignored, at worst it will fuel a whole industry of fake green investments.
Luca Bonaccorsi concluded: “On top of being environmentally disastrous the bill is also unfair, with almost 75% of the estimated green funds going to France and Germany. The criteria to access green funds have been skillfully designed to steer all funds towards the two member states that co-authored the law. This is a truly sad day for Europe.”
Diversity Equity Inclusion DE&I fondamentali per 76% dei lavoratori: leva di crescita per aziende e assicurazione contro “Great Resignation”. Ma solo il 24% delle imprese contempla gli obiettivi di Diversity, Equity & Inclusion all’interno della propria business strategy
Lo studio “Rethink & Broaden Diversity, Equity, and Inclusion to create competitive advantage” elaborato da Boston Consulting Group fotografa, attraverso un’analisi globale, l’attuale capacità delle aziende di attivare politiche DE&I in modo efficace.
Le politiche di Diversity, Equity e Inclusion saranno nell’immediato futuro una delle sfide centrali per la crescita delle aziende e un investimento a contrasto della “Great Resignation”. Tuttavia, sebbene il 76% della forza lavoro consideri le modalità di gestione delle policy DE&I un fattore chiave, solo il 24% delle imprese contempla obiettivi di Diversity, Equity e Inclusion all’interno della propria business strategy.
“Tutte le varie popolazioni aziendali si devono sentire fin dall’inizio safe to speak up, come diciamo noi”, commenta Monia Martini, EMC People and HR Operations Director di Boston Consulting Group. “L’approccio che le imprese hanno avuto finora verso le politiche DE&I indebolisce le prospettive di successo che le policy avrebbero potuto determinare se correttamente applicate. Rimuovere davvero i bias, proporre progetti innovativi e cooperare con un ecosistema di partner diversificato permetterà di motivare i dipendenti e liberare il loro potenziale. Ed è così che diventeranno driver di crescita”.
Alti livelli di equità, diversità ed inclusione sono sempre più associati a una maggiore innovazione e produttività, oltre a facilitare l’acquisizione di nuovi talenti e, secondo lo studio BCG, le aziende che stanno investendo in DE&I e sulla costituzione di una supply chain realmente inclusiva, attivano un circuito economicamente virtuoso e registrano un ritorno dell’investimento (ROI) 1.3 volte maggiore rispetto ai competitor.
IL GAP TRA MANAGEMENT E CONSUMATORI
Volgendo la lente di ingrandimento sulle considerazioni prevalenti tra i lavoratori, il report BCG mostra che oltre il 67% dei dipendenti pensa che le aziende in cui lavorano siano inclusive, pur evidenziando come la presenza di bias e la mancanza di trattamento equo sul posto di lavoro siano due dei tre fattori maggiormente collegati al fenomeno della “Great Resignation” che ha preso piede a partire dal 2021.
Relativamente ai consumatori, invece, negli ultimi anni è notevolmente cresciuta la pressione dei consumatori nei confronti delle aziende sia per effetto dei grandi movimenti globali impegnati nella difesa delle minoranze che a causa della pandemia da Covid-19, che ha impattato principalmente sulle fasce più deboli della popolazione.
Questa crescente attenzione a progetti incentrati sul “bene comune” sta portando le aziende a rafforzare il proprio attivismo e la propria impronta sostenibile. L’88% degli investitori istituzionali sottopone le policy ESG allo stesso processo di esame dedicato alle decisioni finanziarie soprattutto perché oltre l’80% degli studi conferma che l’implementazione di policy ESG si traduce in prestazioni economiche migliori per le aziende.
Sebbene il report BCG rilevi che solo il 27% degli executive manager consideri la mancanza di allineamento interno su azioni e tematiche sociali una barriera al mercato, le nuove generazioni di consumatori guardano in una direzione differente: il 90% della Gen Z avverte come fondamentale un impegno diretto delle aziende sui temi di maggior impatto sociale attraverso campagne di advocacy o azioni concrete.
Il 53% degli utenti della Generazione Z, inoltre, considera importante che le aziende puntino alla costituzione di un leadership team basato sulla diversità, ovvero alla costruzione di un management fondata sul riconoscimento e la valorizzazione di culture e background differenti
TRE SFIDE CENTRALI PER LE AZIENDE
Quali sono le sfide che le aziende devono affrontare per gestire correttamente questa trasformazione? Principalmente tre.
Per attrarre talenti sarà fondamentale costruire una forza lavoro basata sulla diversità e assicurare un ambiente di lavoro equo e privo di bias.
In ambito business sarà necessario integrare principi di inclusione, equità e diversity nell’ambito di ogni business operation, guidando l’innovazione e la value creation verso pratiche, prodotti e servizi più inclusivi.
Infine, a livello sociale, per le imprese sarà fondamentale attuare progetti e strategie che permettano di usare l’identità, la voce e l’influenza aziendale per catalizzare cambiamenti sociali concreti, misurando l’impatto delle attività dirette e i suoi molteplici effetti.
“L’approccio verso le policy DE&I deve evolvere fino a diventare parte integrante delle strategie aziendali. In futuro le imprese dovranno da un lato moltiplicare gli investimenti e i modelli d’innovazione applicabili ai progetti DE&I e allo sviluppo di prodotti inclusivi e, dall’altro, rafforzare l’inserimento di obiettivi DE&I all’interno dei KPI di performance del management”, conclude Martini.
Boston Consulting Group (BCG), nata nel 1963, è oggi leader della consulenza strategica, con più di 90 uffici in 50 paesi e 22.000 professionisti. BCG è al fianco dei clienti in diversi settori e geografie per identificare insieme le opportunità a maggior valore aggiunto, affrontare le sfide critiche e aiutarli nella trasformazione del business.
Presente nel nostro Paese da oltre trent’anni, BCG Italia opera attraverso i due uffici di Milano e Roma.
Manifesto Interazione Naturale. Interacta, lo strumento che supporta, in modo naturale, le organizzazioni nella condivisione della conoscenza e nella gestione dei processi, presenta il “Manifesto dell’Interazione Naturale”. Una dichiarazione fatta di 30 tesi forti, sincere, che mettono a nudo ciò che non si può ignorare e nemmeno rimandare, un nuovo approccio al modo di lavorare, che va oltre gli slogan, per ripensare i modelli organizzativi etici che siano, prima di tutto, sistemi umani.
Il manifesto nasce dalla convinzione che, oggi più che mai, il business deve mettere al centro i bisogni delle persone e fornire soluzioni a ciò che provoca disagi e malessere nell’ambiente di lavoro facendo sentire le persone inadeguate: la collaborazione macchinosa e caotica, la mancanza o l’inaccessibilità delle informazioni e della conoscenza di cui abbiamo bisogno, il supporto reciproco tra colleghi che non viene agevolato, i flussi poco trasparenti, rallentati, ingessati o perfino resi impossibili da strumenti che mirano solo a “procedurare”, ma soprattutto la mancanza di obiettivi chiari e condivisi. Le persone non vengono messe nelle condizioni di sapere che i propri sforzi e il proprio contributo valgono per l’azienda e per i colleghi.
Serve un cambiamento e serve prendere consapevolezza che siamo in tanti a volerlo
La realtà è che la nostra felicità dipende dalla realizzazione di noi stessi, dall’equilibrio fra la nostra vita lavorativa e quella privata, dal sentire di appartenere a comunità con cui condividiamo visioni e valori e dalla consapevolezza del contributo che diamo al benessere della collettività. Ciò vale anche al lavoro.
Il Manifesto dell’Interazione Naturale mette nero su bianco che si può concepire un nuovo approccio e spiega anche come.
Le persone felici diventano le vere risorse
Il Manifesto dell’Interazione Naturale di Interacta mette al primo posto la felicità degli individui sul lavoro. L’attenzione al benessere sul lavoro genera ricchezza, non solo economica, che si trasforma in efficienza. La promozione del benessere e del suo mantenimento sono requisiti essenziali per l’azienda che investe con lungimiranza per il coinvolgimento di tutti in un beneficio reale che crea valore.
L’esigenza di diffondere un manifesto sui principi fondamentali su cui basare un nuovo approccio al lavoro, un codice etico da adottare, si trasforma in un atto di civiltà, in un gesto di profondo senso civico da condividere con la comunità, perché se l’Italia è fondata sul lavoro la vita e la salute delle persone dipende da essa.
Il Manifesto diventa un appello rivolto a tutti coloro che credono nei valori che proclama, uno strumento per riconoscerci, prendere consapevolezza, essere compagni di strada e di unirci in un movimento per costruire un nuovo approccio al modo di lavorare e stare in azienda.
Il Manifesto dell’Interazione Naturale, realizzato dall’artista Margherita Paoletti, vuole essere la Stella Polare che guida il cambiamento di tutte le aziende e le persone che perseguono la felicità.
COME FUNZIONA INTERACTA?
Interata è in grado di creare “schemi” all’interno dei quali tutti coloro che hanno accesso possono interagire naturalmente, condividere informazioni e contenuti in maniera trasversale su tutta l’azienda: materiali, documenti, aggiornamenti, statistiche, analisi ecc…
L’idea è quella di mettere tutte le persone al centro dell’attività per farle interagire associando la gestione dei processi alla diffusione della conoscenza tramite l’aspetto collaborativo degli strumenti digitali immediati da usare e facili da gestire.
Questo alimenta concetti fondamentali utili al riconoscimento di un ambiente sano sul lavoro come la costruzione della fiducia, la condivisione della conoscenza, la chiarezza che trasmette sicurezza e senso di appartenenza e l’emergere dell’intelligenza collettiva. Quindi il software ha il potere di organizzare le parti parlando in un linguaggio chiaro.
La piattaforma interata nasce e si sviluppa per soddisfare questi requisiti accompagnando l’evoluzione naturale del business, coerentemente con la trasformazione digitale in atto. Se molti software dividono l’azienda in parti, con grammatiche, linguaggi e gerghi specifici, Interacta ha il potere di organizzare le diverse funzioni parlando una lingua universale.
Affiancando medie e grandi imprese del calibro di Barilla, Zuegg, SCM, solo per citare alcuni esempi, Interacta ha portato un approccio innovativo basato su una comunicazione più immediata, che influisce sulla gestione dei processi, la condivisione della conoscenza e il coinvolgimento delle persone. Il linguaggio “interattivo” è il cuore e allo stesso tempo il vantaggio della piattaforma Interacta: riduce la curva di apprendimento, motiva la comunicazione, aumenta la visibilità e il controllo sul lavoro, a beneficio di efficienza ed efficacia. Oggi Interacta è utilizzata da decine di migliaia di utenti dislocati nei 5 continenti.