Stay warm Save energy: Insulating EU homes could reduce energy demand by 44%, saving up to 777 TWh. A new study released by BPIE (Buildings Performance Institute Europe) shows that improving the insulation of existing residential buildings in the EU would significantly contribute to securing the bloc’s energy independence and achieving the EU target of reaching climate neutrality by 2050.
Improved insulation of EU residential buildings would result in a reduction of energy demand for heating in buildings by 777 TWh, or 44% compared to 2020: 46% in gas savings, 44% in heating oil savings and 48% in coal savings.
“The results speak for themselves,” says Oliver Rapf, BPIE Executive Director. “Buildings must be treated as vital infrastructure contributing to EU energy security and climate neutrality. Deep renovation should be one of the EU’s highest priorities facing the energy crisis.”
In this analysis, BPIE modelled two renovation scenarios until 2050: The 2% Renovation Scenario and the Full Renovation Scenario.
The 2% Renovation scenario – following the goal renovation rate prescribed by the European Commission in the Renovation Wave Strategy – assumes that a 2% renovation rate is reached by 2030 and remains at that level until 2050. The Full Renovation scenario assumes that after 2030 the average renovation rate (now at 1%) will continue to grow at the speed needed to renovate all existing residential buildings before 2050.
The analysis shows that achieving a stable 2% renovation rate is insufficient to achieve EU climate goals and significantly contribute to energy independence. Under this scenario, 30% of buildings will be left unrenovated by mid-century and 235 TWh of potential final energy savings will be wasted.
To fully benefit from the savings potential (777 TWh), the entire residential building stock must therefore be renovated.
To reach EU climate neutrality goals by 2050, this means the current renovation rate of 1% must be at least doubled by 2030, reach 3% by 2035, and 4% by 2040.
Achieving this level of ambition means that EU building policies must carefully align short-term actions with long-term needs and ambitions.
“Building renovation activity must seriously ramp up in this decade,” continues Rapf. “The final negotiations of the EPBD in the coming months should define deep renovation as the standard and agree renovation requirements which deliver on this standard, are fair and backed by attractive financial support for all who need it.”
The report concludes that the EPBD recast should require that financial programmes and advisory services prioritise projects achieving deep renovations. Minimum Energy Performance Standards (MEPS) should be designed on a differentiated basis according to ownership structure, and focus on worst-performing buildings across all segments first. Even in a step-by-step approach, all renovations and especially the first step should pull the building out of the worst-performing category. Public funds including emergency relief, recovery funds and subsidy schemes should all be designed towards supporting deep renovations of buildings. Member States should not wait for a ban of fossil fuel boilers to be introduced by the EPBD, and should stop fossil fuel subsidies immediately.
BPIE (Buildings Performance Institute Europe) is Europe’s leading centre of expertise on decarbonising the built environment, providing independent analysis, knowledge dissemination and evidence-based policy advice and implementation support to decision-makers in the public, private, and non-profit sectors. Founded in 2010, BPIE combines expertise on energy efficiency, renewable energy technologies, and health and indoor environment with a deep understanding of EU policies and processes. A not-for-profit think-tank based in Brussels and Berlin, our mission is to make an affordable, carbon-neutral built environment a reality in Europe and globally.
– BYinnovation is Media Partner of BPIE
FER2 chi l’ha visto? Così salta l’innovazione collegata allo sviluppo delle rinnovabili. L’Italia pagherà un conto salato in termini di competitività ed occupazione.
«La crisi energetica prosegue, i costi in bolletta diventano sempre più insostenibili e il Governo, che ora è nel pieno delle sue funzioni sulle rinnovabili è fermo. – ha dichiarato il presidente del Coordinamento FREE, Livio de Santoli – Il FER2, che attendiamo da ben 1.228 giorni, 10, ore e 37 minuti (aggiornamento alle 10:00 del 20 dicembre 2022) è di nuovo incagliato e dopo il passaggio in Conferenza Unificata, non se ne è saputo più nulla. Il provvedimento che dovrebbe finanziare le tecnologie rinnovabili innovative è scomparso e nell’ultima versione conosciuta è assolutamente da rigettare se no le affosserà definitivamente».
«L’eolico off shore galleggiante, una grande occasione industriale per l’Italia, continuerebbe ad avere un contingente d’incentivazione insufficiente di 3,8 GW, con una tariffa base di 180 €/MWh, senza chiarimenti sulla gestione degli oneri di realizzazione delle infrastrutture di connessione, che gravano pesantemente sui costi di costruzione della tecnologia floating, caratterizzata da distanze dalla terraferma tali da prevedere la realizzazione di sottostazioni di trasformazione anch’esse necessariamente di tipo galleggiante. – continua la nota del Coordinamento FREE – Tutto ciò potrebbe avere conseguenze pesanti, decretando la scomparsa dell’eolico floating dal panorama italiano e generare un gap tecnologico e produttivo con le altre nazioni difficilmente colmabile in futuro».
«Sulle biomasse solide la riduzione del 3% delle tariffe poste a base d’asta negli anni successivi all’anno 2022 è punitiva per queste rinnovabili, per le quali, dal punto di vista dello sviluppo tecnologico, cinque anni rappresentano un periodo di tempo molto limitato. Questa riduzione è da portare all’1%. Oltre a ciò è necessario non fare confusione tra le tecnologie del biogas e quella delle biomasse solide scindendo i contingenti tra le due rinnovabili e aumentandoli. – prosegue Livio de Santoli – Le matrici utilizzate per la produzione e le tecnologie di trasformazione energetica per biogas e biomasse solide sono diverse, possiedono dinamiche di mercato differenti e che influenzano la sostenibilità economica degli investimenti. Perciò la loro coesistenza all’interno di una stessa procedura potrebbe determinare criticità in termini competitivi tra le due tecnologie e il meccanismo delle offerte di ribasso potrebbe avvantaggiare l’una o l’altra a seconda delle dinamiche di mercato delle materie prime. Sarebbe preferibile allora, avere un contingente limitato ma dedicato, che nel caso delle biomasse solide proponiamo sia di 250 MW. Infine è necessario correggere l’esclusione dei sottoprodotti della lavorazione del legno per la produzione di semilavorati e imballaggi in legno, che devono essere inclusi per avviare una vera economia circolare anche in questo settore».
«Le cose non vanno meglio per la geotermia per la quale si riscontra una sproporzione assurda dei contingenti, tra impianti tradizionali nuovi o in rifacimento con 250 MW e impianti a tecnologie innovative (reiniezione totale e altri) solo 60 MW. È necessario che almeno gli impianti innovativi a emissioni zero abbiano lo stesso contingente di quelli tradizionali nuovi. – prosegue il presidente del Coordinamento FREE, Livio de Santoli – Per gli impianti a emissioni zero e innovativi occorre una proroga di almeno 36 mesi sui tempi di realizzazione delle centrali che oggi sono interamente e letteralmente “mangiati” dai ricorsi. Per le ulteriori innovazioni, come i sistemi a iper-loop e per gli scambiatori in pozzo occorrono tariffe non inferiori a 250€/MWh, mentre per gli impianti di piccola taglia inferiori al MW occorre che lo stato si riappropri delle autorizzazioni semplificate, del tutto disattese dalle regioni. Questi impianti non hanno necessità di un incentivo perché possono inserirsi nel contesto delle comunità energetiche».
«Per quanto riguarda il solare termodinamico le tariffe incentivanti sono assolutamente incongruenti con i costi attuali, tenendo conto dei forti aumenti dei materiali e dei servizi: avere solo 200 euro/MWh per gli impianti da 5 MW fino a 15 MW farà sì che non ci sarà nessun investitore. È necessario aumentare del 50% i valori, portando, per gli impianti superiori a 5MW, l’incentivo da 200 a 300 euro/MWh. Risulta poi strano che si vogliano incentivare impianti solari termodinamici di piccola taglia con potenza inferiore a 300 KW, che non esistono più sul mercato italiano. I costruttori italiani, infatti, producono le turbine necessarie per la tecnologia solare termodinamica, della dimensione minima di 600 kW, ma consigliano, per la economicità dell’impianto, una taglia non inferiore ad 1 MW. Il Governo deve tener conto delle vere economie di scala, senza le quali sarà impossibile far decollare questa tecnologia tutta italiana, col risultato di dover comprare le componenti altrove, invece che dare spazio e possibilità di lavoro alle imprese italiane».
«Circa gli impianti alimentati a biogas è necessario che si abolisca la proposta periodica delle tariffe che è in contrasto con la previsione di una loro diminuzione annuale prefissata, prevista in misura pari al 3%. Quindi è sicuramente da abolire per tutte le tipologie di produzione che hanno dei costi di approvvigionamento delle materie prime. Per quanto riguarda la condizione di distanza dalla rete gas imposta per la realizzazione di nuovi impianti di biogas è necessario tenere conto che il costo di allaccio alla rete di trasporto del gas naturale già ad una distanza di 1,5 km è almeno di circa 2 milioni di euro, con forti aumenti nel caso sia necessario superare particolari ostacoli naturali o antropici ed è quindi assolutamente insostenibile per tutti gli impianti fino a 300 kW. Per cui è necessario escludere da questo vincolo almeno agli impianti fino a 300 kW. Oltre a ciò è necessario tenere conto della congiuntura.
Le condizioni relative all’alimentazione degli impianti previste dal decreto sono molto penalizzanti per i piccoli impianti e rischiano inoltre di creare tensioni inflazionistiche per i sottoprodotti. È necessario quindi abbassare la quota minima di sottoprodotti a un livello del 70%, livello che consente di conseguire un elevato risparmio di emissioni.
Infine relativamente agli impianti esistenti a biogas, per i quali il decreto prevede un regime di prosecuzione della produzione a determinate condizioni è necessario prevedere dei criteri minimi relativi all’alimentazione degli stessi impianti meno stringenti di quelli di nuova costruzione, perché tali impianti non sono necessariamente soggetti al rispetto dei requisiti di sostenibilità in quanto entrati in esercizio quando tali requisiti non erano. Vorrei ricordare che la revisione della direttiva fonti rinnovabili (la RED3), oggi in discussione in sede comunitaria, esclude la retroattività di questi requisiti».
«È un elenco d’osservazioni, quello fatto dai nostri soci che è sconfortante per il sistema Paese – conclude il presidente del Coordinamento FREE, Livio de Santoli – Oggi tutto il mondo sta puntando sulle rinnovabili e l’Italia attende da quattro anni un decreto per poter sviluppare l’innovazione in campo energetico sulle rinnovabili con soluzioni che ci potrebbero chiedere da tutto il Pianeta ed il FER2 è ancora incagliato su questioni facilmente risolvibili.
Se si continuerà ad agire con questi tempi, oltre la questione legata al clima, si pagherà un conto salato, visto che abbiamo una buona fetta di Pil legata alla realizzazione delle tecnologie per le rinnovabili, anche in termini d’occupazione ed economia.
Inoltre, ultima osservazione: perché anche questo Governo non vuole confrontarsi con gli operatori di mercato, i soli che potrebbero dare informazioni utili su strumenti e metodi di sviluppo industriale?».
Il Coordinamento FREE (Coordinamento Fonti Rinnovabili ed Efficienza Energetica) è un’Associazione che raccoglie attualmente, in qualità di Soci, 24 Associazioni in toto o in parte attive in tali settori, oltre ad un ampio ventaglio di Enti e Associazioni che hanno chiesto di aderire come Aderenti (senza ruoli decisionali) ed è pertanto la più grande Associazione del settore presente in Italia. Il Coordinamento FREE ha lo scopo di promuovere lo sviluppo delle rinnovabili e dell’efficienza energetica nel quadro di un modello sociale ed economico ambientalmente sostenibile, della decarbonizzazione dell’economia e del taglio delle emissioni climalteranti, avviando un’azione più coesa delle Associazioni e degli Enti che ne fanno parte anche nei confronti di tutte le Istituzioni.
PropTech Monitor PoliMI. L’ecosistema PropTech, analisi e trend dall’Italian PropTech Monitor del Politecnico di Milano.
Sono stati presentati il 16 dicembre presso l’Aula Magna del Politecnico di Milano gli ultimi risultati dell’analisi sul livello di digitalizzazione del settore real estate in Italia, condotta dall’Italian PropTech Network (IPN) del Politecnico di Milano.
Il convegno Italian PropTech Monitor, arrivato alla sua V edizione, si è aperto con un punto di vista europeo portato dal Chairman della European PropTech Association, Dirk Paelinck.
L’attenzione delle istituzioni europee oggi è concentrata sull’attrarre investimenti per incrementare la sostenibilità ambientale dell’ambiente costruito proprio attraverso la digitalizzazione.
A seguire, il gruppo del Politecnico di Milano, guidato dai professori Stefano Bellintani e Andrea Ciaramella e dalla dott.ssa Chiara Tagliaro, ha delineato le tendenze dell’ecosistema PropTech italiano, commentando i risultati dell’indagine annuale di IPN.
Monitor
I dati, presentati da Silvia Leoncini e Alice Paola Pomè, pongono l’attenzione sul protagonista della giornata, l’Italian PropTech Monitor (IPM).
Lo strumento di IPN è arrivato a contare un totale di 273 aziende PropTech, mostrando un continuo incremento e un progressivo consolidamento del fenomeno in Italia.
Un nuovo cluster si aggiunge ai quattro già definiti negli anni scorsi, il ConTech (Construction Technology), che aggrega le soluzioni del settore delle costruzioni.
L’indagine annuale a cui ha partecipato il 25% delle 273 PropTech Italiane rivela che le PropTech nel nostro Paese sono realtà di piccole dimensioni (l’80% sono realtà di massimo 20 componenti), giovani (70% dei componenti sono Gen-Y), prevalentemente maschili (65% dei componenti uomini) e collaborative (1 PropTech su 2 ha avviato collaborazione con altre PropTech e aumenta la collaborazione con gli operatori più tradizionali). Le PropTech italiane risultano lavorare nella fase di gestione del ciclo di vita (40% dei rispondenti), principalmente offrendo servizi di Property management, Asset management e Facility/Workplace management. Pur avendo un connotato fortemente italiano (il 70% dichiara di avere strategie di espansione in Italia), il 28% delle PropTech rispondenti sta pianificando un’espansione in Europa.
“Interessante porre l’accento sul fatto che Il PropTech italiano”, dice Alice Paola Pomé, dottoranda del Politecnico di Milano che collabora con IPN nell’ambito della sua ricerca, “sta rivoluzionando i processi e i prodotti del real estate grazie all’introduzione principalmente di tecnologie come “Big Data Analytics”, “IoT” e “Artificial Intelligence”.
Concorda anche Daniele Levi Formiggini, Head of Real Estate – Neprix (sponsor dell’evento), che sostiene che “le nuove tecnologie delineano una profonda trasformazione del real estate e del modo in cui nel prossimo futuro progetteremo, costruiremo, gestiremo e commercializzeremo gli immobili”.
L’intervento di Veronica Soriano, Head of International Relations Italian Metaverse Association, spinge il pubblico a immaginare il futuro dello spazio, guardando a un real estate virtuale. Un nuovo luogo dove non si incontrano barriere fisiche, dove si parla di digital possession e dove si creano delle community.
L’attenzione di Maurizio Bernardo, Chairman di Assofintech, si concentra sull’importanza di fare ecosistema, annunciando un futuro evento proprio in collaborazione con IPN tra PropTech, FinTech, InsurTech e ConTech.
Infine, a commentare i risultati di IPM, è intervenuto Massimo Bollati, Direttore trasformazione digitale – Agenzia del Demanio, mostrando come anche gli enti pubblici italiani stanno virando verso nuove forme di digitalizzazione dei loro sistemi.
IPN Italian PropTech Network nasce all’interno di REC, Real Estate Center del Politecnico di Milano, un hub di innovazione e conoscenza dedicato al mondo Real Estate, animato dalle idee dove processo metodologico e sapere strutturato facilitano la circolazione di opportunità e ricerche.
L’Italian PropTech Network costituisce una piattaforma dove il sapere accademico del Politecnico di Milano incontra le aziende del settore del Real Estate presenti sul territorio italiano per uno scambio sinergico di innovazione e crescita.
In linea con la mission del Politecnico di Milano, IPN si prefigge l’obiettivo concreto di contribuire e supportare l’intero sistema italiano: siamo al servizio dei player italiani del real estate, supportati dalle ricerche del PropTech monitor.
Investimenti nei rifiuti. WAS Report: in Italia il comparto è in forte crescita, con un valore della produzione nel 2021 di 13,1 miliardi di euro, in aumento dell’11% e con un EBITDA di 2 miliardi (+17%).
Corrono gli investimenti nel settore dei rifiuti in Italia, come non era mai avvenuto in precedenza: valgono in Italia oltre 900 milioni (+59,6% rispetto all’anno precedente) sfruttando anche la scia delle opportunità derivanti dal PNRR.
Ma il waste aumenta anche in termini di valore della produzione aggregato, pari a 13,1 miliardi di euro (+11% sull’anno precedente), e un EBITDA di 2 miliardi (+17%).
È il quadro che emerge dal Was Report 2022 “La gestione dei rifiuti in Italia: attori, investimenti e scenari innovativi nel quadro del PNRR”, dedicato all’industria italiana della gestione dei rifiuti attraverso l’analisi dei player della raccolta, trattamento, smaltimento e selezione.
Il rapporto è stato presentato questa mattina a Roma da Alessandro Marangoni, ceo di Althesys e coordinatore del think tank Waste Strategy nel corso del convegno Rifiuti: investimenti, chiusura del ciclo e PNRR. “Il WAS Report – ha detto Marangoni – offre il quadro di un’industria italiana della gestione dei rifiuti sempre più dinamica e dal perimetro in continua evoluzione, evidenziato nel 2021 anche dalla crescita degli investimenti e del valore della produzione. Non mancano però le criticità che il settore si troverà ad affrontare. Tra le altre, quelle nel comparto Forsu, con l’introduzione di ‘impianti minimi’ e quelle derivanti dal regolamento UE sugli imballaggi, che favoriscono il riutilizzo a discapito del riciclo”.
La fotografia del settore
La corsa agli investimenti è sicuramente l’elemento principale che ha caratterizzato l’azione delle utility analizzate: nel 2021, l’ammontare complessivo raggiunge i 912 milioni di euro, con un incremento del 59,6% sul 2020, quando erano pari a 571,3 milioni di euro. Le aziende hanno puntato sul consolidamento delle attività, su nuovi impianti e mezzi, anche sulla scia delle opportunità derivanti dal PNRR. Nel 2021 i principali 124 top player, pubblici e privati, della raccolta, trattamento e/o smaltimento dei rifiuti urbani hanno registrato un valore della produzione aggregato di 10,26 miliardi di euro. È un aumento del 9% circa rispetto all’anno precedente, con diverse imprese che crescono a doppia cifra, grazie alla ripresa economica post-pandemia e all’ampliamento del perimetro delle attività di diversi player. Il settore è tradizionalmente polarizzato, con pochi grandi operatori e una miriade di piccole e medie imprese e si allunga la distanza, già molto consistente, tra il primo e l’ultimo esaminato: il valore della produzione della più grande sale da 1,2 a 1,3 miliardi di euro, mentre quello della più piccola scende da 7,7 a 7,6 milioni di euro. A segnare la variazione maggiore sono però le grandi multiutility (+14%) e gli Operatori del trattamento e smaltimento (+13%). Seguono Piccole e medie multiutility (+11%) e Piccole e medie monoutility (+8%). Operatori metropolitani e Operatori privati vedono invece la crescita minore, per entrambe di poco superiore all’1%.
Aumentano le operazioni straordinarie
Il settore del waste management sembra proprio essersi risvegliato l’anno scorso anche sulla base delle operazioni straordinarie censite: acquisizioni e fusioni sono aumentate nel 2021 del 67%, passando a 35 contro le 21 registrate nel 2020. Sono, nel 60% dei casi rilevati, acquisizioni volte a crescere al di fuori del core business o a consolidarsi lungo la filiera. Le iniziative hanno interessato per lo più il Centro Italia, ma per la prima volta sul podio si trovano anche quelle nazionali. Spiccano le partnership che mettono al centro l’innovazione tecnologica. Tra gli ambiti esplorati figurano, ad esempio, lo sviluppo commerciale del «waste-to-chemical», la valorizzazione degli pneumatici fuori uso per ottenere prodotti chimici ed energetici sostenibili e la pirolisi per il trattamento del plasmix.
Il comparto dei rifiuti speciali
Cresce l’interesse anche verso il mercato dei rifiuti speciali, che si mostra sempre più redditizio e dinamico. Sono numerose le aziende di waste management che hanno esteso il proprio perimetro di business degli speciali: ad oggi oltre un terzo delle imprese è attivo in questo comparto, che ha visto un aumento del 10,6% dei volumi. Trend positivo anche per la redditività nel 2021, con un EBITDA/VP medio del 16% per i maggiori 50 player e un valore della produzione aggregato di 2,77 miliardi di euro. La distribuzione geografica vede il 50% delle aziende operanti nelle regioni settentrionali, il 14% in quelle del Centro e il 36% nel Sud. In linea generale, cinque regioni annoverano da sole quasi due terzi dei player: 31 sui 50 totali.
I progetti del PNRR
A poco più di un anno dall’apertura dei bandi, inizia a delinearsi il quadro dei progetti presentati per il PNRR: sono complessivamente 1.080 le iniziative, di cui 835 hanno ricevuto un punteggio dal Ministero. I progetti censiti sono relativi agli impianti per il trattamento rifiuti presentati nell’ambito della Missione 2 “Rivoluzione Verde e Transizione Ecologica”, Componente 1 “Economia circolare e agricoltura sostenibile”. Gran parte dei progetti riguarda le Linee relative agli impianti di trattamento/riciclo dei rifiuti urbani provenienti dalla raccolta differenziata, e quelle degli impianti innovativi per il trattamento di materiali assorbenti ad uso personale (PAD), fanghi di acque reflue, rifiuti di pelletteria e rifiuti tessili. Sono concentrate per lo più nel Meridione. Nel primo caso, il 52%, infatti, è nel Sud e Isole, il 29% nel Centro e il restante 19% nel Nord Italia. Il Lazio, con 94 progetti, vede la maggiore concentrazione, seguito da Calabria e Sicilia. In generale, le aree di intervento includono il revamping o la costruzione di impianti di selezione e/o trattamento, di centri di raccolta, la riconversione di TMB e persino la riqualificazione di una discarica. Tra tutti, prevalgono gli impianti per il trattamento della Forsu, la frazione organica dei rifiuti solidi urbani.
In conclusione, il WAS Report 2022 mostra un settore in rapido cambiamento, grazie a investimenti, aggregazioni e innovazione tecnologica. Molteplici sono i fattori che stanno trasformando le catene del recupero dei materiali, e tra queste vi sono da ricordare l’estensione del principio EPR in altre filiere, la nascita di nuovi sistemi di gestione e lo sviluppo di tecnologie di riciclo innovative.
Althesys è una società professionale indipendente specializzata nella consulenza strategica e nello sviluppo di conoscenza. Opera con competenze di eccellenza nei settori chiave di ambiente, energia, infrastrutture e utility, nei quali assiste imprese e istituzioni.
WAS – Waste Strategy è il think tank di Althesys dedicato all’analisi della filiera produzione-consumo del waste management e del riciclo con un approccio integrato, che unisce la prospettiva aziendale e industriale a una visione di sistema. Lo scopo è fornire un quadro unitario e proporre strategie d’impresa e politiche di sistema che integrino i diversi aspetti: ambientali, sociali, industriali, economici, normativi e tecnologici.
Superare approcci parziali e frammentati è infatti fondamentale per lo sviluppo del settore e per definire le policy migliori per il Paese.
Nuovo ruolo Utilities di fronte ai nuovi bisogni del consumatore. L’energia non è più solo una commodity ma un servizio a 360° per soddisfare un mercato sempre più consapevole ed esigente.
Ognuno può fare la sua parte nella produzione e nell’adozione di politiche comportamentali di risparmio energetico: l’informazione per formare il cittadino, la tecnologia per sviluppare l’omnicanalità, bollette più comprensibili, investimenti sugli installatori tra i pillars emersi nel dibattito, del quale sono stati protagonisti:
– Massimo Bello – AIGET Presidente
– Michele Governatori – Energy Programme Lead ECCO think tank
– Aurora Viola – Head of Market Italy ENEL
– Giorgio Tomassetti – CEO Octopus Energy Italia
– Stefano Fumi – Progetto Energia PostePay
– Isabella Malagoli – Direttore Generale Hera Comm
– Valerio Marra – Chief of Commercial and Trading Acea
– Massimo Brizi – CEO NeN
Durante l’ottava edizione di Utility Day, l’evento di IKN Italy che rappresenta il punto di incontro della community italiana del settore Gas & Power, gli argomenti si sono focalizzati sulle conseguenze – sia lato consumatori che utilities – del caro bollette e sulle strategie che stanno mettendo in atto le aziende per venire incontro alle esigenze dei propri clienti.
In Italia sono già stati fiscalizzati circa 60 miliardi di euro di costi bollette, solo in piccola parte compensati dalle norme per il recupero degli extraprofitti: questa cifra rappresenta più dell’intero capitolo 2 del PNRR (quello della transizione ecologica). Secondo i piani del Green Deal europeo, che prima il Presidente Draghi e successivamente il Presidente Meloni – in occasione di COP27 – hanno confermato, in Italia nel 2030 quasi ¾ dell’elettricità saranno prodotti da rinnovabili, per lo più con costi solo fissi. Lo “shock bollette” sta avendo effettivi negativi anche sullo strumento delle garanzie in origine, in quanto i clienti con forniture verdi faticano a comprendere come mai anche a loro si applichi l’effetto gas.
Numerose le realtà che si stanno trasformando in auto-produttori: si stima che nel 2022 siano state installate il triplo di FER (Fonti Energia Rinnovabile) rispetto al ‘21, malgrado le norme sugli extraprofitti.
Come evolverà il modello di business?
Ovviamente le rinnovabili rappresentano il mezzo per uscire da questa situazione e dalle conseguenze dei rincari su imprese e famiglie: attualmente registriamo il 40% di produzione da fonti rinnovabili, solo quando si arriverà al 70% si potrà abbattere il costo in bolletta. L’obiettivo sarà raggiunto però solo nel 2030. Come velocizzare i tempi?
Tutti sono coinvolti in questo percorso: la diversificazione degli approvvigionamenti, già attuata dal Governo, la semplificazione della burocrazia e l’investimento sugli installatori. Quest’ultimo rappresenta un tema cruciale emerso più volte nel dibattito, in quanto la domanda supera in modo considerevole l’offerta. Anche i cittadini possono contribuire: basti pensare che in Italia ci sono 2 milioni di tetti disponibili e adatti per ospitare gli impianti. Nel fare ognuno la propria parte nel produrre energia, il sistema Italia diventerebbe più libero e competitivo.
La tecnologia sarà il principale driver non solo per informare il cittadino, ma anche per formarlo
Il volume dei consumi deve essere ridotto: il 30% dell’energia utilizzata dai clienti viene sprecata per un uso non corretto. Bisogna quindi intervenire sulla cultura dell’utente, modificandone le abitudini, rendendolo consapevole degli sprechi conseguenti ad abitudini errate. Ma anche le bollette devono diventare più comprensibili: l’autorità richiede trasparenza, ma quest’ultima non corrisponde alla semplicità.
Le utilities sono chiamate a uno sforzo comunicativo, valutando anche l’inserimento di nuove professionalità. L’omnicanalità gioca un ruolo strategico, in quanto il cliente deve essere libero di scegliere il canale e di cambiarlo durante il suo percorso. Inoltre, la comprensione del consumo e del controllo diventa il vero valore per l’utente, possibile solo attraverso la digitalizzazione dei servizi volta a migliorare la Customer Experience.
IKN Italy, leader nella creazione e sviluppo di contenuti, eventi e corsi di formazione BtoB, ha raggiunto nel 2022 il traguardo dei 35 anni. Credibilità, specificità, indipendenza e ricerca continua con i responsabili, C-Level d’azienda, sono gli elementi che distinguono e caratterizzano IKN nel mercato.
IKN Italy, Leader nella creazione e sviluppo di eventi e progetti di formazione rivolti ai professionisti d’azienda, festeggia nel 2022 il 35° anniversario. Credibilità, esperienza, indipendenza, know-how, innovazione e networking sono le parole chiave che caratterizzano l’azienda. Sin dalla sua nascita, IKN Italy è stata in grado di rispondere in modo tempestivo alle esigenze di un mercato in costante trasformazione. Il suo obiettivo principale: assicurare contenuti aggiornati e concreti per accompagnare il middle management nella sua crescita professionale.
Il nome racconta la mission e i valori di un’azienda che ha nel suo DNA la capacità di innovarsi e reagire in maniera tempestiva per affiancare le aziende nell’approfondimento e nella scoperta delle competenze e delle metodologie per essere competitive nel loro mercato di riferimento.
IKN è, infatti, l’acronimo di:
“I” come INSTITUTE: IKN Italy nasce da Istituto Internazionale di Ricerca, filiale italiana di IIR Holding. Grazie all’esperienza maturata dal 1987 ad oggi, è in grado di proporre sia tematiche di grande attualità e interesse che relatori di alto livello. La reale fotografia di IKN Italy la “scattano” i numeri di questi 35 anni: oltre 90.000 partecipanti, 25.000 aziende e 15.000 tra relatori e docenti; cifre che posizionano IKN Italy leader indiscusso nel suo settore.
“K” come KNOWLEDGE: ricerca continua e ascolto delle esigenze degli attori dei diversi mercati di riferimento garantiscono lo sviluppo di contenuti non standardizzati ma specifici, unici ed esclusivi.
I settori sui quali IKN Italy concentra la sua attenzione sono: Farmaceutico e Dispositivi Medici, Energy & Utilities, Sanità, Banca e Assicurazioni, Retail e GDO, Industrial, Logistica, Green & Sostenibilità, Marketing e Vendite, Project Management.
“N” come NETWORKING: gli eventi e le iniziative formative di IKN Italy sono delle occasioni di confronto per interagire in maniera dinamica, condividere esperienze concrete e sviluppare nuove opportunità di business.
– BYinnovation è Media Partner di Utility Day
Fotovoltaico regole semplici, complete e stabili; non necessita di incentivi! ITALIA SOLARE, in una lettera aperta indirizzata al Ministro dell’Ambiente e della Sicurezza Energetica, al Ministro delle Imprese e del Made in Italy e per conoscenza al Presidente del Consiglio, chiede che per contrastare il caro energia si cessi con interventi a pioggia finalizzati solo a ridurre la spesa energetica.
“Sarebbe invece più utile – spiega Italia Solare – abbattere la spesa energetica solo ai più bisognosi, utilizzando le risorse così liberate per favorire soluzioni strutturali contro il caro-energia, come l’installazione di impianti fotovoltaici e la fornitura di energia da fotovoltaico”.
Tre le priorità per gli operatori del settore
1. agevolare la realizzazione di nuovi impianti fotovoltaici, in particolare in autoconsumo, e le comunità energetiche, sia completando il quadro normativo, sia valutando misure di sostegno alle imprese produttive che si dotano degli impianti;
2. facilitare il trasferimento ai consumatori dell’energia prodotta da impianti fotovoltaici (e più in generale rinnovabili) già in esercizio poiché risulta essere la più economica;
3. applicare in modo equo e non discriminatorio il regolamento (UE) 2022/1854 del Consiglio del 6 ottobre 2022 relativo a un intervento di emergenza per far fronte ai prezzi elevati dell’energia, correggendo le storture generate da alcune disposizioni introdotte dal precedente governo. In particolare, i ricavi di mercato dei produttori ottenuti dalla produzione di energia elettrica siano limitati a un tetto massimo di 180 €/MWh nel periodo 1° dicembre 2022 – 30 giugno 2023.
A tal proposito ITALIA SOLARE manifesta forte preoccupazione sul provvedimento, inserito nella legge di bilancio, appena annunciato, che esclude dall’applicazione del cap gli impianti fotovoltaici incentivati. Si continua a non capire che gli impianti incentivati con il Conto Energia sono costati da 4 a 7 volte di più degli impianti attuali, mentre per la maggior parte degli impianti la somma incentivo + cessione energia, a causa del price cap a circa 60 euro/MWh, è compresa tra i 210 e i 310 euro/MWh, neanche 2 volte il price cap attualmente previsto nella legge di bilancio.
Non ultimo, ITALIA SOLARE sottolinea l’urgenza di una adeguata soluzione alla problematica della cessione del credito associata ai bonus edilizi che coinvolge numerosissime imprese del fotovoltaico.
ITALIA SOLARE è un’associazione di promozione sociale che sostiene la difesa dell’ambiente e della salute umana supportando modalità intelligenti e sostenibili di produzione, stoccaggio, gestione e distribuzione dell’energia attraverso la generazione distribuita da fonti rinnovabili, in particolare fotovoltaico. Promuove inoltre la loro integrazione con le smart grid, la mobilità elettrica e con le tecnologie per l’efficienza energetica per l’incremento delle prestazioni energetiche degli edifici.
“ITALIA SOLARE è l’unica associazione in Italia dedicata esclusivamente al fotovoltaico e alle integrazioni tecnologiche per la gestione intelligente dell’energia”.
Carbonizzazione Italia. «Mentre l’attenzione di chi segue le tematiche ambientali ed energetiche è focalizzata sul famigerato articolo 4, il cosiddetto “Sbloccatrivelle” contenuto nel decreto Aiuti Quater e pubblicato nelle scorse ore in Gazzetta Ufficiale, rischia di passare in secondo piano una piccola, rivelatrice, modifica che compare nel comma 1 all’articolo 6 dello stesso decreto, che tratta di “qualcosa” che ha a che fare con il Ministero della Difesa. La parola “decarbonizzazione” viene infatti sostituita dal termine “ottimizzazione”.
Che cosa comporta questo cambio?
E quale ricaduta pratica potrebbe avere questa scelta lessicale sul PNRR?
La Commissione Europea è al corrente del fatto che in Italia il sistema energetico non dovrà più essere decarbonizzato ma “ottimizzato”?». È quanto chiede Alessandro Giannì, Direttore delle Campagne di Greenpeace Italia, commentando il provvedimento dl governo Meloni.
Non è infatti ancora chiaro come ciò possa impattare sul piano presentato all’Unione Europea, in cui termini come “decarbonizzare” e simili sono citati 24 volte.
Almeno due delle Missioni del Piano (M2, Rivoluzione verde e transizione ecologica, e M3, Infrastrutture per una mobilità sostenibile) per un totale complessivo di 101,39 miliardi di euro (fondi PNRR, React EU e Fondo complementare) si basano palesemente su obiettivi di decarbonizzazione.
Ad esempio, la componente M2C2 (Energia rinnovabile, idrogeno, rete e mobilità sostenibile, finanziata con 23,78 miliardi di euro si basa su questa premessa, dove a pagina 133 si legge: “L’obiettivo di questa componente è di contribuire al raggiungimento degli obiettivi strategici di decarbonizzazione attraverso cinque linee di riforme e investimenti, concentrate nei primi tre settori.”.
«Intervenendo solo pochi giorni fa al vertice sui cambiamenti climatici di Sharm El-Sheik (COP27), Meloni ha dichiarato al mondo intero che l’Italia farà la sua parte per il clima. Ma in che modo? Aggravando la crisi climatica in corso?», continua Giannì. «Puntare su trivelle, rigassificatori e depositi di gas vuol dire ignorare gli urgenti appelli della comunità scientifica, che ci invita ad abbandonare al più presto i combustibili fossili, per continuare a favorire le solite compagnie fossili, che stanno macinando extraprofitti miliardari, mentre le persone subiscono gli impatti dei cambiamenti climatici e faticano ormai anche a pagare le bollette».
Nell’immagine: una soluzione alternativa ed accessibile di produzione pulita di energia generata con impianti da vapore geotermico (sito in Larderello, Toscana).
Osservatorio H2IT. I numeri sul comparto idrogeno italiano: crescono gli investimenti delle aziende, che ora aspettano nuovi strumenti incentivanti dalla politica. Nonostante caro materiali e crisi energetica la filiera continua a svilupparsi. La collaborazione batte la competizione: le innovazioni nascono dalle partnership tra le imprese
La filiera dell’idrogeno svolge un ruolo da protagonista nel percorso per far diventare l’Europa il primo continente a zero emissioni entro il 2050, l’obiettivo della strategia energetica messa a punto dall’UE e supportata in Italia anche dai finanziamenti del PNRR.
Qual è lo stato dell’arte del settore?
Per rispondere a questa domanda, H2IT – Associazione italiana idrogeno e celle a combustibile, in collaborazione con la Direzione Studi e Ricerche e l’Innovation Center di Intesa Sanpaolo, ha presentato oggi a Key Energy, la fiera di riferimento per il mercato delle energie rinnovabili, l’Osservatorio H2IT: I numeri sul comparto idrogeno italiano.
L’analisi rappresenta un’anteprima dei risultati dell’Osservatorio sulle imprese associate ad H2IT (grandi, medie e piccole imprese, start-up) che rappresentano tutta la catena del valore dell’idrogeno dalla produzione fino agli usi finali.
Dall’inchiesta condotta nel mese di ottobre dalla Direzione Studi e Ricerche Intesa Sanpaolo, emerge la fotografia di un settore in crescita ma ancora poco sviluppato (l’incidenza dell’idrogeno sul fatturato totale è stata pari in media al 6% nel 2021) ed unico nel panorama manifatturiero nazionale per la forte presenza di alleanze di tipo industriale: per oltre il 70% delle aziende del campione, l’innovazione in ambito idrogeno nasce dalla collaborazione con altre aziende, fattore che lo rende quindi terreno fertile per l’open innovation.
Dall’indagine svolta emerge chiaramente il ruolo centrale degli investimenti per le imprese della filiera dell’idrogeno, che si trovano ad affrontare le importanti sfide, tecnologiche e non, poste dalla transizione energetica. In generale, più del 70% delle imprese ha al suo interno un’area R&D dedicata esclusivamente all’idrogeno ed il 7% ha comunque intenzione di strutturarsi in tal senso.
Andando a vedere le aspettative per fine anno, più della metà degli intervistati (67%) chiuderà il 2022 con un aumento degli investimenti rispetto al 2021. L’innovazione tecnologica dell’idrogeno avviene ancora in modo prevalente con mezzi propri (in media il 67% del totale finanziato).
È ancora marginale, invece, il peso dei fondi pubblici, sia europei (13%) che nazionali e regionali (10%), utilizzati maggiormente dalle aziende più piccole che hanno un minore accesso al capitale privato (banche e fondi).
Ciononostante, la partecipazione a bandi pubblici è elevata, sia nel caso di bandi europei (60% delle imprese) sia nel caso di bandi nazionali (72%). In termini di fatturato, il 62 % delle aziende si aspetta una crescita a fine 2022 rispetto al 2021.
Che impatto stanno avendo crisi energetica, aumento dei prezzi delle materie prime e scenario geopolitico incerto?
Nonostante le difficoltà macroeconomiche del momento, lo sviluppo del comparto idrogeno non si è arrestato. Per la metà del campione, il loro coinvolgimento nel mercato dell’idrogeno non è pregiudicato dal contesto attuale.
Per alcune imprese ci sono addirittura dei risvolti positivi: il 38% scorge in questa situazione nuove opportunità di business e sta quindi accelerando gli investimenti.
L’accelerazione che l’attuale contesto economico e geopolitico sta dando alla transizione energetica può quindi beneficiare la crescita del settore.
Riguardo all’occupazione
Nel suo studio “Pianeta Idrogeno” del 2021, l’Enea afferma che il mercato dell’idrogeno solo per l’Italia potrebbe generare da 300 a 500 mila posti di lavoro in più entro il 2050. Un’ottima notizia, che però si scontra con la realtà attuale.
Secondo le imprese, il settore dell’idrogeno subisce le difficoltà nel trovare figure specializzate sia a livello tecnico operativo che progettuale: il 66% dei profili ricercati sarebbe di difficile reperimento, con punte del 77 % per i tecnici specializzati. Le imprese hanno, inoltre, una significativa esigenza di inserire project manager, a testimonianza dell’importanza che le attività progettuali e prototipali hanno in questa fase iniziale di sviluppo industriale del settore.
Quali sono le altre criticità che bloccano lo sviluppo del comparto?
Le aziende soffrono soprattutto la mancanza di un quadro normativo chiaro (79%) insieme all’incertezza di una domanda di mercato non ancora definita (69%). Circa la metà teme, inoltre, che la generazione da rinnovabili sarà insufficiente per la produzione dell’idrogeno verde, ed è ancora elevata la quota di aziende (50%) che ritiene troppo elevati i costi delle tecnologie. A questo si aggiunge che gli obiettivi di Repower EU di produzione a livello europeo di 10 milioni di tonnellate di idrogeno verde nel 2030 vengono ritenuti raggiungibili solo con forti interventi di policy (secondo l’83%).
Non sorprende, quindi, che le misure indicate dalle aziende come prioritarie per lo sviluppo del settore siano tutte riferite all’intervento pubblico: come, ad esempio, la definizione di normative e regolamenti a livello nazionale, seguita da maggiori investimenti per la creazione della domanda e dalla definizione di piani strategici a livello nazionale.
“La sensibilità dei legislatori europei ed italiani e dell’opinione pubblica nei confronti dell’idrogeno non è mai stata così alta – ha dichiarato Alberto Dossi, Presidente di H2IT. – La crisi energetica sta spingendo i Paesi del Vecchio Continente, Italia compresa, a cercare alternative all’approvvigionamento classico, e si iniziano a vedere i primi risultati. La filiera, costituita sia da realtà affermate che giovani, è molto consapevole: nel nostro mercato si creano sempre nuove collaborazioni e alleanze finalizzate alla creazione di tecnologia e innovazione. Se sostenuto nella maniera adeguata, da qui al 2030 l’idrogeno darà un contributo fondamentale per decarbonizzare molti settori, come i trasporti e quelli hard-to-abate, sui quali si è concentrata la maggior parte dei fondi per l’idrogeno del PNRR.
Per realizzare il sogno di un’Italia e un’Europa a emissioni zero, serve puntare anche su un vettore unico come l’idrogeno, specialmente su quello verde, prodotto da energie rinnovabili e sicuro protagonista del mix energetico del futuro. Dalla sua nascita, H2IT cerca di stimolare la collaborazione e dare una voce unica alla filiera anche in sede politica, per questo chiediamo alle istituzioni un ulteriore sforzo su strumenti incentivanti e interventi legislativi semplificativi, specialmente a fronte degli investimenti privati degli ultimi anni.”
“In uno scenario altamente complesso e incerto, soprattutto sul versante energetico, è necessario accelerare sul piano della transizione energetica – hanno dichiarato Letizia Borgomeo e Anna Maria Moressa, economiste della Direzione Studi e Ricerche di Intesa Sanpaolo, che hanno curato l’analisi. – “L’idrogeno avrà un ruolo importante in questo senso, e non a caso, quasi il 40% delle imprese intervistate segnala come nell’attuale contesto si stiano creando nuove opportunità di business, ampliando i propri investimenti. La presenza in Italia di una filiera completa e competitiva come quella che emerge da questa prima analisi è un punto di partenza importante: sarà cruciale nei prossimi anni affiancare gli investimenti delle imprese con adeguati interventi normativi e di policy che rendano più chiare le strategie nazionali di sviluppo del settore e, soprattutto, formino quelle figure professionali che le imprese stentano a trovare: oltre due terzi delle imprese dichiara di faticare a trovare tecnici specializzati.
L’idrogeno, insieme a tutte le altre tecnologie necessarie alla decarbonizzazione e alla transizione energetica, può offrire significative opportunità di crescita al tessuto manifatturiero italiano; è importante esserne consapevoli ed agire di conseguenza come sistema paese per evitare di sprecare questa occasione”.
L’Osservatorio è nato nell’ambito del progetto INNOVAHY, sviluppato nel 2021 in collaborazione da H2IT e Intesa Sanpaolo Innovation Center. L’iniziativa è volta a favorire il percorso di crescita di PMI innovative e start-up del settore idrogeno e per incoraggiare la nascita di nuove realtà.
Nota metodologica
L’indagine è stata svolta nel mese di ottobre 2022 dalla Direzione Studi e Ricerche di Intesa Sanpaolo, in collaborazione con H2IT, sui soci dell’Associazione. Il campione di imprese dell’analisi preliminare conta 42 rispondenti sui 68 contattati, distribuiti uniformemente tra le varie classi di fatturato: micro, piccole, medie, grandi e grandissime imprese.
H2IT – Associazione italiana idrogeno e celle a combustibile aggrega grandi, medie e piccole imprese, centri di ricerca e università che lavorano nel settore dell’idrogeno.
Conta attualmente 116 soci che rappresentano tutta la catena del valore dell’idrogeno dalla produzione fino agli usi finali, comprendendo aziende che si occupano della logistica dell’idrogeno per il suo trasporto, distribuzione e stoccaggio, imprese che sviluppano le tecnologie quali elettrolizzatori e celle a combustibile, aziende della componentistica, imprese che sviluppano sistemi per l’utilizzo dell’idrogeno nei settori della mobilità, del residenziale della produzione di energia e dell’industria.
Costituita nel 2005, H2IT si è posta di raggiungere gli obiettivi di stimolare la creazione dell’infrastruttura per l’uso dell’idrogeno, essere portavoce degli attori del settore e assicurare un ruolo di leadership per l’Italia nel mercato mondiale.
Intesa Sanpaolo Innovation Center è la società del Gruppo Intesa Sanpaolo dedicata alla frontiera dell’innovazione: esplora scenari e tendenze future, sviluppa progetti di ricerca applicata, supporta startup ad alto potenziale e accelera la trasformazione delle imprese secondo i criteri dell’open innovation e dell’economia circolare, per fare di Intesa Sanpaolo la forza trainante di un’economia più consapevole, inclusiva e sostenibile. Con sede nel grattacielo di Torino progettato da Renzo Piano e un network nazionale e internazionale di hub e laboratori, l’Innovation Center è un abilitatore di relazioni con gli altri stakeholder dell’ecosistema dell’innovazione – come imprese tech, startup, incubatori, centri di ricerca e università – e un promotore di nuove forme d’imprenditorialità nell’accesso ai capitali di rischio. Le attività principali su cui si concentra il lavoro di Intesa Sanpaolo Innovation Center sono la circular economy, lo sviluppo delle startup più promettenti, il corporate venture capital –attraverso la controllata Neva Sgr – e la ricerca applicata.
Direzione Studi e Ricerche di Intesa Sanpaolo è uno dei principali centri di ricerca economica e finanziaria del Paese. La sua mission è quella di produrre analisi indipendenti e imparziali e contribuire al dibattito economico sui principali problemi strutturali del Paese e sui temi di economia internazionale più rilevanti per il Gruppo. In particolare, l’Ufficio Industry Research, che ha curato quest’indagine, produce analisi congiunturali, analisi strutturali e scenari previsivi sui settori produttivi dell’economia italiana, sui distretti industriali e sulle economie locali.
Modifica mercato elettrico. La crisi energetica che stiamo attraversando si accompagna all’attesa di una forte crescita delle fonti rinnovabili, mentre le fossili andranno verso un progressivo ridimensionamento per ridurre i rischi geopolitici e rafforzare l’indipendenza energetica. Efficienza energetica e più rinnovabili potranno ridurre i prezzi in futuro, ma occorrerà comunque ridisegnare il mercato elettrico per adeguarlo all’evoluzione della struttura industriale della generazione e delle infrastrutture in vista degli obiettivi di decarbonizzazione del sistema elettrico.
Lo ha detto Alessandro Marangoni, ceo di Althesys, intervenendo a Key Energy all’incontro “Il settore elettrico del futuro. Rinnovabili, crisi energetica e innovazione disegnano il mercato al 2030”. “Entro una decina d’anni – ha sottolineato l’economista – grazie all’elettrificazione si ridurrà la domanda complessiva di combustibili fossili. Rimarranno comunque elementi di criticità, che dovranno essere affrontati per poter avere un mercato elettrico più efficiente”.
Per elettricità e gas in due anni tutto è cambiato
Cos’è successo nel mercato dell’energia dal 2020 a oggi?
Nel giro di due anni si è passati da prezzi del gas che erano ai minimi storici a causa della pandemia (8 €/MWh a fronte di una domanda elettrica al suo minimo da inizio secolo) ai record verso l’alto del 2021 e 2022, con quotazioni oltre i 100 €/MWh già prima della guerra in Ucraina, per triplicare ad agosto. Nei primi otto mesi di quest’anno, la domanda di energia elettrica è poi tornata ai livelli pre-Covid, con prezzi superiori a 100 €/MWh da luglio 2021 e oltre 200 €/MWh da ottobre e un picco di 540 €/MWh nell’agosto scorso. E oggi, fortunatamente, grazie anche al clima mite e al riempimento degli stoccaggi, si assiste a un nuovo drastico calo dei prezzi del gas, mentre il PUN giornaliero è tornato sotto i 200 €/MWh dopo quattro mesi.
Tre ipotesi per una riforma del mercato
Dopo anni di dibattito si torna a parlare di come deve essere riformato il mercato elettrico, contemperando l’esigenza di contenere i costi delle bollette con quella di favorire la transizione energetica spingendo lo sviluppo delle fonti rinnovabili.
Althesys ha analizzato tre diverse opzioni teoriche di funzionamento del mercato elettrico: quello attuale di System Marginal Price (SMP), quello del Pay as Bid (PAB) e un terzo, che prevede la scissione in due diversi segmenti di mercato: uno spot con l’attuale meccanismo del SMP per la generazione termoelettrica e uno forward per le rinnovabili, con prezzo fisso nel lungo periodo.
SMP sarebbe il meccanismo più costoso in tutti gli scenari di prezzo del gas, il PAB il più economico. Il modello di due mercati darebbe risultati intermedi e simili al SMP sono nel caso di bassi prezzi del gas.
Le simulazioni forniscono indicazioni piuttosto chiare circa gli effetti sui prezzi
Dovranno poi essere esaminati gli aspetti regolatori ed attuativi, anche alla luce del quadro normativo europeo.
Se queste sono le ipotesi per il medio e lungo periodo, come affrontare l’emergenza oggi?
Le misure messe finora in campo dall’Italia per fronteggiare il “caro bollette” sono state adeguate?
Si sarebbe potuto fare qualcosa di diverso e di migliore?
Una risposta potrebbe arrivare dalle misure adottate in Spagna
Althesys ha analizzato anche cosa sarebbe successo se l’Italia avesse introdotto il Tetto al prezzo del gas per la generazione elettrica del tipo “TOPE” di Spagna-Portogallo.
Secondo le stime svolte dal team diretto da Marangoni, il tetto al prezzo del gas avrebbe permesso di risparmiare il 21%-23% del costo di approvvigionamento elettrico, cioè tra i 15,7 e i 17,5 miliardi di euro. L’applicazione di questa misura non sarebbe, tuttavia, così semplice, comportando, tra l’altro, la necessità di non favorire le esportazioni a spese dei consumatori italiani, oltre alla compatibilità con le normative europee sugli aiuti di Stato.
Althesys è una società professionale indipendente specializzata nella consulenza strategica e nello sviluppo di conoscenza. Opera con competenze di eccellenza nei settori chiave di ambiente, energia, infrastrutture e utility, nei quali assiste imprese e istituzioni.
NET – New Electricity Trends è il modello di sistema elettrico sviluppato da Althesys per la simulazione e il forecast di lungo termine. Supporta operatori di mercato e istituzioni nel disegnare le politiche e le strategie aziendali, nella pianificazione energetica e finanziaria degli investimenti.
La sua flessibilità consente di confrontarsi con le complessità del mercato elettrico, dando più valore agli utenti in diverse applicazioni.
Direttiva Acque Potabili. Non più un problema da gestire, ma un rischio da prevenire. E’ su questo principio cardine che si basa la nuova Direttiva UE 2020/2184 sulla qualità delle acque destinate al consumo umano, che dovrà essere recepita dall’Italia e da tutti gli Stati membri entro il 12/01/2023, e che rivede, supera e sostituisce (dopo oltre 20 anni) la Direttiva 98/83/CE con l’immutato obiettivo primario di assicurare un livello elevato di protezione dell’ambiente e della salute delle persone dagli effetti negativi derivanti dal consumo di acqua contaminata.
Nulla cambia e tutto cambia, sebbene lo scopo le accomuni
La nuova Direttiva, però, punta sulla prevenzione e, per farlo, detta una serie di criteri di recepimento che introducono dei chiari obblighi – informativi, di sorveglianza, di controllo e garanzia – per proteggere la salute umana dalla contaminazione delle acque, garantendo la salubrità e la pulizia delle stesse.
Partendo dalle criticità emerse dalle segnalazioni di Right2Water (campagna promossa dai cittadini europei per impegnare l’Unione Europea e gli Stati membri ad attuare il diritto all’acqua e ai servizi igienici), e dalla successiva valutazione della Commissione europea sull’adeguatezza della disciplina vigente, la nuova direttiva introduce l’obbligo del controllo in via preventiva in tutta la catena di approvvigionamento, con un approccio più olistico alla gestione del rischio (ovvero con visione globale dell’intero sistema-filiera per poter delineare una completa “mappa del rischio”). In tal senso, ridefinisce l’elenco dei parametri microbiologici e chimici inserendovi, ad esempio, in fase estrattiva le microplastiche, gli interferenti endocrini e i prodotti farmaceutici e, in ambito di distribuzione domestica, il controllo di legionella e piombo, concentrando l’attenzione sui “locali prioritari” (strutture sanitarie, ricettive, scuole e pubblici esercizi). Vengono definiti anche i requisiti minimi di igiene per i materiali che entrano in contatto con le condutture e, cosa di primaria importanza, viene chiesto di garantire l’accesso all’acqua a tutti, anche agli emarginati e ai vulnerabili che, in Europa, sono circa 2 milioni.
“Le rivoluzioni apportate dalla nuova Direttiva vanno oltre e si concentrano anche sulle informazioni – adeguate a aggiornate – da fornire ai consumatori per indurli a bere e a rispettare l’acqua del rubinetto” chiarisce l’avvocato Paola Rita Esposito, consulente di diritto delle acque e Legal Advisor di Celeris, società di consulenza che coordina il progetto WHOW (Water Health Open knoWledge) finalizzato alla creazione di una infrastruttura europea sui dati ambientali e di impatto sulla salute. “Le due finalità principali della Direttiva, ossia migliorare l’accesso all’acqua e l’informazione pubblica, rispondono alle richieste dei cittadini di modernizzare la comunicazione e di mettere a loro disposizione informazioni aggiornate e pertinenti sulla qualità delle acque potabili”.
Per fare ciò diventa fondamentale non solo la raccolta periodica dei dati (informazioni relative alla valutazione e gestione del rischio per ogni punto di estrazione dell’acqua, informazioni contenenti i risultati di monitoraggio della qualità dell’acqua, degli incidenti, delle deroghe concesse…), ma anche la loro “omogeneizzazione” per consentirne la lettura e la comparazione. Da qui l’obbligo per legge di istituire in Italia un sistema informativo di raccolta dati centralizzato (la cosiddetta piattaforma AnTeA – Anagrafe Territoriale dinamica delle Acque potabili) e di rivedere l’intero sistema di sorveglianza e controllo della sicurezza dell’acqua potabile, affidato all’Istituto Superiore di Sanità. Quest’ultimo diventerà anche CeNSiA (Centro Nazionale per la Sicurezza delle Acque) con rinnovate funzioni ai fini dell’approvazione dei piani di sicurezza delle acque nell’ambito della valutazione della qualità tecnica dell’acqua e del servizio idrico di competenza di ARERA, Autorità di Regolazione per Energia Reti e Ambiente. E, da ora, per assicurare un uso sostenibile delle risorse idriche, chi usa paga ma, soprattutto, paga chi sbaglia: verrà infatti ridefinito anche un sistema sanzionatorio sulle violazioni.
La fornitura diventa un servizio generale
Il costo passa a carico degli utenti e include tutti i servizi collegati all’uso dell’acqua come la manutenzione delle attrezzature, gli investimenti, i costi ambientali e quelli legati al depauperamento delle risorse. E questa, in definitiva, è la grande, vera rivoluzione perché smette di accettare lo spreco e l’abuso di un bene tanto prezioso.
Agli Stati membri verrà concesso un periodo transitorio per adeguarsi
Avranno tempo fino al 12/01/2026 per adottare le misure necessarie affinché le acque destinate al consumo umano siano in linea con i parametri indicati nella Direttiva; entro il 12/07/2027 dovranno avere istituito il piano di valutazione e gestione dei rischi per i bacini idrografici e per punti di estrazione; entro il 12/01/2029, infine, dovranno avere introdotto misure atte a migliorare l’accesso e a promuovere l’uso di acqua per il consumo umano unitamente al piano di valutazione dei rischi per i sistemi di distribuzione e di fornitura. Tutte le informazioni dovranno essere messe a disposizione dell’Agenzia Europea per l’Ambiente.
L’introduzione del nuovo approccio olistico preventivo alla sicurezza dell’acqua “basato sul rischio”, esteso dal ciclo naturale al ciclo idrico integrato (distribuzione delle acque potabili, fognature, depurazione, restituzione all’ambiente) porterà al rinnovamento dell’intero sistema idro-potabile, rivoluzionando il sistema esistente dei controlli sull’acqua (di tipo retrospettivo), con un criterio preventivo basato sull’analisi delle situazioni di potenziale pericolo che potrebbero verificarsi in tutta la filiera. In definitiva, la Direttiva 2020/2184 comporterà in Italia un radicale cambiamento delle strategie finalizzate al miglioramento della qualità delle acque potabili attraverso il rinnovamento dell’intero sistema idro-potabile.
Si tireranno le somme almeno ogni 5 anni, con periodica valutazione degli standard microbici e chimici oltreché delle procedure di monitoraggio, di campionamento e di valutazione del rischio.
Nel 2035 la prima, concreta valutazione della Direttiva nella sua applicazione globale.