Ottobre 2022

Consumatore sostenibile, un aiuto al pianeta con un occhio al portafoglio: l’inchiesta di Altroconsumo sulle abitudini sostenibili dei cittadini. L’indagine rientra tra le iniziative del progetto RESSS, finanziato dal MiSE, con l’obiettivo di guidare i consumatori nella transizione verso un’economia circolare.
Il 51% del campione crede che il prezzo dei prodotti più sostenibili sia troppo alto. Il 42% reputa l’offerta di prodotti green limitata o inadeguata

Quante volte ci siamo chiesti come poter aiutare il nostro pianeta, soprattutto in questo delicato momento storico di crisi degli approvvigionamenti, in cui si sente il bisogno di tagliare le spese non necessarie e ridurre gli sprechi. Sono molti i comportamenti che possono aiutare a limitare l’impatto ambientale e il consumo energetico: dal dare una seconda vita agli indumenti, al preferire la riparazione e il ricorso al mercato di seconda mano rispetto all’acquisto di nuovi beni, fino alla condivisione di prodotti e servizi che non servono quotidianamente.
A tal proposito, Altroconsumo ha condotto un’inchiesta sul grado di sostenibilità nella quotidianità degli italiani, misurando i dati che riguardano dagli acquisti ai comportamenti domestici su un campione di oltre 1.200 cittadini durante il mese di giugno 2022.
L’indagine fa parte delle iniziative legate al progetto RESSS (Rendiamo semplici le scelte più sostenibili), finanziato dal MiSE, Legge 388/2000 – ANNO 2021, finalizzato ad accompagnare i consumatori nella transizione verso un’economia circolare. L’obiettivo è rendere sempre più facile compiere azioni ecologiche e rispettose dell’ambiente, informando anche sulle possibilità offerte da bonus e incentivi messi a disposizione dal Governo. Da maggio sono state ricevute oltre 5814 richieste di contatto da parte di consumatori interessati ad avere informazioni su bonus, ecobonus e incentivi.

I risultati dell’inchiesta saranno presentati durante il webinar online “Rendere semplici le scelte sostenibili: mettiamoci in gioco”, in programma il 24 novembre alle ore 15. L’incontro, indirizzato a divulgatori scientifici e giornalisti, sarà moderato da Mercato Circolare e si terrà in modalità interattiva a distanza, grazie a strumenti che renderanno i contenuti più fruibili, accattivanti e facilmente ricordabili.

UNA PERSONA SU 2 È CONVINTA CHE FARE SCELTE SOSTENIBILI SIA PIÚ COSTOSO
Molte persone credono che fare scelte green sia un lusso per pochi, ma in realtà così non è: ciascuno può adottare un’ottica sostenibile e di risparmio nel proprio piccolo. Dai risultati emerge che le donne hanno maggior sensibilità ambientale, ma i fattori che influenzano le abitudini green si differenziano in base alla categoria di prodotto. Ad esempio, l’82% degli intervistati valuta il consumo di energia come criterio sostenibile prima di acquistare un importante elettrodomestico. Al contrario, quando si tratta di scegliere un prodotto hi-tech o un capo d’abbigliamento, rispettivamente il 53% e il 64% dei rispondenti è condizionato dalle promozioni del momento, mentre i mobili sono scelti soprattutto per il loro design (63%).
Dall’inchiesta emerge che una persona su due considera il prezzo degli articoli più sostenibili troppo elevato. Il denaro rappresenta certamente una possibile barriera al vivere sostenibile, ma non è detto che debba essere necessariamente così vincolante. Per molti cittadini c’è ancora una barriera culturale da superare, per cui parole come condivisione, riparato o ricondizionato suonano stonate, e questo pregiudizio porta a stare alla larga da un’ampia offerta di servizi consolidati che il mercato offre da tempo.

IL 70% DEGLI INTERVISTATI DICHIARA DI AVER ACQUISTATO O VENDUTO ARTICOLI DI SECONDA MANO
In questo contesto, la modalità alternativa all’acquisto più diffusa risulta il prestito, al contrario del noleggio, ancora poco diffuso: solo il 24% degli intervistati afferma di aver noleggiato un articolo almeno una volta al posto di comprarlo. Il 16% ha fatto ricorso, almeno una volta, al noleggio di un veicolo per trasportare un mobile o un grande elettrodomestico. Una percentuale minore (3%), dichiara di aver noleggiato altre categorie di prodotti, quali abiti, accessori, attrezzi e utensili.
Più diffuso, invece, l’utilizzo dell’usato: il 70% dei rispondenti afferma di aver venduto o acquistato almeno un prodotto di seconda mano tra quelli delle categorie considerate dall’indagine (grandi elettrodomestici, prodotti hi-tech, abbigliamento, mobili). Più nel dettaglio, la percentuale di coloro che hanno acquistato (tralasciando chi ha venduto) si aggira attorno al 56%. Sono soprattutto l’abbigliamento e il mobilio, a registrare le percentuali più elevate, rispettivamente il 38% e il 31%, acquisti fatti perlopiù nei mercatini dell’usato. I canali di acquisto dell’usato dipendono in parte dalla categoria di prodotto, ad esempio, oltre un terzo di coloro con esperienza di acquisti di seconda mano compra articoli hi-tech su siti e app specializzati in vendite di seconda mano, mentre il 30% si serve di distributori di prodotti ricondizionati, ma in tanti si rivolgono anche ad amici e parenti.

RIPARARE E NON ACQUISTARE: COME ALLUNGARE IL CICLO DI VITA DEL PRODOTTO
Un’altra strategia per risparmiare e allungare la vita di un bene è la riparazione. La maggior parte dei rispondenti risulta informato su questo: il 70% sa che le istruzioni per manutenzione e riparazione devono essere messe a disposizione, il 60% sa di avere diritto di poter acquistare eventuali pezzi di ricambio. Nonostante ciò, quasi la metà del campione dichiara di non essere al corrente dei propri diritti a riguardo. Sulla garanzia di conformità pare esserci ancora confusione, infatti il 46% pensa che garantisca la durata minima di vita dei prodotti oltre a tutelare il consumatore in caso di acquisto di prodotti difettosi o che non rispondono all’uso dichiarato.

È necessario quindi un cambio delle abitudini nel quotidiano, anche solo agendo su piccole cose come: smettere di bere l’acqua minerale in bottiglia che, oltre ad offrire un risparmio economico di almeno 150 euro/anno, riduce l’impatto ambientale. Inoltre, possedere un’automobile tutto l’anno conviene solo se davvero la si utilizza spesso. Con azioni e iniziative pro-ambiente, quindi, è possibile costruire un futuro più sostenibile per tutti, evitando parallelamente inutili voci di spesa.

Finanziato dal MiSE. Legge 388/2000 – ANNO 2021

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Banche Etiche europee più redditizie della media delle banche mainstream e sono pioniere nella misurazione e nella riduzione dell’impatto sul clima: è quanto emerge dal “Quinto rapporto sulla finanza etica in Europa” presentato al Parlamento europeo il 12 ottobre.

Il rapporto, pubblicato dal Gruppo Banca Etica in collaborazione con Febea, la Federazione Europea delle Banche e dei finanziatori Etici e Alternativi, mette a confronto i principali dati finanziari delle 24 banche etiche europee con quelli dell’aggregato di circa 4.500 banche operanti nell’Eurozona, sulla base dei dati forniti dalla Banca Centrale Europea.

“Nei dieci anni fino al 2020, le banche etiche sono state mediamente due volte più redditizie rispetto a quelle tradizionali in termini di ROE”, afferma Anna Fasano, presidente di Banca Etica. “I loro depositi durante la pandemia sono cresciuti di oltre il 15% nel 2020 rispetto al 2019”.

Le 25 banche etiche analizzate nel rapporto finanziano esclusivamente progetti con impatti sociali e ambientali positivi e sono strutturalmente diverse dalle banche tradizionali.
Le banche etiche utilizzano un approccio bancario che si basa sulla relazione con i clienti sia per il credito sia per la raccolta di risparmio e si focalizzano sull’economia reale, mentre le banche mainstream sono molto più dedite alle attività finanziarie (investimenti in titoli, servizi finanziari, ecc.).
Nel 2020, i prestiti a persone e imprese rappresentavano in media il 72,98% delle attività totali per le banche etiche, ma solo il 36,96% per il sistema bancario europeo.

Come mostra il rapporto, le banche etiche sono all’avanguardia anche nella misurazione delle emissioni di CO2 generate indirettamente dai loro prestiti.

“Le banche in genere misurano le emissioni Scope 1 e 2, prodotte dai sistemi di riscaldamento dei loro uffici o dal consumo di elettricità”, afferma Mauro Meggiolaro, analista di Fondazione Finanza Etica. “Solo recentemente alcune banche tradizionali hanno iniziato a misurare e a rendere note le emissioni dell’Ambito 3, generate dai prestiti alle imprese e ai privati. Le banche etiche sono state tra le prime al mondo a divulgare i dati sulle emissioni Scope 3 dei loro portafogli finanziari e creditizi, secondo i principi del PCAF (Partnership for Carbon Accounting Financials). Questo è fondamentale per effettuare analisi di scenario, fissare obiettivi, intraprendere azioni e divulgare i progressi verso la decarbonizzazione”.

“Il rapporto evidenzia una serie di ragioni per cui le banche etiche dovrebbero essere trattate in modo diverso dal punto di vista normativo, sia a livello europeo che nazionale”, continua Fasano. “Le banche etiche non hanno avuto alcuna responsabilità nella crisi finanziaria del 2008, ma la regolamentazione è stata inasprita anche per loro. Il legislatore non ha fatto alcuna differenza tra i diversi tipi di banche. Di conseguenza, oggi le banche etiche sono sottoposte a una mole sproporzionata di regole pensate per le banche mainstream che sono state all’origine delle crisi bancarie e rischiano di vedere indebolita la loro flessibilità nel rispondere alle esigenze delle cooperative e delle imprese sociali, delle organizzazioni ambientaliste e del Terzo Settore”.

Interventi:
– Peru Sasia, presidente di FEBEA
– Anna Fasano, presidente di Banca Etica.
– Adriana Kocornik-Mina, Responsabile Metriche e Ricerca presso la Global Alliance for Banking on Values e membro del Comitato Direttivo del PCAF.
– Patrizia Toia (S&D) e Ernest Urtasun (Verdi/EFA), eurodeputati
– Victor Meseguer, direttore di Social Economy Europe,
– Federica Ielasi, Università di Firenze e nel CdA di Etica Sg

ll Gruppo Banca Etica è composto da Banca Etica, Etica Sgr, CreSud. Propone una gamma completa di servizi finanziari che coniugano l’efficienza economica con la promozione culturale, ambientale, umana. Fondazione Finanza Etica e Fundación Finanzas Éticas sono le fondazioni culturali del Gruppo in Italia e Spagna. Promuovono attività di ricerca e studio sui temi della finanza etica, analisi critiche e proposte di alternative rispetto alle regole e alle pratiche del mondo finanziario e iniziative di studio e sensibilizzazione sull’educazione critica alla finanza.
Banca Etica, la prima e tuttora unica banca italiana interamente dedita alla finanza etica, opera da 23 anni su tutto il territorio nazionale. Conta 46 mila soci e 82 milioni di capitale sociale. È presente anche sul territorio spagnolo come Fiare Banca Etica. Banca Etica aderisce ai principali network internazionali della finanza etica: Global Alliance for Banking on Values (GABV) e Federazione Europea delle Banche Etiche e Alternative (Febea). Etica Sgr è la società di gestione del risparmio del Gruppo Banca Etica, l’unica in Italia che colloca esclusivamente fondi comuni di investimento etici.
CreSud offre risorse finanziarie e servizi di assistenza a organizzazioni di microfinanza, produttori di commercio equo e sostenibile, associazioni e ONG in America Latina, Africa ed Asia.

FEBEA Federazione Europea delle Banche Etiche e dei Finanziatori Alternativi, è una Federazione che riunisce 33 istituzioni finanziarie di 15 Paesi europei, con l’obiettivo di sviluppare e promuovere i principi della Finanza Etica. L’obiettivo di FEBEA è sviluppare la finanza etica e sociale in Europa, attraverso le attività dei suoi membri e le proprie iniziative. FEBEA difende una visione impegnata, rigorosa e ambiziosa della finanza sociale ed etica.

www.finanzaetica.info

Febea

rapporto

Banche in crisi da fossili. Esposizione di 1,35 trilioni di dollari in asset legati ai combustibili fossili nelle 60 banche più grandi al mondo.

L’aumento di capitale necessario per coprire il rischio di questa esposizione è equivalente a 3-5 mesi di utili bancari

“Una transizione più sicura per il fossil banking – Quantificazione dei capitali supplementari necessari per coprire i maggiori rischi legati all’esposizione ai combustibili fossili”
Il rapporto di Finance Watch, l’ONG paneuropea che promuove una finanza al servizio della società, rivela che le 60 banche più grandi al mondo hanno un’esposizione di circa 1,35 trilioni di dollari ad asset legati ai combustibili fossili.

I combustibili fossili sono il principale fattore di accelerazione del cambiamento climatico, e molti asset legati ai combustibili fossili dovranno essere abbandonati prima che termini la loro vita economica nel percorso di transizione verso un’economia sostenibile. In altre parole, si svaluteranno, trasformandosi in attivi non recuperabili, i cosiddetti “stranded asset”. E le banche che li hanno finanziati subiranno delle perdite. Se aggiungiamo a queste perdite finanziarie i danni cagionati dagli eventi catastrofici indotti dal cambiamento climatico, la conseguente destabilizzazione dell’intero sistema finanziario potrebbe sfociare in un’altra crisi finanziaria.

Lo studio evidenzia, inoltre, che l’esposizione delle banche globali ai soli asset legati ai combustibili fossili – escludendo i settori ad alte emissioni a valle della filiera – è quasi equivalente all’esposizione dell’intero sistema finanziario ai mutui subprime prima della crisi finanziaria globale del 2007-2008. Benché gli asset legati ai combustibili fossili e quelli connessi ai mutui subprime presentino evidenti differenze strutturali, la situazione attuale presenta comunque delle analogie con quella di allora.

Benoît Lallemand, Segretario generale di Finance Watch, ha dichiarato: “Poiché i rischi finanziari legati al clima crescono proporzionalmente al tempo di inazione, se in futuro dovessero concretizzarsi in modo improvviso darebbero luogo a una sorta di “effetto Lehman” climatico. In tutto il sistema si evidenzia una tendenza allo scarico di responsabilità, in cui governi, responsabili delle politiche monetarie e fiscali, organi di vigilanza, agenzie di rating, imprese e istituzioni finanziarie accusano le altre parti di inerzia.
Proprio come fecero alla vigilia dell’ultima crisi finanziaria, questi stakeholder ora tendono a dare eccessiva fiducia ai calcoli e ai modelli: una scelta tanto più illusoria in rapporto al cambiamento climatico, che rappresenta un rischio molto più grande e complesso rispetto al quale, per definizione, non disponiamo di dati storici su cui poter fare affidamento.
Nel frattempo, il conto è virtualmente nelle mani dei contribuenti. Oggi siamo alle prese con una grave crisi che colpisce il costo della vita, e molte famiglie faticano ad arrivare a fine mese.
Intanto, complice l’aumento dei tassi di interesse, gli utili delle banche crescono.
In tale contesto, è incomprensibile che le autorità non intervengano tempestivamente in via cautelativa per proteggere i contribuenti dai rischi finanziari legati al clima”.

Sottovalutati i rischi associati agli asset legati ai combustibili fossili
La regolamentazione vigente non obbliga le banche ad accantonare fondi sufficienti a coprire potenziali perdite di valore di questi asset. In caso di crash bancario, il costo delle operazioni di salvataggio ricadrebbe sui contribuenti, invece di essere assorbito dal mercato. Per di più, il trasferimento del rischio assume le sembianze di una “sovvenzione implicita”: in assenza di un’adeguata regolamentazione, le condizioni di finanziamento sono mantenute artificialmente favorevoli, e così il settore bancario fornisce un sussidio annuo all’industria dei combustibili fossili stimato in 18 miliardi di dollari. Questo contributo svantaggia in modo evidente il finanziamento dei progetti sostenibili e di transizione.

Per contribuire a risolvere il problema, Finance Watch esorta le autorità normative ad adeguare i requisiti patrimoniali delle banche in base alla loro esposizione ai combustibili fossili. Questo sarebbe un importante punto di partenza per affrontare i rischi finanziari legati al clima che pesano sui bilanci delle banche.
I requisiti patrimoniali determinano la capacità delle banche di assorbire possibili perdite. A livello internazionale, questi requisiti sono dettati dal Comitato di Basilea per la vigilanza bancaria; a livello europeo, sono messi in atto dal regolamento sui requisiti patrimoniali (CRR), attualmente all’esame dei legislatori.

Secondo Finance Watch, gli asset legati ai combustibili fossili dovrebbero essere trattati come asset “più rischiosi”, con conseguente attribuzione di un fattore di ponderazione del rischio del 150% in linea con gli standard di Basilea.

Stando ai nuovi dati del rapporto di Finance Watch, sarebbe necessario un capitale supplementare compreso tra 157,0 e 210,2 miliardi di dollari per le 60 banche globali, ivi incluse le 28 banche considerate di importanza sistemica per la stabilità finanziaria globale e le 22 principali banche europee in termini di asset. Si tratterebbe di un importo mediamente equivalente a un solo trimestre di utili non distribuiti del 2021. In termini percentuali, l’aumento medio di capitale sarebbe compreso tra il 2,44% e il 3,27% del capitale esistente. Il proposto adeguamento dei requisiti patrimoniali dovrebbe essere introdotto in modo graduale, e le autorità dovrebbero collaborare con gli istituti bancari per stabilire piani realistici. Poiché l’aumento di capitale sarebbe finanziato mediante gli utili non distribuiti in un arco di tempo relativamente limitato, non comporterebbe una riduzione sfavorevole della capacità di concessione di credito delle banche.

Julia Symon, Head of Research & Advocacy di Finance Watch e coautrice del rapporto sottolinea: “Il nostro studio mostra come il rafforzamento dei requisiti patrimoniali per il finanziamento dei combustibili fossili – un passo fondamentale per affrontare il rischio legato al cambiamento climatico – è una misura attuabile con un costo medio pari a 3-5 mesi di utili da parte delle banche, e questa è una stima prudenziale basata su dati disponibili al pubblico per il 2021.
C’è anche un precedente rispetto all’implementazione di misure relative al capitale: gli aumenti di capitale necessari per attuare le riforme di Basilea dopo la crisi finanziaria sono stati realizzati attingendo agli utili non distribuiti, senza alcuna riduzione del credito bancario o del volume degli asset.
Il mantenimento degli impegni internazionali sul clima, come l’Accordo di Parigi, comporterà una significativa perdita di valore per numerosi asset legati ai combustibili fossili. In assenza di interventi normativi concreti per accompagnare la nuova realtà, i rischi di una transizione disordinata e di dissesti legati al clima rischiano di essere maggiori di quanto il sistema finanziario sia in grado di gestire”.

Finance Watch è un’associazione di interesse pubblico sostenuta da finanziamenti indipendenti che vuole mettere la finanza a servizio della società civile. Si prefigge di rafforzare la voce della società nel processo di riforma della regolamentazione finanziaria, facendosene portavoce e portando all’attenzione generale e delle autorità argomenti di interesse pubblico.
Tra i membri di Finance Watch si annoverano associazioni per la difesa dei consumatori, associazioni di edilizia sociale, sindacati, ONG, esperti di finanza, accademici e altre organizzazioni della società civile che rappresentano collettivamente un elevato numero di cittadini europei.
Nei suoi principi fondanti, Finance Watch afferma che la finanza è essenziale per la società poiché fa fruttare il capitale in modo trasparente e sostenibile, ma che il legittimo perseguimento di interessi privati da parte del settore finanziario non deve avvenire a scapito della società civile.

www.bancaetica.it

www.finance-watch.org

rappporto

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Uso sonde geotermiche. Il Ministero della Transizione Ecologica ha siglato un provvedimento che, per la prima volta, disciplina a livello nazionale le procedure per l’utilizzo delle sonde geotermiche (fino a 50kW e 80 metri di profondità) per la produzione di energia rinnovabile.

Una fonte energetica green ad impatto zero che attende solo di essere utilizzata
Tale documento rappresenta un fatto innovativo perché consente di definire regole omogenee per la realizzazione di sonde geotermiche – ossia quegli impianti per la produzione di energia rinnovabile che funzionano attraverso lo scambio di calore con il sottosuolo.

“Si tratta di una svolta per tutto il settore della geotermia. Questo perché finora – spiega Arcangelo Francesco Violo, presidente del Consiglio Nazionale dei Geologi (CNG) – la grande maggioranza delle Regioni non aveva un riferimento preciso. Era, cioè, possibile installare gli impianti, ma in una situazione in cui si navigava al buio su come autorizzarli.
Per questo, va anzitutto detto che il decreto del MiTE è positivo perché rappresenta quel segnale che potrà finalmente avviare la ‘filiera della geotermia’ e per farla diventare una risorsa fruibile per i cittadini” ha detto il Presidente a “Il Sole 24 Ore”.

La geotermia “a bassa entalpia”
La firma al provvedimento sulle piccole autorizzazioni geotermiche diventa quindi un riferimento normativo omogeneo a livello nazionale, vale a dire in uno scenario in cui “Per la bassa entalpia, la filiera è già pronta ed è tutta italiana, sia a livello di esecuzione che di produzione (pompe e materiali) può portare all’installazione di circa 100 mila utenze da realizzare ogni anno. Sono sempre poche ma sono un bel traguardo per dare inizio ad una piccola rivoluzione dei nostri sistemi energetici e abbassare i costi delle bollette”.

Certo, nel documento ci sono tanti piccoli difetti che andranno limati, ma il prossimo passaggio è certamente il fare informazione.

“Ora bisogna far capire che la geotermia è un’energia green che può essere ottenuta in maniera complementare alle altre rinnovabili. Perché l’energia termica è una risorsa sempre utilizzabile lo abbiamo a disposizione tutto l’anno, più del sole o del vento” conclude Violo.

L’energia geotermica è generata e conservata all’interno del pianeta e può essere sfruttata come forma di energia green ad impatto zero, come da anni sostengono i geologi, con casi di eccellenza straordinari già operativi.

www.cngeologi.it/

Energia a It’s All Efficiency. Si è tenuta l’edizione 2022 di It’s All Energy Efficiency, con Enrico Rainero moderatore nelle 4 sessioni, suddivise secondo i settori: Pubblica Amministrazione, Retail, Hospital, Industry.
Le testimonianze delle attività “sul campo” dei responsabili energy delle aziende sono sempre preziosissime, specialmente nei momenti in cui prendere le decisioni ed attuarle è sempre più difficile.

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TNFD as Greenwashing? Civil Society Groups Say UN-backed TNFD Proposal Invites Corporate Greenwashing on Nature.

Thirteen civil society organizations are sounding the alarm about the corporate greenwashing on nature that the work of the Taskforce on Nature-related Financial Disclosures (TNFD) might facilitate. The TNFD is a voluntary initiative led by business but endorsed by various actors on the international stage. Like its sister initiative, the Task Force on Climate-related Financial Disclosures, TNFD will likely serve as a blueprint from which government regulators will draw, as public concern continues to build about the nature and biodiversity crisis and the trillions of dollars in financing that drive it. In May 2022, a Joint NGO Letter to the TNFD by 28 NGOs and networks outlined major concerns with its first draft.

“We were always skeptical that a process so wholly controlled by business interests would deliver – but combing through its latest draft we are shocked by just how bad it remains.” said Shona Hawkes, an adviser with Rainforest Action Network.

Launched in 2021, the Taskforce on Nature-related Financial Disclosures is headed by 34 senior staff from global companies.
TNFD is developing a framework that outlines what information a company or financial institution should self-report regarding how its relationship with nature has, or will, impact its business. This may include how it is preparing for changes in the short, medium, or long term. It emerges at a point in time when the global community is increasingly aware of the trillions of dollars that are underpinning companies or projects that are driving the nature crisis. TNFD launched the first draft of its framework in March 2022, the second in June 2022, the third and fourth are anticipated in November 2022 and February 2023, and the final version is expected in September 2023.

Key areas of concern in TNFD’s current framework include:
– TNFD doesn’t require companies or financial institutions to report their known harms and adverse impacts on nature or people.
TNFD only requires a business to report on significant financial risks or opportunities – in this case, those that may arise from its relationship with nature. This in itself is subjective. An ethical firm may see all harms to nature as bad for business, a company profiting off environmental abuse is less likely to. If a business is knowingly linked to environmental abuse but doesn’t think this is financially detrimental it doesn’t get reported. This is a major red flag for greenwashing and does not seem aligned with the approach of the European Securities and Markets Authority (ESMA) or the Global Reporting Initiative which back double materiality reporting. TNFD also notes that it received feedback on its first draft that reporting on impacts – and also human rights – should be incorporated, but it has opted to omit both.

– TNFD ignores human rights including the rights of women, Indigenous Peoples, local communities, peasants, and the very people who are standing up to companies, often at great risk, in order to safeguard nature.
Despite TNFD receiving hundreds of thousands of dollars in funding from the UN Development Programme – TNFD is normalizing the idea that we can fix the nature crisis while ignoring the human rights abuses that often underpin it.

– TNFD doesn’t require a business to publish grievance lists or take similar steps to disclose where communities, NGOs or media investigations have made allegations that it is linked to harms against nature and people.
Complaints and grievances are one of the most important tools to understand if a business’ claims don’t stack up in practice.

– TNFD plans to rush out a series of guidances. These guidances will outline recommendations for sectors, financial actors, realms (ocean, freshwater, land and atmosphere) and potentially other areas. In its broader work TNFD has often cherry-picked from approaches that set a very low bar, rather than reflect expectations set through more sound multi-stakeholder processes. Poor guidance is highly likely to set a lower bar than many existing national and international environmental and human rights standards. In doing so, TNFD will undermine the headway made, and lessons learned, over many years. This process requires further and wider consultation and a more rigorous assessment than that proposed.

“When we look at what TNFD is proposing, the first question should be: Will this work? Based on our many years of tracking cases of corporate and financial sector harms, the answer is a resounding ‘no’. If environmental destruction isn’t even reported, and the rights of local people aren’t respected, business as usual will persist.” said Edisutrisno, Executive Director of TuK Indonesia

“Global corporations are writing the rules of TNFD – cognisant that it may form the blueprint for future regulations. And yet, these companies and financial institutions reap more profits when there is lax regulation. What we see so far with TNFD is an embarrassing lack of ambition to shift the financial system so that nature and people can survive and thrive. Instead, it’s a blueprint for intensifying the biodiversity crisis.” said Katharine Lu, Senior Program Manager, Friends of the Earth US

“TNFD in its current form offers up huge potential for greenwashing by companies and financial institutions, potentially delaying meaningful action that is so urgently needed to tackle the climate and biodiversity crises.” said Hannah Greep, Banks & Nature Campaign Lead, BankTrack

“Not only is TNFD’s own proposal woeful, it is hijacking the broader conversation about how to divert the trillions of dollars in financing that is driving, and profiting from, the destruction of nature and human rights abuses. This is light years away from the solutions that the victims of corporate abuses and nature harms are calling for.” said Kwami Kpondzo, Coordinator Extractive Industries, Tourism and Infrastructure campaign, Global Forest Coalition

“What is lost in the TNFD discussion is how violent, brutal, devastating, and often, deadly the fights to save lands, forests, and waters often are. On average, four people are killed every week in efforts to prevent them from speaking out on the need to protect nature and their rights. Many investors and banks have repeatedly been alerted about their links to these harms, and have done little if anything to prevent them. Past, present, and potential future harms to nature and human rights must be included in TNFD reporting to curb these abuses.” said Melissa Blue Sky, Senior Attorney, Center for International Environmental Law

“Under TNFD’s proposed framework businesses are fully entitled to continue to back the destruction and degradation of nature and human rights – so long as it doesn’t affect their profits. But by not requiring companies to consider both long and short-term harms to communities and the environment in their risk analysis, the TNFD is setting the stage for severe environmental and human rights abuses and the worsening of the biodiversity and climate crises.” said Moira Birss, Climate and Finance Director, Amazon Watch

“We are incredibly concerned that UN agencies are backing, and funding, TNFD, which is not a multistakeholder initiative— it is written by business for business as usual. There is no mention of human or Indigenous rights, no gender analysis, and no equal seat at the table for those on the front lines of the climate and biodiversity crises. There is no discussion of accountability or mechanisms to address harms and grievances to impacted communities or ecosystems. We urgently need real solutions that are bold and transformative. We are in a catastrophic moment, and cannot further initiatives that enable profit over people and nature.” said Osprey Orielle Lake, Executive Director, Women’s Earth and Climate Action Network (WECAN)

Amazon Watch
BankTrack
Center for International Environmental Law
Forest Peoples Programme
Forests & Finance Coalition
Friends of the Earth US
Global Forest Coalition
Global Witness
Jubilee Australia Research Centre
Profundo
Rainforest Action Network
TuK Indonesia
Women’s Earth and Climate Action Network (WECAN)

https://globalforestcoalition.org