Aprile 2021

Gestione foreste migliora il suolo. La conferma dalla verifica dei servizi ecosistemici effettuata da FSC Italia: i numeri dimostrano che le foreste dove la gestione responsabile è certificata contribuiscono a prevenire l’erosione del suolo, a migliorare lo stoccaggio di carbonio e a ridurre la quantità di terreni degradati.
Re Soil Foundation: “Importante costruire una solida cooperazione tra tutti gli attori coinvolti”

La gestione responsabile dei boschi contribuisce alla conservazione della fertilità del suolo e combatte erosione e dilavamento: a dirlo, in occasione dell’Earth Day 2021 sono i numeri relativi alla verifica dei servizi naturali offerti delle foreste, promossa da FSC Italia a partire dal 2018.
Grazie a FSC, l’Italia è stato il primo Paese al mondo a verificare i cinque servizi ecosistemici offerti dalle foreste, ossia lo stoccaggio del carbonio, la conservazione della biodiversità, la stabilizzazione del suolo e del ciclo dell’acqua e, infine, il miglioramento dell’offerta turistico-ricreativa e culturale. La verifica di tali servizi ha consentito quindi di valutare come una gestione sostenibile della risorsa forestale, la sua conservazione e ripristino, abbiano molti benefici, tra cui l’aumento della stabilità e dei nutrienti contenuti nel terreno.

Foreste sane consentono infatti di proteggere il suolo, favoriscono lo scambio di nutrienti e lo stock di carbonio. In questo senso, la verifica dei servizi naturali dei boschi mira a quantificare gli impatti su fattori come lo spessore dello strato di materia organica del suolo, il contenuto percentuale di materia organica e quello nutritivo; la stabilità del terreno; l’incidenza delle frane, la produttività (forestale e agricola) per unità di superficie.

I dati, condivisi con Re Soil Foundation, parlano chiaro, anche se vanno valutati rispetto alla singola realtà certificata, in quanto le condizioni specifiche di un bosco o di ecosistema forestale non sono generalizzabili: “Per quanto riguarda lo stock di carbonio organico – spiega infatti Diego Florian, Direttore del Forest Stewardship Council (FSC) Italia – in alcune aree certificate FSC abbiamo registrato un aumento pari a tre volte il dato di partenza. Ancora più significativo il dato relativo all’erosione del suolo, che si è ridotto di oltre otto volte”.
In alcune foreste in cui sono stati applicati gli standard di gestione responsabile FSC, la riduzione dell’erosione del suolo è andata di pari passo con l’aumento della copertura vegetale esistente. “Sono tutti dati che confermano, se ancora ce ne fosse bisogno – aggiunge ancora il Direttore di FSC Italia – che il nostro Pianeta ha bisogno di foreste gestite in modo sostenibile per controllare l’erosione del suolo e per la sua conservazione. Le radici degli alberi stabilizzano i pendii di cresta, collina e montagna e forniscono il supporto strutturale meccanico necessario per prevenire movimenti superficiali del terreno”.

“I calcoli effettuati da FSC Italia confermano quanto sia importante costruire una solida cooperazione tra tutti gli attori coinvolti, il mondo della ricerca, delle istituzioni, delle associazioni, della filiera agricola, silvicolturale e forestale, per contrastare il degrado del suolo nei vari territori” commenta la professoressa Debora Fino, presidente di Re Soil Foundation. “Il fenomeno è purtroppo ancora oggi sottovalutato. Eppure i terreni coltivati perdono carbonio a un tasso dello 0,5% annuo. Il 60-70% del suolo è compromesso a causa di cattive pratiche di gestione del territorio, inquinamento, urbanizzazione e, ovviamente, deforestazione. Tutto questo ricade negativamente sul livello di biodiversità dei suoli. La sostanza organica ha un ruolo chiave nell’ecosistema perché rappresenta la più importante riserva di carbonio rispetto alla biosfera e all’atmosfera. Ed è proprio per questo motivo che la sua perdita non può più essere trascurata, anche pensando ai cambiamenti climatici. Invertire la tendenza dipende da quanto sapremo diffondere e premiare buone pratiche di gestione a ogni livello”.

Re Soil Foundation
Creata a inizio 2020 da Novamont, dal Politecnico di Torino, dall’Università di Bologna e da Coldiretti per salvaguardare uno dei beni più importanti e sottovalutati del Pianeta: il suolo, minacciato da decenni da pratiche invasive e insostenibili.

Il Forest Stewardship Council® (FSC®)
Il Forest Stewardship Council (FSC) è un’organizzazione non governativa e no-profit che include tra i suoi 900 membri internazionali gruppi ambientalisti e sociali, comunità indigene, proprietari forestali, industrie che lavorano e commercializzano prodotti forestali, gruppi della grande distribuzione organizzata, ricercatori e tecnici, che operano insieme allo scopo di promuovere in tutto il mondo una gestione responsabile delle foreste.
FSC Italia nasce nel 2001 come associazione no-profit, in armonia con gli obiettivi di FSC International. Il marchio ha assunto un ruolo di primo piano nel mercato dei prodotti forestali quali legno, carta e prodotti non legnosi (come ad esempio il sughero), collocando il nostro Paese al secondo posto nella classifica internazionale e al primo in quello europeo per quel che riguarda le certificazioni FSC della Catena di Custodia (Chain of Custody, CoC).
Il marchio FSC identifica infatti i prodotti contenenti legno proveniente da foreste gestite in maniera corretta e responsabile secondo rigorosi standard ambientali, sociali ed economici. La foresta di origine viene infatti controllata e valutata in maniera indipendente in conformità a questi standard (principi e criteri di buona gestione forestale), stabiliti ed approvati dal Forest Stewardship Council International tramite la partecipazione e il consenso di tutte le parti interessate.
Nel 2018 l’Italia è stato il primo Paese al mondo a verificare scientificamente e certificare gli impatti positivi della gestione responsabile sui servizi naturali forestali, e le ricadute ambientali, sociali ed economiche di tali impatti.

www.fsc-italia.it

www.resoilfoundation.org

Transizione ecologica e sistema energetico, ITALIA SOLARE invia al Ministro della Transizione Ecologica e al Presidente di ARERA il proprio position paper

ITALIA SOLARE pubblica il suo position paper su “Transizione ecologica e sistema elettrico” e lo invia al Ministro per la Transizione Ecologica, Roberto Cingolani, e al Presidente di ARERA Stefano Besseghini.

Un documento di venti pagine, redatto dagli esperti del gruppo di lavoro Mercato Elettrico, con il quale l’associazione presenta la sua visione e le azioni da intraprendere con la massima urgenza per dare concretezza alla transizione ecologica.

“Un sistema elettrico carbon neutral richiede una piena integrazione di risorse come fonti rinnovabili e accumuli, e la loro abilitazione, assieme alla domanda, al mercato dei servizi. Solo in questo modo sarà possibile garantire non solo la generazione di energia da fonti pulite e sostenibili, ma anche la sicurezza del sistema elettrico in assenza di un contributo sostanziale delle fonti tradizionalmente deputate a ciò, vale a dire quelle fossili” afferma Paolo Rocco Viscontini, Presidente di ITALIA SOLARE.

“Il compito di legislatore e regolatore è quello di individuare gli strumenti capaci di favorire una simile evoluzione sistemica, partendo dalla rimozione di tutti gli ostacoli che al momento impediscono la realizzazione di un simile scenario. Da un punto di vista tecnico, tecnologico ed economico, i tempi sono maturi per una rivoluzione che avrebbe impatti positivi sotto ogni aspetto, dalla vita sociale all’economia.”, spiega Marco Ballicu tra i coordinatori del GdL Mercato elettrico e principale autore del documento.

I 5 punti del position paper:
1. La digitalizzazione delle reti, soprattutto locali, dovrà consentire il dialogo e quindi l’interazione di tutte le risorse connesse, incluse quelle sottese a utenze residenziali. Ciò è indispensabile considerata l’attesa diffusione di impianti di generazione distribuita sulle reti di distribuzione, che richiederà da un lato un’evoluzione del ruolo dei gestori di rete, dall’altro un ripensamento sulla loro appartenenza a gruppi verticalmente integrati, stanti gli inevitabili conflitti di interessi che emergerebbero (unbundling proprietario). A ciò si dovrà accompagnare la revisione, e la razionalizzazione, delle configurazioni impiantistiche di cui sia consentita la realizzazione, favorendo lo sviluppo dell’autoconsumo, e l’introduzione di forme di autobilanciamento delle unità di produzione e consumo, in modo da favorire la sicurezza del sistema, a costi inferiori.
2. La definizione di prodotti e servizi in grado di valorizzare adeguatamente il contributo fornito da ogni singola risorsa al raggiungimento di obiettivi prestabiliti è indispensabile per favorire la partecipazione di rinnovabili, accumuli e domanda alla gestione efficiente e sicura del sistema, riducendo la necessità di ricorso a incentivi. Diventa necessario superare i limiti di meccanismi come il Capacity Market o l’MSD, deputati a garantire l’adeguatezza e la sicurezza del sistema, adatti a un contesto dominato da impianti tradizionali e che, nel caso dell’MSD, sono esposti in alcune aree del Paese all’esercizio di potere di mercato per la scarsità di risorse abilitate all’erogazione dei servizi richiesti dal gestore della Rete di Trasmissione Nazionale (RTN).
3. Diventa prioritario realizzare un’analisi approfondita dello stato del sistema, dei livelli di adeguatezza e sicurezza attuali e relativi a scenari compatibili con i target di decarbonizzazione previsti. Una simile attività dovrà essere condotta da un soggetto realmente super partes, indipendente da ogni soggetto attivo lungo la filiera, inclusi i gestori di rete come Terna e i distributori.
4. Fondamentale effettuare l’analisi dei costi che dovranno essere sostenuti per il raggiungimento degli obiettivi prefissati, rendendo quanto mai opportuna l’individuazione degli strumenti in grado di mitigare questo impatto.
5. Elementi imprescindibili per raggiungere gli obiettivi della strategia dovranno essere la garanzia di un sistema pienamente competitivo e l’assicurazione di un confronto tra pari, senza che alcun contendente possa sfruttare indebiti vantaggi.

ITALIA SOLARE evidenzia nel suo documento la preoccupazione relativa ad alcuni concessionari di attività soggette a monopolio naturale, come i distributori e i gestori delle reti di trasporto Terna e Snam, sempre più attivi, eventualmente con società collegate, in settori di libero mercato, dove possono sfruttare incolmabili vantaggi, anche solo in termini di informazioni, rispetto alla concorrenza.

ITALIA SOLARE è un’associazione di promozione sociale che sostiene la difesa dell’ambiente e della salute umana supportando modalità intelligenti e sostenibili di produzione, stoccaggio, gestione e distribuzione dell’energia attraverso la generazione distribuita da fonti rinnovabili, in particolare fotovoltaico. Promuove inoltre la loro integrazione con le smart grid, la mobilità elettrica e con le tecnologie per l’efficienza energetica per l’incremento delle prestazioni energetiche degli edifici.
“ITALIA SOLARE è l’unica associazione in Italia dedicata esclusivamente al fotovoltaico e alle integrazioni tecnologiche per la gestione intelligente dell’energia”.

www.italiasolare.eu

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Riciclo packaging alluminio. Le direttive comunitarie stimolano la rapida affermazione di un’economia circolare basata anche sul riciclo dei materiali. Semplici da raccogliere e riciclabili al 100%, gli imballaggi in alluminio facilitano il sistema di gestione dei rifiuti e consentono una diminuzione di CO2 immessa nell’atmosfera. E riducono gli sprechi alimentari.

Un dato allarmante
Nell’Unione europea si producono ogni anno più di 2,5 miliardi di tonnellate di rifiuti. Una quantità immensa, difficile persino da immaginare, figuriamoci da smaltire. Una massa volumetrica colossale, la cui gestione impone a livello comunitario la codificazione di direttive ben definite tese anche a garantire la salvaguardia dell’ambiente.
A marzo 2020 la Commissione europea ha presentato, sotto l’ombrello del Green Deal europeo (la tabella di marcia per raggiungere la neutralità climatica in Europa entro il 2050), un piano d’azione per una nuova economia circolare basata sulla progettazione di prodotti più sostenibili e sulla riduzione dei rifiuti.
Un modello – circolare per l’appunto – di produzione e di consumo che implica la condivisione, il riutilizzo e il riciclo dei materiali e dei beni esistenti e che supera il tipico modello lineare, ormai del tutto anacronistico, basato sullo schema ‘estrarre, produrre, utilizzare e gettare’.

In materia di ‘economia circolare’, la Commissione Europea ha tra l’altro approvato una serie di misure che puntano alla massimizzazione del riciclo degli imballaggi, qualsiasi sia il materiale di origine.
Nello specifico, per gli imballaggi in alluminio, l’obiettivo è il riciclo del 50% entro il 2025 e del 60% entro il 2030. Traguardi sfidanti in una prospettiva sovrannazionale, ma in Italia, fortunatamente, già raggiunti e superati. Da molti anni, ormai, l’industria italiana del riciclo dell’alluminio si muove a ritmi da record. Il nostro Paese è infatti terzo al Mondo, assieme alla Germania e dopo Stati Uniti e Giappone, per quantità di materiale riciclato: oltre il 70% dell’immesso sul mercato.
E questo grazie anche al quotidiano impegno di CIAL, il Consorzio Nazionale Imballaggi Alluminio, che dal 1997 agisce con il duplice obiettivo di avviare al recupero e al consequenziale riutilizzo gli imballaggi di alluminio giunti al termine del loro ciclo vitale e di promuovere iniziative tese a sensibilizzare la cittadinanza sull’importanza del riciclo dell’alluminio. In quest’ottica CIAL si fa portavoce di un concetto evoluto di sostenibilità, stimolando la cooperazione dei vari attori coinvolti nella filiera degli imballaggi in alluminio.
È una questione di responsabilità circolare che invita tutti (produttori, Pubblica Amministrazione financo i singoli cittadini) a cooperare in modo fattivo per il raggiungimento degli obiettivi generali di raccolta e di riciclo.

Alluminio 100% responsabile
Leggero, per niente inquinante, riutilizzabile al 100% e per infinite volte. Robusto ma duttile, resistente ma malleabile, bello a vedersi e durevole nel tempo… l’alluminio è utilizzato oggi in svariati ambiti per la produzione di milioni di prodotti e di svariate tipologie di packaging/imballaggi. Queste sue caratteristiche intrinseche lo rendono ‘responsabile per natura’, un alleato fondamentale per modelli sostenibili di produzione e di consumo improntati su un utilizzo efficiente delle risorse naturali. Proprio così, l’alluminio è a tutti gli effetti un materiale ‘permanente’. Basti pensare che oltre il 75% di quanto ne è stato da sempre prodotto è tutt’ora in circolazione. E questo grazie alla sua capacità di non disperdere mai, anno dopo anno, riciclo dopo riciclo, nessuna delle sue proprietà originali. I vantaggi a livello socio-economico sono lampanti.

Meno estrazioni = meno CO2
I processi di estrazione e utilizzo delle materie prime (qualsiasi esse siano) hanno inevitabilmente un grande impatto sull’ambiente e aumentano il consumo di energia e le emissioni di anidride carbonica (CO2). Ebbene, dati alla mano, negli ultimi 20 anni, grazie al progressivo incremento delle attività di riciclo e di riutilizzo, la mancata estrazione di nuovo alluminio ha comportato un risparmio di oltre 6.600.000 tonnellate di CO2. Facile da raccogliere e facile da recuperare, l’alluminio riduce la formazione di rifiuti a monte, in piena sintonia con le direttive comunitarie recepite a luglio e incluse nel Testo Unico Ambientale.

Un effetto barriera contro gli sprechi alimentari
Formati diversi, pesi e dimensioni differenti, tantissimi possibili utilizzi. Lattine, scatolette, vaschette. Bombolette, tappi e tubetti, pirottini per pasticceria. O anche semplici rotoli di fogli sottilissimi… sono incontabili gli imballaggi in alluminio che tutti noi utilizziamo ogni giorno per contenere, proteggere e conservare prodotti alimentari e di altra natura.
L’alluminio è infatti il materiale che più di qualunque altro offre un’eccellente barriera alla luce, ai batteri, all’aria, all’ossigeno e al vapore. Quando è utilizzato come packaging di cibo e bevande, si rivela dunque molto utile per la conservazione del prodotto contenuto, minimizzando di conseguenza la produzione di rifiuto organico e contribuendo in maniera importante alla riduzione dello spreco alimentare.
E inoltre, in caso di delivery e di takeaway (modalità di acquisto/consumo degli alimenti oggi sempre più diffusa, anche in seguito all’emergenza sanitaria in corso), le ‘classiche’ vaschette in alluminio garantiscono a lungo il mantenimento della temperatura ideale del cibo contenuto. Un ulteriore vantaggio da non sottovalutare.

Innovazione tecnologica: prodotti sempre più leggeri per garantire il risparmio della materia prima utilizzata
Fra i traguardi prioritari di CIAL vi è quello di incoraggiare le imprese consorziate ad adottare pratiche sostenibili, a tutto vantaggio dell’ecosistema che ci circonda. Sintomatici, in tal senso, i dati riportati dal recente studio ‘Imballaggi in alluminio.
Trend evolutivo degli ultimi 20 anni’ (Packaging Meeting srl – ottobre 2020) che evidenziano la progressiva evoluzione in chiave ambientale delle imprese consorziate e il loro costante impegno finalizzato, ad esempio, a ridurre lo spessore e di conseguenza il peso – misurabile in grammi, trattandosi di un materiale per natura molto leggero – del packaging in alluminio prodotto.
– Lattine per bevande (33 cl) – Il peso di una lattina è passato dai 14 g del 2000 agli 12,2 g attuali, con un calo del 12%. Ciò ha permesso un risparmio di materia prima utilizzata pari a circa 51,2 t/000.
– Fogli sottili (incarti per cioccolatini/biscotti/formaggi, fogli da incarto domestico e commerciale) – Dal 2000 ad oggi, grazie alla riduzione dello spessore vi è stata una riduzione di peso del 27,5% che ha garantito un risparmio complessivo di circa 2,5 t/000 di alluminio.
– Tappi-Chiusure – Anche le chiusure hanno subito nel tempo una riduzione di peso, pari a circa il 2,5% (variazione media fra le diverse tipologie). Tale diminuzione media ha garantito negli ultimi 20 anni un risparmio complessivo di circa 7,8 t/000.
– Bombolette – Nel 2000 il peso medio delle bombolette in alluminio era di 30 g. In questi ultimi 20 anni la riduzione si è aggirata intorno al 13,2% arrivando nel 2020 a un peso medio di 26,2 g. Il risparmio totale di alluminio in 20 anni è pari a circa 9 t/000.
– Scatolette – Nel 2000 il loro peso medio era di 18 g. La riduzione graduale nel tempo (pari a circa il 6,4%) ha permesso di arrivare nel 2020 a un peso medio di 16,9 g. Il risparmio totale in 20 anni è pari a circa 27 t/000 di alluminio.
– Vaschette di vari formati per uso alimentare – Negli ultimi 20 anni, si è passati da uno spessore medio di 0,08 mm a 0,07 mm e con una riduzione di peso del 15% circa. Ciò ha permesso un risparmio complessivo di circa 9 t/000 di alluminio.

Sommando i risultati ottenuti per le varie tipologie di imballaggi in alluminio analizzate, si arriva a un risparmio totale nel corso degli ultimi 20 anni di circa 107 t/000, con una media annua pari a 5,35 t/000 risparmiate. Ciò ha consentito di ridurre tanti costi di produzione e ha contribuito a un notevole risparmio energetico.

CIAL – Consorzio Nazionale Imballaggi Alluminio nasce nel 1997 con il compito di avviare a riciclo e recupero gli imballaggi di alluminio, alla fine del loro ciclo di vita, provenienti dalla raccolta differenziata fatta dai Comuni, contribuendo così al recupero di una preziosa materia prima, evitando sprechi e salvaguardando l’ambiente.
Lattine per bevande, scatolette, vaschette, bombolette e foglio sottile in alluminio diventano, quindi, risorse fondamentali e imprescindibili per una crescita economica sostenibile e pulita, proprio come l’industria italiana del riciclo, tra le prime al Mondo per le importanti performance ambientali che riesce a esprimere.
È per il rispetto dell’ambiente, per l’eliminazione delle discariche e per la valorizzazione economica di risorse riutilizzabili che CIAL opera da oltre 20 anni nel nostro Paese – per nome e per conto delle imprese consorziate (produttori e utilizzatori di imballaggi in alluminio e riciclatori e recuperatori) – promuovendo la raccolta e il recupero e sensibilizzando milioni di cittadini con la collaborazione delle pubbliche amministrazioni.

www.cial.it

The 2050 road to climate-neutrality: are national long-term renovation strategies fit for 2050? This analysis, representing over 50% of the EU population (covering seven EU Member States and one region, Flanders, Belgium), reveals that Member States’ long-term renovation strategies (LTRS) are largely not compliant with the Energy Performance of Buildings Directive (EPBD) objectives towards achieving a highly energy efficiency and decarbonised building stock by mid-century.
Beyond this, the objectives of the LTRS are now misaligned with the EU’s strengthened 2030 Climate Target and 2050 climate-neutrality objective.

Half of the analysed strategies include an objective at or above 90% GHG emissions reduction, which is in line with the legal requirement of the EPBD. However, none of the eight strategies targets 100% decarbonisation of the building stock.
This means that the substantial increase in renovation activity that is required – a deep renovation rate of 3% annually by 2030, is unlikely to be achieved.

The analysis ultimately reveals that even full compliance with the EPBD, as it currently stands, is not enough to achieve 2050 climate-neutrality. Member States should now be seeking to achieve 100% decarbonisation of their building stock and developing long-term renovation strategies to deliver the climate-neutrality objective. The revision process of the EPBD, within the context of the Fit for 55 package in 2021, offers the opportunity to ensure a much stronger place for buildings in Member States’ decarbonisation plans, who should implement the efficiency first principle.

A full revision of the EPBD is therefore strongly suggested in order to ensure that Europe achieve its strengthened 2030 climate target and its aim of climate-neutrality by 2050.

BPIE is a non-profit policy research institute, located in Brussels, with additional offices in Berlin, Bucharest and Warsaw, dedicated to improving the energy performance of buildings across Europe.
We focus on knowledge creation and dissemination for evidence-based policy making and implementation at national level.

– BYinnovation is Media Partner of BPIE

www.bpie.eu

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Sostenibilità ancora lontana. Nel contesto storico che stiamo vivendo le parole “sostenibilità” e/o “sviluppo sostenibile” hanno acquisito una maggiore rilevanza, non solo in Italia ma in tutto il mondo. Tuttavia, ci sono ancora molti obiettivi da raggiungere. L’Italia ad esempio risulta peggiorata in 9 dei 17 obiettivi dell’Agenda 2030 per lo Sviluppo Sostenibile dell’ONU.
TÜV Italia supporta le imprese verso una transizione che porti ad un approccio più sostenibile grazie a servizi di assistenza, formazione e testing in diversi ambiti, da quello economico/finanziario a quello ambientale e sociale.

La pandemia ha reso evidenti molte lacune nella gestione dei piani di sviluppo economico e sociale: questo, aggiunto a una nuova consapevolezza dell’opinione pubblica, porta Governi, istituzioni e imprese a sentire sempre più urgente il cambiamento.
La situazione italiana è una delle più delicate.

Secondo il Rapporto 2020 dell’Alleanza italiana per lo Sviluppo Sostenibile che analizza lo stato di avanzamento del nostro Paese rispetto all’attuazione dei 17 Obiettivi dell’Agenda 2030 e illustra un quadro organico di proposte, l’Italia ha registrato un peggioramento in 9 dei 17 obiettivi di sviluppo sostenibile.
L’Italia appare lontana dai valori di riferimento in diversi fattori, dalla riduzione delle vittime di incidenti stradali al numero di giovani che non studiano e non lavorano (NEET), dalla definizione da parte delle città di piani per la gestione dei disastri naturali alla difesa della biodiversità. Per questo è impellente la necessità di un cammino verso una transizione ecologica “giusta”, per rilanciare il Paese in un’ottica di sostenibilità economica, sociale e ambientale.

“Gli sforzi per la sostenibilità sono richiesti a tutti i livelli, non solo quelli istituzionali, Anche le aziende possono e devono fare la loro parte visto che tali sforzi creano un valore condiviso per tutte le parti interessate, affrontando le questioni economiche, sociali e ambientali che si intersecano con il loro business”, dichiara Sabrina Bruschi, Business Unit Manager per i servizi customizzati. “Riconoscere il crescente interesse dei consumatori per l’approvvigionamento e i prodotti sostenibili permette anche alle aziende di ottenere una maggiore quota di mercato e sostenere l’impegno dei consumatori. Come TÜV Italia siamo al fianco delle imprese grazie a servizi di assistenza, formazione e testing in diversi ambiti dello sviluppo sostenibile, da quello economico/finanziario a quello ambientale e sociale. I nostri servizi possono supportare le aziende sia per approcci sistemici verso l’intera organizzazione che per approcci relativi all’infrastruttura e il prodotto”.

Economia circolare
L’impoverimento del pianeta, in termini ambientali e di risorse, deriva da un modello economico di tipo “lineare”: si estrae materia prima e si producono beni che, a fine vita o semplicemente quando non risultano più necessari, vengono gettati via. Ciò che occorre è uno spostamento dal modello economico lineare a un nuovo paradigma in cui, attraverso l’integrazione delle tre R (Reduce, Reuse and Recycle) si riduce drasticamente la necessità di estrarre e lavorare nuove risorse e, con esse, gli impatti ambientali correlati. Tale modello si definisce di economia circolare.
Attraverso un team interdisciplinare, TÜV Italia eroga servizi di supporto, formazione e verifica nell’ambito di progetti di economia circolare, tra cui assessment, valutazione del posizionamento aziendale, metriche di misurazione e formazione e coaching.

Finanza sostenibile, Monitoraggio e reporting ESG e di sostenibilità
La finanza gioca un ruolo essenziale a supporto di un’economia, il cui obiettivo è quello di creare sempre maggior valore da un punto di vista ambientale, sociale e di governance (ESG).
”L’attività di rendicontazione di carattere non finanziario, che prevede la redazione di bilanci di sostenibilità comprendenti informazioni relative alle tematiche ESG è diventata essenziale. La sostenibilità infatti è passata dall’essere un “nice to have” ad essere un “must to have” per attrarre investimenti e dimostrare ai propri stakeholder l’impegno nell’ambito della Corporate Social Responsibility (CSR)”, dichiara Sabrina Bruschi, Business Unit Manager per i servizi customizzati.. “TÜV Italia rappresenta un partner competente e affidabile per guidare le organizzazioni in percorsi scelti ad hoc, attraverso tutta una serie di servizi dedicati”,

Servizi di test per il settore ambientale
Per le aziende, e per chi al loro interno è coinvolto nei servizi legati alla salute, alla sicurezza e all’ambiente, è fondamentale individuare e mappare tutte le possibili emissioni chimiche o fisiche dei propri impianti, fissi o temporanei, per attuare politiche di rispetto ambientale.

In questo scenario si inseriscono i servizi di testing erogati dai Laboratori pH che possono eseguire:
– Controlli delle emissioni e dei processi industriali
– Indagini per la caratterizzazione e bonifica di siti inquinati
– Monitoraggi per il controllo dei rischi d’esposizione in ambiente di lavoro
– Monitoraggi per la misura degli impatti sull’ambiente

APRILE DELLA SOSTENIBILITÀ
Nell’ambito di queste attività, al fine di sensibilizzare e informare le imprese sui temi dello sviluppo sostenibile, TÜV Italia ha istituito l’“Aprile della Sostenibilità”, un mese dedicato a un ciclo di webinar gratuiti dedicati a vari aspetti di questa tematica.
8 aprile – Sostenibilità nella governance
15 aprile – Claim etici credibilità e trasparenza con la ISO/TS 17033
22 aprile – Economia circolare: il piano d’azione europeo nell’epoca del green deal
29 aprile – Hygiene audit e test ambientali

Fondato nel 1866 come associazione di controllo delle caldaie a vapore, il Gruppo TÜV SÜD è cresciuto diventando un’impresa globale. Opera con oltre 24.000 dipendenti dislocati in oltre 1.000 sedi in circa 50 paesi allo scopo di migliorare costantemente tecnologia, sistemi e competenze. TÜV SÜD contribuisce attivamente a rendere innovazioni tecniche come Industria 4.0, guida autonoma ed energie rinnovabili sicure e affidabili.

TÜV Italia fa parte del gruppo TÜV SÜD ed è presente in Italia dal 1987. TÜV Italia ha una struttura di oltre 600 dipendenti e 400 collaboratori, con diversi uffici operativi sul territorio nazionale, a cui si affiancano i laboratori TÜV Italia e Bytest a Volpiano (TO) e pH a Barberino Tavarnelle (FI), acquisite rispettivamente nel gennaio 2012 e nel gennaio 2013.
TÜV Italia organizza periodicamente webinar e seminari gratuiti, dove vengono affrontati I temi tecnici più attuali, altre ai numerosi corsi formativi professionali, dedicati ad approfondire e sviluppare competenze in tutti i settori in cui l’ente opera.

www.tuvsud.com/it-it

GSE Rapporto Statistico Rinnovabili. Pubblicato come ogni anno il Rapporto Energia da fonti rinnovabili in Italia nel quale il GSE fornisce il quadro statistico completo sulla diffusione e sugli impieghi delle fonti rinnovabili di energia (FER) in Italia.

Nel 2019 le FER sono state impiegate in maniera diffusa sia nel settore Elettrico (hanno coperto quasi il 40% della produzione lorda di energia), sia in quello Termico (20% circa), sia infine nel settore Trasporti (la relativa quota FER, monitorata ai fini del target settoriale al 2020, è pari al 9%).

La quota dei consumi energetici complessivi coperta da FER si attesta al 18,2%, al di sopra – per il sesto anno consecutivo – del target da raggiugere al 2020 fissato per l’Italia dalla Direttiva 2009/28/CE (17%).

Quest’anno il rapporto contiene anche prime stime indicative sul 2020. In particolare, si stima che i consumi finali lordi (CFL) da FER, nel 2020, si siano attestati intorno a 21,5 Mtep (-0,3 Mtep rispetto al 2019), mentre i CFL complessivi intorno a 108 Mtep (-13 Mtep circa rispetto al 2019).

Sulla base di tali stime preliminari, la quota FER sui CFL complessivi, calcolata applicando i criteri della Direttiva 28/2009/CE, si attesterebbe intorno al 20%. L’emergenza Covid-19, riducendo i consumi finali lordi complessivi in misura più che proporzionale rispetto ai consumi finali lordi da FER, ha dunque, verosimilmente, amplificato il margine di superamento del target europeo. Anche la stima della quota FER nel settore Trasporti aumenterebbe significativamente rispetto al dato 2019, fino a raggiungere il target del 10% fissato dalla Direttiva 28 per lo stesso 2020.

www.gse.it

Rapporto

Banks still involved in fossil fuels. New Report: World’s 60 Largest Banks Have Poured $3.8 Trillion Into Fossil Fuels Since Paris Agreement; Climate Groups Sound Alarm as Financing for Fossil Fuel Expansion Continues to Rise.
Even amidst the global economic downturn, fossil fuel financing numbers were higher in 2020 than 2016

The 12th edition of the most comprehensive report on fossil fuel bank financing documents an alarming disconnect between the global scientific consensus on climate change and the continued practices of the world’s largest banks.
This year’s report, titled Banking on Climate Chaos 2021″, expands its focus from 35 to 60 of the world’s largest banks and reveals that in the 5 years since the Paris Agreement was adopted, these banks have pumped over $3.8 trillion into the fossil fuel industry.

The report also concludes that fossil fuel financing was higher in 2020 than in 2016, a trend that stands in direct opposition to the Agreement’s stated goal of rapidly reducing carbon emissions with the aim to limit global temperature rise to 1.5° Celsius.

The report demonstrates that, even amidst a pandemic-induced recession that resulted in an across-the-board reduction of fossil fuel financing of roughly 9%, the world’s 60 largest banks still increased their financing in 2020 to the 100 companies most responsible for fossil fuel expansion by over 10%.
These banks have poured nearly $1.5 trillion over the past 5 years into 100 top companies expanding fossil fuels.
This includes companies behind highly controversial projects like the Line 3 tar sands oil pipeline and the expansion of fracking on the land of Indigenous Mapuche communities in Argentina’s Patagonia region, which are just two of the nearly 20 case studies featured in the report.

“Banking on Climate Chaos” was authored by Rainforest Action Network, BankTrack, Indigenous Environmental Network, Oil Change International, Reclaim Finance and Sierra Club, and is endorsed by over 300 organizations from 50 countries around the world.

U.S.-based banks continue to be the largest global drivers of emissions in 2020, with JPMorgan Chase remaining the world’s worst fossil bank. Chase recently committed to align its financing with the Paris Agreement and yet continues essentially unrestrained financing of fossil fuels. From 2016 through 2020, Chase’s lending and underwriting activities have provided nearly $317 billion to fossil fuels, fully 33% more than Citi, the next worst fossil bank over this period.

Wells Fargo’s total fossil financing plunged by a surprising 42% in 2020. As a result, Wells dropped from fourth-worst fossil bank in 2019, to ninth worst in 2020. This is the only time over the past five years that Wells has not been one of the worst four fossil banks.
Another surprising result from the 2020 data is that BNP Paribas (whose U.S. subsidiary is Bank of the West, which strongly advertises its supposed responsibility on climate) came in as the fourth-worst fossil bank in 2020. BNP Paribas provided $41 billion in fossil financing in 2020, a huge 41% increase over its 2019 activity. This means the biggest absolute increase in fossil financing last year came from BNP Paribas, despite the bank’s strong policy commitments restricting financing for unconventional oil and gas.

The report also examines existing climate policy commitments by banks and finds them grossly insufficient and out of alignment with the goals of the Paris Agreement across the board. Recent high profile bank policies focus either on the distant and ill-defined goal of achieving ‘net zero by 2050’ or on restricting financing for unconventional fossil fuels. In general, existing bank policies are strongest with regards to restrictions for direct project-related financing. And yet, project-related financing made up only 5% of the total fossil fuel financing analyzed in this report.

The authoring organizations behind this report are united in their demand that respect for Indigenous rights, including the right to Free, Prior, and Informed Consent, and human rights more broadly must be a non-negotiable requirement for all bank financing decisions.

This report names the largest funders of fossil fuels around the world, with JPMorgan Chase the worst overall, RBC the worst in Canada, Barclays the worst in the UK, BNP Paribas worst in the EU, MUFG worst in Japan and Bank of China worst in China.

Rainforest Action Network Ginger Cassady, Executive Director: “The unprecedented COVID-19 dip in global financing for fossil fuels offers the world’s largest banks a stark choice point going forward; they can decide to lock in the downward trajectory of support for the primary industry driving the climate crisis or they can recklessly snap back to business as usual as the economy recovers. U.S.-based banks continue to be the worst financiers of fossil fuels by a wide margin. Going into the Glasgow climate summit at the end of the year, the stakes could not be higher. Wall Street must act now to stop financing fossil expansion and commit to fossil zero, so as to truly align its financing practices with keeping our planet from heating up more than 1.5 degrees.”

Indigenous Environmental Network Tom Goldtooth, Executive Director: “We must understand that by bankrolling the expansion of oil and gas the top banks of the world have blood on their hands and no amount of greenwashing, carbon markets, unproven techno-fixes, or net-zero commitments can absolve their crimes against humanity and Mother Earth. Indigenous lands globally are being plundered, our inherent rights are being violated and the value of our lives has been diminished to nothing in the face of fossil fuel expansion. For the sacredness and the territorial integrity of Mother Earth, these banks must be held accountable for covering the cost of her destruction.

Reclaim Finance – Lucie Pinson, Founder and Executive Director: “These numbers expose the hollowness of banks’ ever-multiplying commitments to be net-zero or align with the Paris Agreement climate targets. A perfect example can be found in France. Finance Minister Bruno Le Maire is fond of calling Paris the capital of green finance – but this data exposes it as 2020’s capital of climate hypocrisy, with four unscrupulous banks making France the largest backer of oil, gas and coal in Europe. BNP Paribas merits singling out as the world’s fourth-largest fossil financier in 2020, having funnelled multi-billion dollar loans to oil giants like BP and Total. Nonetheless, it’s clear that all banks need to replace empty promises with meaningful policies enacting zero tolerance for fossil fuel developers.”

Sierra Club Ben Cushing, Financial Advocacy Campaign Manager: “Many of the world’s largest banks, including all six major U.S. banks, have made splashy commitments in recent months to zero-out the climate impact of their financing over the next 30 years. But what matters most is what they’re doing now, and the numbers don’t lie. This report separates words from actions, and the picture it paints is alarming: major banks around the world, led by U.S. banks in particular, are fueling climate chaos by dumping trillions of dollars into the fossil fuels that are causing the crisis. Big banks don’t deserve a pat on the back if their 2050 pledges are not paired with meaningful 2021 actions to cut fossil financing.”

BankTrack Johan Frijns, Director: “As the date of the crucial Glasgow Climate Summit approaches – and god forbid the global corona crisis prevents the world from meeting to address that other, much bigger existential crisis – we witness one bank after another making solemn promises to become ‘net zero by 2050’. There exists no pathway towards this laudable goal of a generation away that does not require dealing with bank finance for the fossil fuel industry right here and now, yet too many current promises lack precisely that; a firm commitment to start severing ties with all coal, oil and gas companies that plan on continuing their climate wrecking activities in the years to come.”

Oil Change International Lorne Stockman, Senior Research Analyst: “This report serves as a reality check for banks that think that vague ‘net-zero’ goals are enough to stop the climate crisis. Our future goes where the money flows, and in 2020 these banks have ploughed billions into locking us into further climate chaos. Banks need to be focused on reducing fossil fuel production now, rather than on a far off and insufficient goal in the distant future. The time for half-measures is over.”

Methodology note:
This report aggregates bank lending and underwriting of debt and equity issuances according to Bloomberg’s league credit methodology (which divides credit among banks leading a transaction) to companies with any reported fossil fuel activity according to Bloomberg Finance L.P. and the Global Coal Exit List. The league credit assigned to a bank for a given transaction is adjusted by an approximation of the fossil fuel intensity of the particular borrower or issuer. Draft report findings are shared with banks in advance, and they are given an opportunity to comment on financing and policy assessments.

www.ran.org

report

Il cibo che mangi, l’acqua che non vedi. In occasione della Giornata Mondiale dell’Acqua il Politecnico di Torino ha presentato i risultati e gli strumenti di comunicazione sviluppati nel progetto ERC sullo studio dell’acqua virtuale.

Preservare le risorse idriche dipende dalle nostre scelte quotidiane, l’unico modo per fare la differenza è prendere decisioni informate e consapevoli.
In occasione della Giornata Mondiale dell’Acqua 2021, le ricercatrici ed i ricercatori del progetto europeo CWASI (Coping with WAter Scarcity In a globalized world) hanno affrontato il problema della globalizzazione delle risorse idriche, consumate e utilizzate per la produzione di alimenti, indagandone gli impatti sulla sicurezza alimentare e sulle risorse ambientali.
Hanno organizzato un evento online per raccontare il nesso tra acqua e cibo e presentare gli strumenti sviluppati nel contesto del piano di comunicazione WaterToFood.

Il progetto CWASI finanziato dall’ European Research Council (ERC) – durato 5 anni e da poco concluso – è stato coordinato da Francesco Laio, professore di Idrologia del Politecnico di Torino e Direttore del Dipartimento di Ingegneria dell’Ambiente, del Territorio e delle Infrastrutture (DIATI).

“Abbiamo scelto di presentare oggi i risultati del progetto CWASI perché il tema della Giornata Mondiale dell’Acqua di quest’anno è “Valuing Water” e il progetto va proprio nella direzione di dare un valore anche all’acqua “invisibile” contenuta nei beni di consumo, in particolare nei prodotti agroalimentari” spiega il professor Francesco Laio.

Il concetto di acqua virtuale, o impronta idrica, indica il totale del fabbisogno di acqua necessario alla produzione degli alimenti.

“Per dare un ordine di grandezza indicativo, si stima che il volume totale di acqua virtuale scambiato globalmente nel corso di un anno sia dell’ordine di 1750 Km3 (secondo una stima fatta per l’anno 2016), che corrisponde a circa 35 volte il volume del lago di Garda” prosegue Laio.

Il team multidisciplinare che ha lavorato alla ricerca ha coinvolto ricercatori e ricercatrici di discipline quali l’idrologia, l’economia, la teoria della complessità, le scienze nutrizionali, la geopolitica e l’agronomia – solo per menzionare le principali – e ha lasciato in eredità una notevole mole di dati e informazioni che ora si vuole rendere disponibili alla comunità, nella convinzione che l’intera società debba essere coinvolta per generare un reale cambiamento nel sistema alimentare globale in termini di protezione e gestione della risorsa idrica.

“Nell’ultimo anno abbiamo lavorato intensamente alla realizzazione di un progetto di comunicazione, chiamato Water to Food, con l’intento di elaborare nuovi strumenti che possano essere di facile utilizzo per il grande pubblico. Abbiamo realizzato interfacce web interattive, dove è possibile esplorare l’impronta idrica e i flussi di acqua virtuale di centinaia di prodotti agricoli a scala globale, dagli anni Sessanta ad oggi. Infine abbiamo tradotto la ricerca degli ultimi 5 anni in un manuale divulgativo, prodotto con l’aiuto di esperti del settore alcuni contributi video e intrapreso attività di educazione e divulgazione nelle scuole” racconta Marta Tuninetti, ricercatrice presso il DIATI.

ph. © Enrico Rainero

www.watertofood.org

www.polito.it