Author: enrico

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Floatech eolico offshore europeo. Sviluppato un codice di simulazione open source e un nuovo modello di stima del costo unitario di produzione dell’energia.

Si è concluso all’Università di Berlino, con un workshop finale riservato ai partner e agli addetti ai lavori, il progetto europeo Floatech, dedicato allo sviluppo della tecnologia eolica offshore galleggiante.
Nella due giorni sono stati presentati i principali risultati ottenuti nel progetto che, con la sua estensione Floatfarm, rappresenta il futuro dell’eolico offshore.

Il primo giorno è stato riservato ai soli partner di progetto, che hanno presentato e discusso, con taglio tecnico spinto, i risultati ottenuti. Il secondo giorno è stato, invece, dedicato alla stampa e ad un pubblico ampio di addetti ai lavori, a cui l’Università di Berlino, quella di Delft e Seapower hanno illustrato i principali risultati del progetto con un approccio più divulgativo.

La compagine coinvolta nel progetto comprende 9 partners provenienti da 4 paesi europei (Francia, Olanda, Germania e Italia). Nel corso del progetto, finanziato dal programma di ricerca e innovazione Horizon 2020 e coordinato dall’università di Berlino (TU Berlin), sono stati affrontati diversi temi connessi all’eolico offshore galleggiante.
Uno degli obiettivi fondamentali del progetto è stato lo sviluppo e la validazione di un codice di simulazione open source, QBLADE-OCEAN, per l’analisi del comportamento delle turbine galleggianti, che implementa soluzioni di modellazione avanzata e consente di considerare, in maniera integrata, la risposta dei diversi sottosistemi (aerogeneratore, controllo, piattaforma, ormeggi, strutture) che compongono un sistema complesso come una turbina eolica galleggiante.

Sono stati, inoltre, sviluppati due diversi sistemi di controllo innovativo, il primo orientato a ridurre le oscillazioni della piattaforma e le fluttuazioni di potenza di una turbina galleggiante, il secondo inteso a ridurre gli effetti della scia in una fattoria di turbine galleggianti, mirando ad un incremento della produzione energetica complessiva.
Nell’ambito di Floatech, Seapower, oltre ad aver collaborato a diversi tasks dedicati a tali obiettivi, è stata impegnata come work package leader in una delle attività conclusive del progetto, connessa con la valutazione tecno-economica delle tecnologie di controllo sviluppate, costruendo un modello di stima del Levelized Cost Of Energy (LCOE), un parametro che rappresenta il costo unitario di produzione dell’energia per MWh generato.

Oltre ai ricercatori dei team direttamente coinvolti nel progetto, che hanno presentato i principali risultati raggiunti, all’evento finale sono intervenuti diversi attori del settore delle energie rinnovabili, tra cui Enrico Degiorgis (Policy Officer del RTD DG dell’Unione Europea) e Lizet Ramirez (Wind Offshore Senior Analyst presso WindEurope), che ha condotto una panel session sul futuro del settore offshore galleggiante, cui hanno partecipato esponenti del mondo accademico e dell’industria del settore.

SEAPOWER scrl, società consortile a responsabilità limitata, è un centro di ricerca pubblico-privato, che da circa 30 anni opera nel settore della ricerca applicata alle fonti di energia rinnovabile. Nato come gruppo di ricerca all’interno dell’Università degli Studi Federico II di Napoli, successivamente la realtà si trasforma in una vera e propria azienda e oggi è un centro di ricerca di cui lo stesso ateneo è socio. Le competenze del gruppo di progettazione spaziano dall’ingegneria aerospaziale alla meccanica, navale, ambientale ed elettrica; inoltre, il centro si avvale dei laboratori dell’Università Federico II, quali la galleria del vento e la vasca navale per i test dei prototipi.
Per quanto riguarda il mondo dell’offshore, SEAPOWER sta dedicando particolare interesse allo sviluppo tecnologico di impianti eolici galleggianti, anche partecipando a progetti europei.

www.seapowerscrl.com

ESG investors committed to transition, according to a survey by Deutsche Bank’s Private Bank Chief Investment Office (CIO).
Investors, especially in Europe, remain committed to achieving environmental, social and governance (ESG) goals and are concerned about the economic transition.

The annual survey of private clients and institutional investors showed that climate change remains the biggest environmental issue for investment decisions, even though the number citing it (44 percent) has fallen since last year’s survey.

“Investors are focused on the economic transition to a low carbon economy,” Markus Müller, Deutsche Bank’s Private Bank CIO ESG and Global Head of the CIO said. “Despite the backlash against ESG in some public debates, our survey shows a strong commitment to the issue, especially among European investors. Companies that can deliver on their transition plan and show their credentials will benefit from investor support.”

The survey also showed that investors favour regulation to protect the environment
But when it comes to company transition plans, they prefer to see market-driven solutions like better production processes, technology improvements and consumer education, versus policy-led initiatives.
The findings also reveal that while investors understand climate risk and are concerned about the need for economic transition, still only a small proportion of investors consider themselves well-versed in ESG.
Even with the significant rise in ESG investing in the past three years, especially during Covid-19, still only 15 percent of investors said they had a good knowledge of ESG, while just 3 percent identified themselves as ESG experts.

“There is a gap between what investors know needs to be done for the economy to transition, and how ESG investing can help with the transition. Clearly, much more investor education is needed,” Müller added.

Investment opportunity vs risk management
The energy transition is the most preferred (18 percent) investment opportunity, compared to investing in Artificial Intelligence, manufacturing and the circular economy.
While investors expect environmental change to impact individual asset classes and see nature as a key factor in individual investment decisions, faith appears to be waning in the ability of ESG to manage portfolio risk. Lower than last year’s survey, 37 percent of respondents strongly or slightly agree that ESG factors can help manage portfolio risk.

Higher expectations from women
The survey also found a difference in attitudes between men and women. More women (27 percent) would avoid an investment if sustainability related factors do not meet their expectations compared to men (19 percent), and more women (54 percent) wanted more information on company transition plans, compared to men (40 percent). Seventy percent of women believed stronger international regulation is required to protect the ocean and biodiversity, compared to 58 percent of men.

Spotlight on Germany, Spain and Italy
The CIO received 1759 survey responses between June and the end of July this year, with the majority of responses (around 55 percent) from Germany, followed by Spain (18 percent) and Italy (16 percent).
Between these three European nations, there was a difference in the degree of investor belief and strong conviction in ESG.
More investors in Italy agreed that ESG factors will improve performance and manage risk, when compared to responses from German and Spanish investors.
On the other hand, German investors were less likely to strongly agree to the survey’s ESG propositions and more likely to strongly disagree. They were also more skeptical about ESG’s impact on portfolio performance and risk, or the availability of ESG product solutions.
However, the bulk of investors across Italy (78 percent), Spain (74 percent) and Germany (73 percent) strongly or even slightly agreed that investors need more information on how companies plan to transition to a sustainable business model.

www.db.com

report

Coordinamento FREE Comunità Energetiche: Soddisfazione per il via libera di Bruxelles, ma ora attendiamo il Decreto del Governo in tempi rapidi.

«Siamo molto soddisfatti del via libera della Commissione Europea al Decreto italiano sulle Comunità Energetiche Rinnovabili (CER). Ora che si sono superati questi ostacoli ci aspettiamo una rapida pubblicazione del decreto affinché le CER possano essere rapidamente operative e far imboccare al nostro Paese, anche grazie al grande interesse fino ad ora dimostrato da tutti, la direzione di una decarbonizzazione che possa generare benefici diffusi, soprattutto per cittadini e imprese. – dichiara il Presidente del Coordinamento FREE, Attilio Piattelli, commentando le notizie sulle CER provenienti dal MASE e dalla Commissione Europea – Notiamo con piacere che non ci sono differenze sostanziali rispetto alle bozze circolate in questi mesi, se non il limite che impone un tetto ai benefici per le imprese in caso di superamento di determinate soglie di condivisione dell’energia. In tal caso la destinazione dei benefici economici conseguenti potrà essere solo a favore di membri o soci delle CER, diversi dalle imprese, e/o per finalità sociali aventi ricadute sui territori ove sono ubicati gli impianti. Tutto il resto del provvedimento sembra rimanere invariato, ma è necessario emanare rapidamente, oltre al Decreto, anche il bando da 2,2 miliardi di euro a favore dei piccoli comuni previsto dal PNRR».

« Un suggerimento che ci sentiamo di offrire è quello di monitorare lo sviluppo delle CER nelle aree metropolitane. Infatti, per quel che riguarda il criterio geografico limitato all’appartenenza della stessa cabina primaria di consumatori facenti parte della CER e degli impianti di produzione, si segnala che, pur riconoscendone una logica di ottimizzazione del carico sulle reti, l’applicazione nelle grandi città potrebbe trovare qualche difficoltà per le poche superfici a disposizione per la realizzazione degli impianti di produzione. – prosegue Piattelli – In tal caso, in futuro potrebbe valere la pena, solo per le aree metropolitane e dopo un primo periodo di attuazione del decreto, ipotizzare di estendere il perimetro delle cabine primarie anche ad aree limitrofe alle città per inglobare, zone industriali e artigianali con maggiori superfici a disposizione. Le aree metropolitane hanno bisogno delle CER perché queste faciliterebbero certamente l’elettrificazione dei consumi domestici e della mobilità ma anche perché potrebbero svolgere un ruolo rilevante a favore delle fasce più vulnerabili della popolazione, che spesso si trovano nelle periferie dei grandi centri abitati. Come sempre il Coordinamento FREE è a disposizione delle istituzioni per fornire il proprio contributo».

Il Coordinamento FREE (Coordinamento Fonti Rinnovabili ed Efficienza Energetica) è un’Associazione che raccoglie attualmente, in qualità di Soci, 24 Associazioni in toto o in parte attive in tali settori, oltre ad un ampio ventaglio di Enti e Associazioni che hanno chiesto di aderire come Aderenti (senza ruoli decisionali) ed è pertanto la più grande Associazione del settore presente in Italia.
Il Coordinamento FREE ha lo scopo di promuovere lo sviluppo delle rinnovabili e dell’efficienza energetica nel quadro di un modello sociale ed economico ambientalmente sostenibile, della decarbonizzazione dell’economia e del taglio delle emissioni climalteranti, avviando un’azione più coesa delle Associazioni e degli Enti che ne fanno parte anche nei confronti di tutte le Istituzioni.

www.free-energia.it

Investimenti in rigenerazione urbana sostenibile: grandi opportunità per Milano e Roma. Si è tenuto presso la Deloitte GreenHouse di Milano l’evento “Investimenti per la Rigenerazione Urbana Sostenibile”, dove sono state presentate due ricerche, una sulle opportunità di investimento e una sulla rigenerazione urbana sostenibile.

All’apertura dell’evento erano presenti Franco Amelio, Amministratore Delegato Deloitte Climate & Sustainability, Angela D’Amico, Deloitte Industry Leader (Real Estate) e Josephine Romano, Head of Corporate Compliance, Deloitte Tax & Legal, che hanno introdotto le tematiche.

La prima ricerca sulle opportunità di investimento a Milano e Roma è stata condotta da Paolo Galuzzi, Professore Ordinario della Sapienza Università di Roma e da Piergiorgio Vitillo, Professore Associato del Politecnico di Milano.

A Milano il mercato della rigenerazione urbana può valere fino a 30 miliardi
Gli ambiti di rigenerazione urbana della città di Milano interessano una superficie territoriale di circa 9,5 kmq e una superficie lorda pari a poco più di 5 milioni di metri quadrati, concentrata per poco meno della metà nel comparto residenziale (2,35 milioni di mq), per un terzo nel direzionale (1,5 milioni di mq) e per poco meno del 10 per cento in quello commerciale (460 mila mq).

Rigenerare in chiave sostenibile Milano può valere fino a 30 miliardi e fino a 19,5 miliardi di euro di valore aggiunto, concentrato per quasi il 60% nel comparto residenziale.

Entro il 2050, le stime più accreditate parlano di 920 chilometri quadrati di superficie territoriale da rigenerare a livello nazionale (1,6% della superficie urbanizzata attuale), di cui 193 kmq in Lombardia, per oltre 350 milioni di metri quadrati di superficie lorda edificabile. Con un fatturato industriale di 2.300 miliardi di euro entro appunto il 2050, di cui 700 miliardi come ricaduta diretta sul comparto immobiliare.

Secondo Stefano Pareglio, Presidente di Deloitte Climate & Sustainability, “Le aree urbane sono il fulcro delle società contemporanee, per gli impatti che determinano e per le opportunità che offrono. Circa il 40% delle emissioni totali di CO2, più di un terzo del consumo globale di energia, quasi il 60% della popolazione mondiale sono riferiti alle città. Rigenerare il tessuto urbano non più adeguato a stili di vita contemporanei è indispensabile, e per farlo in modo sostenibile è necessario il concorso di numerosi attori. Per questo abbiamo deciso di occuparcene, consapevoli che la sfida per la sostenibilità urbana è una straordinaria occasione di crescita economica, di innovazione e di progresso sociale”.

Angela D’Amico, Deloitte Real Estate Sector Leader, ha commentato: “È un dato di fatto che gli operatori, nel lungo periodo, si orienteranno sempre più su immobili con elevati standard ESG, che aumentano le opportunità di commercializzazione degli immobili e rientrano a pieno titolo nelle strategie di creazione del valore. Secondo ricerche di mercato, il miglioramento da classe di rating C ad A/AA comporta un repricing real estate dal 7 al 45% in Italia. La necessità di adottare standard ESG con questa finalità è particolarmente sentita per l’asset class degli Hotel, dove i principali brand internazionali hanno già sviluppato una Global ESG Policy che detta gli obiettivi di sostenibilità ambientale, sociale e di governance per tutte le strutture alberghiere del mondo aderenti al medesimo brand”.

Secondo le stime di Coima sgr, per effettuare la transizione energetica dell’intero patrimonio immobiliare esistente, portandolo a zero emissioni entro il 2050, sono necessari oltre 2 mila miliardi di euro per rinnovare circa 5.3 miliardi di metri quadrati di superficie (79% immobiliare residenziale, 2% commerciale, 7% pubblico e 12% appartenente ad altre categorie). Per raggiungere questo obiettivo, è necessario stimolare un incremento del numero di investitori istituzionali nel settore immobiliare, che in Italia rappresenta meno del 10% (contro una media internazionale del 15% circa).

“Dall’Accordo di Parigi, che ha delineato l’Agenda ONU 2030 e i 17 Obiettivi di Sviluppo Sostenibile (SDGs) con i relativi target, l’Unione Europea ha indubbiamente avviato una serie di riforme volte ad introdurre, nelle modalità di trasformazione dell’ambiente costruito, indirizzi e requisiti per favorire una maggiore sostenibilità ambientale, sebbene al momento non sussista ancora un framework regolatorio paneuropeo sulla rigenerazione urbana.” – ha dichiarato Josephine Romano, Head of Corporate Compliance, Deloitte Tax & Legal.

Successivamente, è seguito un dibattito che ha approfondito la visione degli operatori, analizzando le sfide e le opportunità connesse all’evoluzione del patrimonio immobiliare nell’ottica della sostenibilità.
Erano presenti Manfredi Catella, Founder e CEO COIMA SGR, Davide Albertini Petroni, Presidente Assomobiliare e Managing Director di Risanamento S.p.A. Ha moderato il dibattito Serena Uccello del Sole24Ore.

La seconda ricerca, ovvero il report “Rigenerazione urbana e sostenibilità: contesto, sfide e visione di lungo termine” presentato all’evento, ha analizzato la rigenerazione urbana da un punto di vista sostenibile e secondo l’approccio Deloitte. Il report ha inoltre valutato l’impatto sociale che può avere la rigenerazione urbana, oltre alle sfide e opportunità che ci mette davanti.

Infine, si è parlato di come le CER possano essere fattore di sostenibilità e motore per la rigenerazione urbana insieme a Antonio Piciocchi, Partner di Tax & Legal & Board Member di Deloitte Climate & Sustainability, per passare poi alle conclusioni con Stefano Pareglio, Presidente Deloitte Climate & Sustainability e Luca Dal Fabbro, Presidente ESG Institute e Presidente Gruppo IREN.

report

Industria 4.0 in manifatturiere italiane: tendenze e barriere evolutive. La ricerca LIUC Business School per ICIM Group fornisce un’interpretazione della reattività del panorama produttivo nazionale e conferma la necessità di un rafforzamento e di un preciso orientamento delle politiche di supporto agli investimenti e all’innovazione.

Gli incentivi e le manovre di governo hanno rappresentato un’opportunità da non perdere per le imprese italiane, ma quale grado di consapevolezza tecnologica si nasconde dietro gli investimenti 4.0?

Dalla ricerca realizzata da LIUC Business School per ICIM Group – presentata presso l’i-FAB della LIUC-Università Cattaneo di Castellanza (VA) – emerge come la possibilità di ammodernare il proprio parco macchine, sfruttando il finanziamento per la dotazione di prestazioni superiori a quelle degli impianti esistenti, abbia in molti casi oscurato le potenzialità della quarta rivoluzione industriale.
Ne è mancata, talvolta, il vero obiettivo: aumentare il valore generato dai processi di produzione in termini di efficienza, qualità, flessibilità, sostenibilità e sicurezza, grazie all’integrazione dei nove pilastri tecnologici (dall’Internet of Things al Big data analytics; dalla manifattura additiva alla realtà aumentata e simulazione) che consentono di raggiungere l’automazione industriale, l’integrazione delle risorse all’interno della fabbrica e l’attuazione di processi decisionali guidati dai dati.

Insomma, investimenti sì ma ancora con parecchie barriere all’innovazione, a causa della mancanza di un’adeguata comprensione del concetto di Industria 4.0 e/o di scarse competenze all’interno dell’organizzazione.
Sia tra le grandi sia tra le piccole e medie imprese.
Queste le principali evidenze dello studio realizzato dall’ingegner Violetta Giada Cannas, ricercatrice della LIUC Business School, che si è concentrato sull’analisi degli investimenti 4.0 realizzati dalle imprese italiane.
In particolare, sugli investimenti delle imprese italiane che hanno scelto di affidare l’attestazione di conformità Industria 4.0 nell’anno 2020 a ICIM SpA, ente di certificazione di ICIM Group, il polo di competenze a maggioranza ANIMA Confindustria che fornisce servizi di formazione, consulenza, testing e, appunto certificazione.
ICIM SpA è, infatti, l’ente di certificazione di riferimento in ambito Trasformazione Industriale e Industria 4.0 con oltre 3600 attestazioni rilasciate a oltre 1350 aziende, per investimenti pari a circa 2 miliardi di euro.

OBIETTIVO DELLO STUDIO
Capire come le imprese italiane abbiano affrontato, negli anni successivi all’investimento, l’implementazione delle tecnologie 4.0 acquisite, investigando, in particolare, quali siano le principali tendenze e barriere evolutive.
Tale analisi è stata condotta utilizzando la metodologia di ricerca scientifica dei casi studio e svolgendo un’analisi approfondita dei dati raccolti da un numero limitato di imprese, selezionate all’interno del campione, con interviste mirate alle figure che hanno guidato gli investimenti 4.0 e visite in loco presso i reparti produttivi.
I casi sono stati selezionati con l’obiettivo di analizzare investimenti di entità diverse, condotti da imprese di diverse dimensioni, appartenenti a diversi settori industriali.

IL CAMPIONE
Campione oggetto di indagine sono state 123 imprese: le aziende dei casi studio sono prevalentemente concentrate nel segmento manifatturiero (86,18%), commercio all’ingrosso e al dettaglio (7,32%), per il restante in sanità e assistenza sociale, costruzioni; equamente distribuito per dimensione aziendale e per investimento medio (circa 387 mila euro per le PMI, contro 386 mila euro per le grandi imprese).
Gli investimenti sono stati effettuati da imprese localizzate perlopiù nelle regioni del Nord Italia, per il 55% da PMI e per il 45% da grandi aziende.

RISULTATI DELLO STUDIO
Dall’analisi dei casi è emerso che tutte le imprese intervistate si sono dichiarate soddisfatte dei risultati ottenuti dall’investimento 4.0 intrapreso e dai benefici emersi negli anni successivi a tale investimento: maggior produttività, monitoraggio e controllo continuo dell’impianto produttivo grazie all’utilizzo di dati oggettivi raccolti in tempo reale, a vantaggio del processo decisionale; miglioramento delle condizioni di lavoro del personale nei vari reparti; riduzione delle attività alienanti e dei delivery lead time; miglioramento del livello di integrazione con i fornitori e, più in generale, con tutti gli attori della supply chain.
I beni materiali acquisiti sono per il 90% beni strumentali gestiti da sistemi computerizzati e per il 10% sistemi per l’assicurazione della qualità e della sostenibilità.

Tuttavia, è interessante notare che la maggior parte degli intervistati (75%) ha dichiarato che la decisione di investire nell’Industria 4.0 è stata principalmente (o, in alcuni casi, esclusivamente) legata ai vantaggi economici e finanziari. Pochi intervistati (25%) hanno testimoniato che la motivazione di investire nell’Industria 4.0 sia stata principalmente legata a una spiccata cultura digitale dell’impresa e all’ambizione di portare la propria impresa verso la quarta rivoluzione industriale, mantenendo una buona posizione competitiva in un mercato dinamico e in continua evoluzione dal punto di vista tecnologico.

Se da un lato il piano di investimenti ha fortemente contribuito a oliare la trasformazione del tessuto produttivo nazionale, dall’altro le imprese non comprendono ancora realmente cosa significhi generare valore da tali investimenti.

Tra le principali barriere all’innovazione, la non adeguata comprensione del concetto di Industria 4.0 per le scarse competenze all’interno delle organizzazioni (67%), la resistenza al cambiamento (75%), la complessità di inserire i nuovi sistemi all’interno di cicli produttivi preesistenti (83%) e la difficoltà a trovare partner validi per lo sviluppo della progettualità (57%),

Un esempio scaturito dalle analisi è sicuramente lo scarso utilizzo della numerosa quantità di dati generata dai sensori intelligenti contenuti nei nuovi impianti produttivi.
“Tali dati sono oggi da considerarsi un vero e proprio asset strategico – spiega Violetta Giada Cannas – tuttavia, la scarsa conoscenza dei pilastri tecnologici 4.0 e dei processi basati sui dati porta le imprese a non utilizzare tali informazioni o ad utilizzarne solo una parte per analisi di tipo descrittivo, non applicando analitiche prescrittive o predittive che ne potenzino il valore e guidino meglio le decisioni, proteggendo poco l’aspetto di privacy e tutela del dato stesso, con bassi investimenti in cybersecurity. Tra gli ostacoli allo sviluppo ci sono le scarse competenze che impediscono la comprensione del concetto di Industria 4.0 e anche la resistenza al cambiamento”.

“Alla vigilia della revisione degli incentivi per la digitalizzazione ci sembrava importante mettere a disposizione il patrimonio di esperienze raccolto in 5 anni di attività connesse all’attestazione di beni I 4.0 – dice l’ingegner Paolo Gianoglio, Direttore Innovazione, Sviluppo e Relazioni Associative di ICIM Group, Responsabile del Progetto Industria 4.0. – Abbiamo condiviso i nostri dati per indagare con maggiore dettaglio quali tecnologie siano state preferite dalle imprese, per quali utilizzi, con quali obiettivi. Nei prossimi anni la sfida della digitalizzazione si incrocerà con quella della sostenibilità, la cosiddetta Twin Transition che l’Europa ci chiede per rispondere a criteri di competitività che non compromettano l’impegno per combattere il cambiamento climatico. Con la ricerca commissionata a LIUC crediamo di aver offerto un contributo significativo per le decisioni dei prossimi anni”.

È quindi necessario che l’impegno e gli sforzi di tutti gli attori della filiera, a cominciare da Università e Competence Center, siano orientati, anche attraverso politiche incentivanti, a favorire questo passaggio evolutivo che prende le mosse dalla consapevolezza – che deve essere diffusa tra imprenditori e manager – delle potenzialità che “l’economia dei dati” può portare al settore manifatturiero, come già in altri settori (banche, assicurazioni, social media).

www.liuc.it

www.icimgroup.com

paper

8 milioni di famiglie per riqualificare casa. Osservatorio Gabetti Lab e Nomisma: quale il lascito del Superbonus? Che futuro c’è per la necessaria riqualificazione del patrimonio edilizio del nostro Paese?
Quale via italiana per dare corso alle politiche green europee?

Con il coinvolgimento di attori della filiera, amministratori di condominio e operatori della finanza, attraverso la partecipazione a tavoli di lavoro e l’avvio di indagini quantitative, Gabetti Lab e Nomisma, coordinati da Ppan come content & communication partner, hanno formulato una proposta operativa per la ripartenza del settore nel post 110. I tavoli tematici hanno visto la partecipazione di una sessantina di interlocutori privilegiati, chiamati a discutere di soluzioni e indirizzi per il futuro.
Tra le priorità e le richieste, in un virtuoso dialogo tra pubblico e privato:
– La necessità di un piano strategico degli investimenti con modularità temporale a non meno di 3-5 anni
– L’adozione di un meccanismo redistributivo dell’aliquota
– L’introduzione di strumenti di tipo ESCO sul privato ed EPC sul pubblico
– La reintroduzione della cessione del credito
Le survey in particolare hanno consentito di rilevare l’opinione di tre target direttamente coinvolti nel processo di riqualificazione edilizia del patrimonio residenziale: le famiglie, gli amministratori in qualità di «antenne all’interno delle comunità condominiali”, la filiera delle costruzioni costituita da imprese e professionisti

LE FAMIGLIE
Secondo i dati del report redatto a valle di questa attività di studio e ricerca, lo sguardo delle famiglie ha messo in evidenza una consolidata consapevolezza riguardo alla necessità di riqualificare il proprio patrimonio abitativo. Sette famiglie su 10 dichiarano di conoscere la direttiva Case green e la metà percepisce una certa preoccupazione rispetto agli effetti che potrebbe avere sulla comunità, con particolare riguardo ai costi da sostenere per l’adeguamento energetico. Ancora, una su due ritiene che la propria abitazione necessiterebbe di interventi di manutenzione straordinaria, che nella metà dei casi finora non sono stati condotti per i costi. Infine, 7,9 milioni di famiglie esprimono l’intenzionalità di riqualificazione, a fronte di un Superbonus “riconfigurato”, con aliquote commisurate secondo differenti criteri.

GLI AMMINISTRATORI DI CONDOMINIO
In linea con queste aspettative, l’indagine agli amministratori di condominio, rivolta al network Gabetti Lab con una quarantina di interlocutori che complessivamente gestiscono 5000 condomini, riflette da un lato le difficoltà dei proprietari di casa, dall’altro le preoccupazioni del mondo della filiera. Tra le evidenze, si segnala che:
Il 90% degli amministratori intervistati ha fatto esperienza di 110% all’interno dei condomini amministrati.
Il 67% degli amministratori intervistati denuncia casi di cantieri bloccati nei condomini, nella metà dei casi anche per problematiche connesse alla cessione del credito.
Quasi la metà degli amministratori intervistati non esprime fiducia verso la possibilità di risoluzione di queste problematiche.

IMPRESE, STUDI PROFESSIONALI, GENERAL CONTRACTOR E ATTORI DEL MONDO DELLE COSTRUZIONI
Gli intervistati (85) testimoniano invece una strutturazione interna sostanziale, resasi necessaria per far fronte alle complessità procedurali del Superbonus. I risultati dell’indagine mostrano l’adozione di nuovi modelli organizzativi interni, l’acquisizione di nuove competenze professionali e la creazione di nuove partnership/collaborazioni con altre realtà imprenditoriali. A questo si aggiunge il considerevole impatto economico delle nuove progettualità, con una incidenza sul fatturato complessivo che in un terzo dei casi supera la soglia del 50% negli ultimi 3 anni. Non mancano tuttavia le criticità, legate in primis al blocco dei progetti in itinere – una casistica che ha coinvolto la maggioranza assoluta degli addetti ai lavori intervistati.

A fronte di questo quadro di riferimento, si intravedono alcune condizioni imprescindibili per una strategia di riqualificazione del patrimonio edilizio credibile e compatibile con le esigenze di finanza pubblica. Ci vorrà uno sforzo di riqualificazione di 1,8 milioni di immobili in 10 anni, non sarà semplice, visto che con questa ondata senza precedenti di riqualificazione è stato efficientato meno del 4% del parco residenziale italiano.

“Va sottolineato che senza il riconoscimento della casa come leva cruciale di politica ambientale ed ecologica, difficilmente le città italiane potranno raggiungere gli obiettivi di neutralità climatica e di miglioramento energetico imposti dall’Europa”, spiega Alessandro De Biasio, amministratore delegato di Gabetti Lab, prima filiera integrata nell’ambito della sostenibilità in Italia e primo player nella riqualificazione per il benessere abitativo grazie alla gestione di reti di imprese. “Alla luce di questo, abbiamo ritenuto necessario attivare collaborazioni importanti con Centri di ricerca e Università per portare all’attenzione di tutti gli operatori, con la forza dei numeri e della ricerca, il fatto che questo grande lavoro di riqualificazione ha prodotto e potrebbe produrre vantaggi di lungo periodo per famiglie e Paese. È stato reso pubblico qualche giorno fa l’esito dell’indagine commissionata dal Gruppo Gabetti insieme al suo Ufficio Studi e condotta dal Politecnico di Milano e dal Politecnico di Torino, che ha dimostrato come l’efficientamento energetico degli immobili influisca sui prezzi di compravendita e il valore degli immobili”.

Gabetti Property Solutions, attraverso le diverse linee di business delle società controllate, eroga servizi per l’intero sistema immobiliare, offrendo consulenza integrata per soddisfare esigenze e aspettative di privati, aziende e operatori istituzionali.
Proprio dall’integrazione e dalla sinergia di tutti i servizi, emerge il valore aggiunto del gruppo: un modello unico rispetto ai competitor. Il sistema organizzativo di Gabetti Property Solutions consente l’integrazione e il coordinamento delle competenze specifiche di ciascuna società del Gruppo nell’ambito delle seguenti aree: Consulenza, Valorizzazione, Gestione, Intermediazione, Mediazione Creditizia e Assicurativa e Riqualificazione.

www.gabettigroup.com