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CONAI aumenta contributi ambientali imballaggi in alluminio, carta, plastica. Riduzione, invece, per quelli in bioplastica. A seguito di una serie di rialzi dei costi legati alla raccolta dei rifiuti di imballaggio, in un quadro di generale inflazione, e alla contestuale riduzione dei ricavi della vendita di imballaggi post-consumo segnalati dai Consorzi CIAL, COMIECO e COREPLA, ha valutato lo scenario delle relative filiere di riciclo – peggiorato oltre le attese – e ha constatato la riduzione delle riserve patrimoniali dei tre Consorzi. È stato quindi necessario approvare la richiesta di aumento del contributo ambientale (o CAC), presentata dai suddetti consorzi, per gli imballaggi in alluminio, carta e plastica al fine di assicurare il servizio di raccolta differenziata, riciclo e recupero dei rifiuti di imballaggio.

Nell’attuale congiuntura economica gli aumenti sono stati varati tempestivamente al fine di contenerli il più possibile e di distribuirli, a partire dal 1° aprile 2024, nel resto dell’anno.

Contestualmente, grazie al consolidamento della fase di start-up del Consorzio BIOREPACK, d’intesa con quest’ultimo CONAI ha deciso una riduzione del contributo ambientale per gli imballaggi in bioplastica compostabile.

Nel corso del prossimo anno CONAI monitorerà periodicamente l’evoluzione dei principali fattori di difficile previsione ma che possono incidere sugli equilibri economico-finanziari dei Consorzi.

Resta inoltre confermata dal 1° gennaio 2024 la riduzione del CAC per gli imballaggi in legno da 8 euro/tonnellata a 7 euro/tonnellata, già annunciata la scorsa estate.

Gli imballaggi in alluminio
Il contributo per gli imballaggi in alluminio passerà da 7 euro/tonnellata a 12 euro/tonnellata.
Un aumento che è conseguenza di una progressiva riduzione dei valori dei rottami a fronte di un aumento delle quantità di rifiuti gestite da CIAL. Fattori che impattano negativamente sul bilancio del Consorzio, con effetti diretti anche sulle riserve patrimoniali, da riequilibrare per far fronte al possibile protrarsi della situazione di difficoltà del mercato dei rottami.

Gli imballaggi in carta
Il contributo base per gli imballaggi in carta passerà da 35 euro/tonnellata a 65 euro/tonnellata.
Dopo la riduzione a 5 euro/tonnellata, in vigore dal giugno 2022 a ottobre 2023, quando gli straordinari valori dei maceri avevano reso possibile questa revisione al ribasso, oggi i fattori principali dell’aumento sono: riduzione oltre le attese, iniziata nell’autunno 2022, dei valori di mercato dei maceri; aumento delle quantità di rifiuti di imballaggio gestite da COMIECO, nonostante la contrazione dell’immesso al consumo riscontrata nel 2023; necessità di riportare le riserve patrimoniali del Consorzio a un livello idoneo a garantire la continuità negli impegni di raccolta e riciclaggio. Queste riserve, infatti, per effetto della diminuzione del CAC sopra richiamata, fra la seconda metà del 2021 e il 2023 sono state progressivamente ridotte di oltre 150 milioni di euro.
Non cambiano, per il momento, i valori degli extra-CAC da applicare agli imballaggi poliaccoppiati a base carta idonei al contenimento di liquidi (20 euro/tonnellata), a quelli di tipo C (con componente cellulosica superiore o uguale al 60% e inferiore all’80%, pari a 110 euro/tonnellata) e a quelli di tipo D (con componente cellulosica inferiore al 60% o non esplicitata, di 240 euro/tonnellata). Una valutazione a questo proposito è prevista nel corso del 2024, con effetti sul 2025.

I valori del CAC per la carta saranno quindi i seguenti:


Gli imballaggi in plastica
Il contributo medio per gli imballaggi in plastica passerà da 294 euro/tonnellata a 398 euro/tonnellata.
Tra il 2022 e la prima parte del 2023 i valori medi del contributo ambientale per gli imballaggi in plastica hanno infatti subito una significativa e graduale diminuzione per effetto della positiva situazione economica registrata dal Consorzio COREPLA a partire dal 2021; ciò ha consentito di attingere anche alle riserve patrimoniali per far fronte al fabbisogno da CAC. Il contributo medio per gli imballaggi in plastica nel 2021 era pari a 398 euro/tonnellata, nel 2022 a 327 euro/tonnellata e nel 2023 a 294 euro/tonnellata.

Dal 1° aprile 2024 il contributo medio ritornerà dunque ai valori del 2021, data l’esigenza di ricostituire le riserve atte a garantire la raccolta e il riciclo degli imballaggi in plastica. Queste riserve, nel corso del 2023, si sono notevolmente ridotte, anche per effetto di una diminuzione dei ricavi delle aste (cui è ragionevole guardare, per il 2024, con moderato ottimismo, dal momento che molti prevedono un’evoluzione dei valori in miglioramento) oltre che di un aumento dei costi di raccolta e selezione (che il Consorzio COREPLA ha già cercato di ottimizzare dove possibile) legati principalmente all’impatto dell’inflazione sui corrispettivi ANCI-CONAI.

Per l’anno 2024 restano confermate le nove fasce in vigore dal 2023, con valori sempre più legati ai costi necessari per avviare a riciclo le tipologie di imballaggi inclusi in ciascuna fascia.

Non subiscono aumenti le fasce A1.2 e A2, recentemente adeguate.

La fascia A1.1 passerà da 20 a 24 euro/tonnellata.
La fascia B1.1 passerà da 20 a 224 euro/tonnellata e la fascia B1.2 passerà da 20 a 233 euro/tonnellata. Due fasce che registrano gli incrementi più consistenti: hanno infatti beneficiato maggiormente, tra la seconda parte del 2022 e il 2023, della possibilità di attingere alle riserve, alle quali avevano contribuito in modo determinante per effetto dei valori straordinari delle aste.
I valori del CAC per queste fasce tornano quindi a quelli ordinari pre-2021, nonostante l’inflazione registrata nel biennio 2022/2023.

La fascia B2.1 passerà da 350 a 441 euro/tonnellata; la fascia B2.2 passerà da 477 a 589 euro/tonnellata; la fascia B2.3 passerà da 555 a 650 euro/tonnellata; la fascia C passerà da 560 a 655 euro/tonnellata.

Sempre a partire dal 1° aprile 2024, alcune tipologie di imballaggi cambieranno fascia di appartenenza.
Le vaschette in XPS passeranno dalla C alla B2.3, grazie allo sviluppo di una filiera sperimentale di riciclo promossa negli ultimi anni.
Gli imballaggi rigidi in PP con etichette coprenti in qualunque polimero, a prescindere dalla presenza o meno di perforazioni/punzonature, ora in fascia B2.2, saranno ricollocati tutti in fascia B2.1 per via di un efficientamento dei processi di selezione.
Bottiglie, barattoli e flaconi in PET opachi e/o con etichetta coprente non punzonata, oltre alle relative preforme, passeranno dalla fascia B2.3 alla B2.2, grazie al consolidamento della filiera di riciclo di questi articoli.

Le liste aggiornate degli imballaggi in plastica nelle 9 fasce contributive saranno a breve disponibili sul sito CONAI.

Ecco i valori dei CAC dal 2024 per le plastiche in sintesi:


Gli imballaggi in bioplastica compostabile
Il contributo per gli imballaggi in bioplastica compostabile passerà da 170 euro/tonnellata a 130 euro/tonnellata.
Una riduzione resa possibile dal contenimento dei costi operativi del Consorzio BIOREPACK e dall’utilizzo delle riserve patrimoniali generatesi in questi primi anni di attività.

Le procedure semplificate per l’import
Le rimodulazioni avranno effetti anche sulle procedure forfettarie/semplificate per importazione di imballaggi pieni, che tornano a valori comunque inferiori a quelli del 2021.
Il contributo mediante il calcolo forfettario sul peso dei soli imballaggi (tara) delle merci importate (peso complessivo senza distinzione per materiale) passerà dai 70,00 euro/tonnellata a 69,00 euro/tonnellata dal 1° gennaio 2024 (come già annunciato a luglio 2023) e a 98,00 euro/tonnellata dal 1° aprile 2024.
A decorrere dal 1° aprile 2024 l’aliquota da applicare sul valore complessivo delle importazioni (in euro) per i prodotti alimentari imballati passerà da 0,11% a 0,15% e per i prodotti non alimentari imballati da 0,06% a 0,08%.

I contributi forfettari/aliquote saranno quindi i seguenti:

www.conai.org

Coordinamento FREE Comunità Energetiche: Soddisfazione per il via libera di Bruxelles, ma ora attendiamo il Decreto del Governo in tempi rapidi.

«Siamo molto soddisfatti del via libera della Commissione Europea al Decreto italiano sulle Comunità Energetiche Rinnovabili (CER). Ora che si sono superati questi ostacoli ci aspettiamo una rapida pubblicazione del decreto affinché le CER possano essere rapidamente operative e far imboccare al nostro Paese, anche grazie al grande interesse fino ad ora dimostrato da tutti, la direzione di una decarbonizzazione che possa generare benefici diffusi, soprattutto per cittadini e imprese. – dichiara il Presidente del Coordinamento FREE, Attilio Piattelli, commentando le notizie sulle CER provenienti dal MASE e dalla Commissione Europea – Notiamo con piacere che non ci sono differenze sostanziali rispetto alle bozze circolate in questi mesi, se non il limite che impone un tetto ai benefici per le imprese in caso di superamento di determinate soglie di condivisione dell’energia. In tal caso la destinazione dei benefici economici conseguenti potrà essere solo a favore di membri o soci delle CER, diversi dalle imprese, e/o per finalità sociali aventi ricadute sui territori ove sono ubicati gli impianti. Tutto il resto del provvedimento sembra rimanere invariato, ma è necessario emanare rapidamente, oltre al Decreto, anche il bando da 2,2 miliardi di euro a favore dei piccoli comuni previsto dal PNRR».

« Un suggerimento che ci sentiamo di offrire è quello di monitorare lo sviluppo delle CER nelle aree metropolitane. Infatti, per quel che riguarda il criterio geografico limitato all’appartenenza della stessa cabina primaria di consumatori facenti parte della CER e degli impianti di produzione, si segnala che, pur riconoscendone una logica di ottimizzazione del carico sulle reti, l’applicazione nelle grandi città potrebbe trovare qualche difficoltà per le poche superfici a disposizione per la realizzazione degli impianti di produzione. – prosegue Piattelli – In tal caso, in futuro potrebbe valere la pena, solo per le aree metropolitane e dopo un primo periodo di attuazione del decreto, ipotizzare di estendere il perimetro delle cabine primarie anche ad aree limitrofe alle città per inglobare, zone industriali e artigianali con maggiori superfici a disposizione. Le aree metropolitane hanno bisogno delle CER perché queste faciliterebbero certamente l’elettrificazione dei consumi domestici e della mobilità ma anche perché potrebbero svolgere un ruolo rilevante a favore delle fasce più vulnerabili della popolazione, che spesso si trovano nelle periferie dei grandi centri abitati. Come sempre il Coordinamento FREE è a disposizione delle istituzioni per fornire il proprio contributo».

Il Coordinamento FREE (Coordinamento Fonti Rinnovabili ed Efficienza Energetica) è un’Associazione che raccoglie attualmente, in qualità di Soci, 24 Associazioni in toto o in parte attive in tali settori, oltre ad un ampio ventaglio di Enti e Associazioni che hanno chiesto di aderire come Aderenti (senza ruoli decisionali) ed è pertanto la più grande Associazione del settore presente in Italia.
Il Coordinamento FREE ha lo scopo di promuovere lo sviluppo delle rinnovabili e dell’efficienza energetica nel quadro di un modello sociale ed economico ambientalmente sostenibile, della decarbonizzazione dell’economia e del taglio delle emissioni climalteranti, avviando un’azione più coesa delle Associazioni e degli Enti che ne fanno parte anche nei confronti di tutte le Istituzioni.

www.free-energia.it

Investimenti in rigenerazione urbana sostenibile: grandi opportunità per Milano e Roma. Si è tenuto presso la Deloitte GreenHouse di Milano l’evento “Investimenti per la Rigenerazione Urbana Sostenibile”, dove sono state presentate due ricerche, una sulle opportunità di investimento e una sulla rigenerazione urbana sostenibile.

All’apertura dell’evento erano presenti Franco Amelio, Amministratore Delegato Deloitte Climate & Sustainability, Angela D’Amico, Deloitte Industry Leader (Real Estate) e Josephine Romano, Head of Corporate Compliance, Deloitte Tax & Legal, che hanno introdotto le tematiche.

La prima ricerca sulle opportunità di investimento a Milano e Roma è stata condotta da Paolo Galuzzi, Professore Ordinario della Sapienza Università di Roma e da Piergiorgio Vitillo, Professore Associato del Politecnico di Milano.

A Milano il mercato della rigenerazione urbana può valere fino a 30 miliardi
Gli ambiti di rigenerazione urbana della città di Milano interessano una superficie territoriale di circa 9,5 kmq e una superficie lorda pari a poco più di 5 milioni di metri quadrati, concentrata per poco meno della metà nel comparto residenziale (2,35 milioni di mq), per un terzo nel direzionale (1,5 milioni di mq) e per poco meno del 10 per cento in quello commerciale (460 mila mq).

Rigenerare in chiave sostenibile Milano può valere fino a 30 miliardi e fino a 19,5 miliardi di euro di valore aggiunto, concentrato per quasi il 60% nel comparto residenziale.

Entro il 2050, le stime più accreditate parlano di 920 chilometri quadrati di superficie territoriale da rigenerare a livello nazionale (1,6% della superficie urbanizzata attuale), di cui 193 kmq in Lombardia, per oltre 350 milioni di metri quadrati di superficie lorda edificabile. Con un fatturato industriale di 2.300 miliardi di euro entro appunto il 2050, di cui 700 miliardi come ricaduta diretta sul comparto immobiliare.

Secondo Stefano Pareglio, Presidente di Deloitte Climate & Sustainability, “Le aree urbane sono il fulcro delle società contemporanee, per gli impatti che determinano e per le opportunità che offrono. Circa il 40% delle emissioni totali di CO2, più di un terzo del consumo globale di energia, quasi il 60% della popolazione mondiale sono riferiti alle città. Rigenerare il tessuto urbano non più adeguato a stili di vita contemporanei è indispensabile, e per farlo in modo sostenibile è necessario il concorso di numerosi attori. Per questo abbiamo deciso di occuparcene, consapevoli che la sfida per la sostenibilità urbana è una straordinaria occasione di crescita economica, di innovazione e di progresso sociale”.

Angela D’Amico, Deloitte Real Estate Sector Leader, ha commentato: “È un dato di fatto che gli operatori, nel lungo periodo, si orienteranno sempre più su immobili con elevati standard ESG, che aumentano le opportunità di commercializzazione degli immobili e rientrano a pieno titolo nelle strategie di creazione del valore. Secondo ricerche di mercato, il miglioramento da classe di rating C ad A/AA comporta un repricing real estate dal 7 al 45% in Italia. La necessità di adottare standard ESG con questa finalità è particolarmente sentita per l’asset class degli Hotel, dove i principali brand internazionali hanno già sviluppato una Global ESG Policy che detta gli obiettivi di sostenibilità ambientale, sociale e di governance per tutte le strutture alberghiere del mondo aderenti al medesimo brand”.

Secondo le stime di Coima sgr, per effettuare la transizione energetica dell’intero patrimonio immobiliare esistente, portandolo a zero emissioni entro il 2050, sono necessari oltre 2 mila miliardi di euro per rinnovare circa 5.3 miliardi di metri quadrati di superficie (79% immobiliare residenziale, 2% commerciale, 7% pubblico e 12% appartenente ad altre categorie). Per raggiungere questo obiettivo, è necessario stimolare un incremento del numero di investitori istituzionali nel settore immobiliare, che in Italia rappresenta meno del 10% (contro una media internazionale del 15% circa).

“Dall’Accordo di Parigi, che ha delineato l’Agenda ONU 2030 e i 17 Obiettivi di Sviluppo Sostenibile (SDGs) con i relativi target, l’Unione Europea ha indubbiamente avviato una serie di riforme volte ad introdurre, nelle modalità di trasformazione dell’ambiente costruito, indirizzi e requisiti per favorire una maggiore sostenibilità ambientale, sebbene al momento non sussista ancora un framework regolatorio paneuropeo sulla rigenerazione urbana.” – ha dichiarato Josephine Romano, Head of Corporate Compliance, Deloitte Tax & Legal.

Successivamente, è seguito un dibattito che ha approfondito la visione degli operatori, analizzando le sfide e le opportunità connesse all’evoluzione del patrimonio immobiliare nell’ottica della sostenibilità.
Erano presenti Manfredi Catella, Founder e CEO COIMA SGR, Davide Albertini Petroni, Presidente Assomobiliare e Managing Director di Risanamento S.p.A. Ha moderato il dibattito Serena Uccello del Sole24Ore.

La seconda ricerca, ovvero il report “Rigenerazione urbana e sostenibilità: contesto, sfide e visione di lungo termine” presentato all’evento, ha analizzato la rigenerazione urbana da un punto di vista sostenibile e secondo l’approccio Deloitte. Il report ha inoltre valutato l’impatto sociale che può avere la rigenerazione urbana, oltre alle sfide e opportunità che ci mette davanti.

Infine, si è parlato di come le CER possano essere fattore di sostenibilità e motore per la rigenerazione urbana insieme a Antonio Piciocchi, Partner di Tax & Legal & Board Member di Deloitte Climate & Sustainability, per passare poi alle conclusioni con Stefano Pareglio, Presidente Deloitte Climate & Sustainability e Luca Dal Fabbro, Presidente ESG Institute e Presidente Gruppo IREN.

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Industria 4.0 in manifatturiere italiane: tendenze e barriere evolutive. La ricerca LIUC Business School per ICIM Group fornisce un’interpretazione della reattività del panorama produttivo nazionale e conferma la necessità di un rafforzamento e di un preciso orientamento delle politiche di supporto agli investimenti e all’innovazione.

Gli incentivi e le manovre di governo hanno rappresentato un’opportunità da non perdere per le imprese italiane, ma quale grado di consapevolezza tecnologica si nasconde dietro gli investimenti 4.0?

Dalla ricerca realizzata da LIUC Business School per ICIM Group – presentata presso l’i-FAB della LIUC-Università Cattaneo di Castellanza (VA) – emerge come la possibilità di ammodernare il proprio parco macchine, sfruttando il finanziamento per la dotazione di prestazioni superiori a quelle degli impianti esistenti, abbia in molti casi oscurato le potenzialità della quarta rivoluzione industriale.
Ne è mancata, talvolta, il vero obiettivo: aumentare il valore generato dai processi di produzione in termini di efficienza, qualità, flessibilità, sostenibilità e sicurezza, grazie all’integrazione dei nove pilastri tecnologici (dall’Internet of Things al Big data analytics; dalla manifattura additiva alla realtà aumentata e simulazione) che consentono di raggiungere l’automazione industriale, l’integrazione delle risorse all’interno della fabbrica e l’attuazione di processi decisionali guidati dai dati.

Insomma, investimenti sì ma ancora con parecchie barriere all’innovazione, a causa della mancanza di un’adeguata comprensione del concetto di Industria 4.0 e/o di scarse competenze all’interno dell’organizzazione.
Sia tra le grandi sia tra le piccole e medie imprese.
Queste le principali evidenze dello studio realizzato dall’ingegner Violetta Giada Cannas, ricercatrice della LIUC Business School, che si è concentrato sull’analisi degli investimenti 4.0 realizzati dalle imprese italiane.
In particolare, sugli investimenti delle imprese italiane che hanno scelto di affidare l’attestazione di conformità Industria 4.0 nell’anno 2020 a ICIM SpA, ente di certificazione di ICIM Group, il polo di competenze a maggioranza ANIMA Confindustria che fornisce servizi di formazione, consulenza, testing e, appunto certificazione.
ICIM SpA è, infatti, l’ente di certificazione di riferimento in ambito Trasformazione Industriale e Industria 4.0 con oltre 3600 attestazioni rilasciate a oltre 1350 aziende, per investimenti pari a circa 2 miliardi di euro.

OBIETTIVO DELLO STUDIO
Capire come le imprese italiane abbiano affrontato, negli anni successivi all’investimento, l’implementazione delle tecnologie 4.0 acquisite, investigando, in particolare, quali siano le principali tendenze e barriere evolutive.
Tale analisi è stata condotta utilizzando la metodologia di ricerca scientifica dei casi studio e svolgendo un’analisi approfondita dei dati raccolti da un numero limitato di imprese, selezionate all’interno del campione, con interviste mirate alle figure che hanno guidato gli investimenti 4.0 e visite in loco presso i reparti produttivi.
I casi sono stati selezionati con l’obiettivo di analizzare investimenti di entità diverse, condotti da imprese di diverse dimensioni, appartenenti a diversi settori industriali.

IL CAMPIONE
Campione oggetto di indagine sono state 123 imprese: le aziende dei casi studio sono prevalentemente concentrate nel segmento manifatturiero (86,18%), commercio all’ingrosso e al dettaglio (7,32%), per il restante in sanità e assistenza sociale, costruzioni; equamente distribuito per dimensione aziendale e per investimento medio (circa 387 mila euro per le PMI, contro 386 mila euro per le grandi imprese).
Gli investimenti sono stati effettuati da imprese localizzate perlopiù nelle regioni del Nord Italia, per il 55% da PMI e per il 45% da grandi aziende.

RISULTATI DELLO STUDIO
Dall’analisi dei casi è emerso che tutte le imprese intervistate si sono dichiarate soddisfatte dei risultati ottenuti dall’investimento 4.0 intrapreso e dai benefici emersi negli anni successivi a tale investimento: maggior produttività, monitoraggio e controllo continuo dell’impianto produttivo grazie all’utilizzo di dati oggettivi raccolti in tempo reale, a vantaggio del processo decisionale; miglioramento delle condizioni di lavoro del personale nei vari reparti; riduzione delle attività alienanti e dei delivery lead time; miglioramento del livello di integrazione con i fornitori e, più in generale, con tutti gli attori della supply chain.
I beni materiali acquisiti sono per il 90% beni strumentali gestiti da sistemi computerizzati e per il 10% sistemi per l’assicurazione della qualità e della sostenibilità.

Tuttavia, è interessante notare che la maggior parte degli intervistati (75%) ha dichiarato che la decisione di investire nell’Industria 4.0 è stata principalmente (o, in alcuni casi, esclusivamente) legata ai vantaggi economici e finanziari. Pochi intervistati (25%) hanno testimoniato che la motivazione di investire nell’Industria 4.0 sia stata principalmente legata a una spiccata cultura digitale dell’impresa e all’ambizione di portare la propria impresa verso la quarta rivoluzione industriale, mantenendo una buona posizione competitiva in un mercato dinamico e in continua evoluzione dal punto di vista tecnologico.

Se da un lato il piano di investimenti ha fortemente contribuito a oliare la trasformazione del tessuto produttivo nazionale, dall’altro le imprese non comprendono ancora realmente cosa significhi generare valore da tali investimenti.

Tra le principali barriere all’innovazione, la non adeguata comprensione del concetto di Industria 4.0 per le scarse competenze all’interno delle organizzazioni (67%), la resistenza al cambiamento (75%), la complessità di inserire i nuovi sistemi all’interno di cicli produttivi preesistenti (83%) e la difficoltà a trovare partner validi per lo sviluppo della progettualità (57%),

Un esempio scaturito dalle analisi è sicuramente lo scarso utilizzo della numerosa quantità di dati generata dai sensori intelligenti contenuti nei nuovi impianti produttivi.
“Tali dati sono oggi da considerarsi un vero e proprio asset strategico – spiega Violetta Giada Cannas – tuttavia, la scarsa conoscenza dei pilastri tecnologici 4.0 e dei processi basati sui dati porta le imprese a non utilizzare tali informazioni o ad utilizzarne solo una parte per analisi di tipo descrittivo, non applicando analitiche prescrittive o predittive che ne potenzino il valore e guidino meglio le decisioni, proteggendo poco l’aspetto di privacy e tutela del dato stesso, con bassi investimenti in cybersecurity. Tra gli ostacoli allo sviluppo ci sono le scarse competenze che impediscono la comprensione del concetto di Industria 4.0 e anche la resistenza al cambiamento”.

“Alla vigilia della revisione degli incentivi per la digitalizzazione ci sembrava importante mettere a disposizione il patrimonio di esperienze raccolto in 5 anni di attività connesse all’attestazione di beni I 4.0 – dice l’ingegner Paolo Gianoglio, Direttore Innovazione, Sviluppo e Relazioni Associative di ICIM Group, Responsabile del Progetto Industria 4.0. – Abbiamo condiviso i nostri dati per indagare con maggiore dettaglio quali tecnologie siano state preferite dalle imprese, per quali utilizzi, con quali obiettivi. Nei prossimi anni la sfida della digitalizzazione si incrocerà con quella della sostenibilità, la cosiddetta Twin Transition che l’Europa ci chiede per rispondere a criteri di competitività che non compromettano l’impegno per combattere il cambiamento climatico. Con la ricerca commissionata a LIUC crediamo di aver offerto un contributo significativo per le decisioni dei prossimi anni”.

È quindi necessario che l’impegno e gli sforzi di tutti gli attori della filiera, a cominciare da Università e Competence Center, siano orientati, anche attraverso politiche incentivanti, a favorire questo passaggio evolutivo che prende le mosse dalla consapevolezza – che deve essere diffusa tra imprenditori e manager – delle potenzialità che “l’economia dei dati” può portare al settore manifatturiero, come già in altri settori (banche, assicurazioni, social media).

www.liuc.it

www.icimgroup.com

paper

8 milioni di famiglie per riqualificare casa. Osservatorio Gabetti Lab e Nomisma: quale il lascito del Superbonus? Che futuro c’è per la necessaria riqualificazione del patrimonio edilizio del nostro Paese?
Quale via italiana per dare corso alle politiche green europee?

Con il coinvolgimento di attori della filiera, amministratori di condominio e operatori della finanza, attraverso la partecipazione a tavoli di lavoro e l’avvio di indagini quantitative, Gabetti Lab e Nomisma, coordinati da Ppan come content & communication partner, hanno formulato una proposta operativa per la ripartenza del settore nel post 110. I tavoli tematici hanno visto la partecipazione di una sessantina di interlocutori privilegiati, chiamati a discutere di soluzioni e indirizzi per il futuro.
Tra le priorità e le richieste, in un virtuoso dialogo tra pubblico e privato:
– La necessità di un piano strategico degli investimenti con modularità temporale a non meno di 3-5 anni
– L’adozione di un meccanismo redistributivo dell’aliquota
– L’introduzione di strumenti di tipo ESCO sul privato ed EPC sul pubblico
– La reintroduzione della cessione del credito
Le survey in particolare hanno consentito di rilevare l’opinione di tre target direttamente coinvolti nel processo di riqualificazione edilizia del patrimonio residenziale: le famiglie, gli amministratori in qualità di «antenne all’interno delle comunità condominiali”, la filiera delle costruzioni costituita da imprese e professionisti

LE FAMIGLIE
Secondo i dati del report redatto a valle di questa attività di studio e ricerca, lo sguardo delle famiglie ha messo in evidenza una consolidata consapevolezza riguardo alla necessità di riqualificare il proprio patrimonio abitativo. Sette famiglie su 10 dichiarano di conoscere la direttiva Case green e la metà percepisce una certa preoccupazione rispetto agli effetti che potrebbe avere sulla comunità, con particolare riguardo ai costi da sostenere per l’adeguamento energetico. Ancora, una su due ritiene che la propria abitazione necessiterebbe di interventi di manutenzione straordinaria, che nella metà dei casi finora non sono stati condotti per i costi. Infine, 7,9 milioni di famiglie esprimono l’intenzionalità di riqualificazione, a fronte di un Superbonus “riconfigurato”, con aliquote commisurate secondo differenti criteri.

GLI AMMINISTRATORI DI CONDOMINIO
In linea con queste aspettative, l’indagine agli amministratori di condominio, rivolta al network Gabetti Lab con una quarantina di interlocutori che complessivamente gestiscono 5000 condomini, riflette da un lato le difficoltà dei proprietari di casa, dall’altro le preoccupazioni del mondo della filiera. Tra le evidenze, si segnala che:
Il 90% degli amministratori intervistati ha fatto esperienza di 110% all’interno dei condomini amministrati.
Il 67% degli amministratori intervistati denuncia casi di cantieri bloccati nei condomini, nella metà dei casi anche per problematiche connesse alla cessione del credito.
Quasi la metà degli amministratori intervistati non esprime fiducia verso la possibilità di risoluzione di queste problematiche.

IMPRESE, STUDI PROFESSIONALI, GENERAL CONTRACTOR E ATTORI DEL MONDO DELLE COSTRUZIONI
Gli intervistati (85) testimoniano invece una strutturazione interna sostanziale, resasi necessaria per far fronte alle complessità procedurali del Superbonus. I risultati dell’indagine mostrano l’adozione di nuovi modelli organizzativi interni, l’acquisizione di nuove competenze professionali e la creazione di nuove partnership/collaborazioni con altre realtà imprenditoriali. A questo si aggiunge il considerevole impatto economico delle nuove progettualità, con una incidenza sul fatturato complessivo che in un terzo dei casi supera la soglia del 50% negli ultimi 3 anni. Non mancano tuttavia le criticità, legate in primis al blocco dei progetti in itinere – una casistica che ha coinvolto la maggioranza assoluta degli addetti ai lavori intervistati.

A fronte di questo quadro di riferimento, si intravedono alcune condizioni imprescindibili per una strategia di riqualificazione del patrimonio edilizio credibile e compatibile con le esigenze di finanza pubblica. Ci vorrà uno sforzo di riqualificazione di 1,8 milioni di immobili in 10 anni, non sarà semplice, visto che con questa ondata senza precedenti di riqualificazione è stato efficientato meno del 4% del parco residenziale italiano.

“Va sottolineato che senza il riconoscimento della casa come leva cruciale di politica ambientale ed ecologica, difficilmente le città italiane potranno raggiungere gli obiettivi di neutralità climatica e di miglioramento energetico imposti dall’Europa”, spiega Alessandro De Biasio, amministratore delegato di Gabetti Lab, prima filiera integrata nell’ambito della sostenibilità in Italia e primo player nella riqualificazione per il benessere abitativo grazie alla gestione di reti di imprese. “Alla luce di questo, abbiamo ritenuto necessario attivare collaborazioni importanti con Centri di ricerca e Università per portare all’attenzione di tutti gli operatori, con la forza dei numeri e della ricerca, il fatto che questo grande lavoro di riqualificazione ha prodotto e potrebbe produrre vantaggi di lungo periodo per famiglie e Paese. È stato reso pubblico qualche giorno fa l’esito dell’indagine commissionata dal Gruppo Gabetti insieme al suo Ufficio Studi e condotta dal Politecnico di Milano e dal Politecnico di Torino, che ha dimostrato come l’efficientamento energetico degli immobili influisca sui prezzi di compravendita e il valore degli immobili”.

Gabetti Property Solutions, attraverso le diverse linee di business delle società controllate, eroga servizi per l’intero sistema immobiliare, offrendo consulenza integrata per soddisfare esigenze e aspettative di privati, aziende e operatori istituzionali.
Proprio dall’integrazione e dalla sinergia di tutti i servizi, emerge il valore aggiunto del gruppo: un modello unico rispetto ai competitor. Il sistema organizzativo di Gabetti Property Solutions consente l’integrazione e il coordinamento delle competenze specifiche di ciascuna società del Gruppo nell’ambito delle seguenti aree: Consulenza, Valorizzazione, Gestione, Intermediazione, Mediazione Creditizia e Assicurativa e Riqualificazione.

www.gabettigroup.com

Riforma agevolazioni Imprese Energivore. A decorrere dal 1 gennaio 2024, potranno accedere alle agevolazioni “energivori” le imprese che, nell’anno precedente alla presentazione dell’istanza di concessione delle agevolazioni, avranno realizzato un consumo annuo di energia elettrica non inferiore a 1 GWh e che rispettino almeno uno dei seguenti requisiti:
a). operano in uno dei settori ad ALTO rischio allegato 1;
b). operano in uno dei settori a rischio allegato 1;
c). pur non operando in alcuno dei settori di cui alle lettere a) e b), hanno beneficiato, nell’anno 2022 ovvero nell’anno 2023 energivori, precedente schema.
Non accedono alle agevolazioni le imprese che, seppur in possesso dei requisiti di cui al comma lettere a), b) e c), si trovano in stato di difficoltà.

Le imprese sono soggette ai seguenti contributi a copertura degli oneri generali afferenti al sistema elettrico al sostegno delle energie rinnovabili:
– le imprese lettera a), nella misura del minor valore tra il 15 %della componente degli oneri generali e lo 0,5 % del valore aggiunto lordo dell’impresa;
– le imprese lettera b), nella misura del minor valore tra il 25 % della componente degli oneri generali e l’1 % del valore aggiunto lordo dell’impresa;
– le imprese lettera c), nella misura del minor valore:
— per le annualità 2024, 2025 e 2026, tra il 35 %della componente degli oneri generali e l’1,5 %del valore lordo aggiunto dell’impresa;
— per l’anno 2027, tra il 55 %della componente degli oneri generali e il 2,5 %del valore lordo aggiunto dell’impresa;
— per l’anno 2028, tra l’80 %della componente degli oneri generali e il 3,5 %del valore lordo aggiunto dell’impresa.

Qualora l’impresa lettera b) e c) – quest’ultime fino al 31 dicembre 2028 – copra almeno il 50 % del proprio consumo di energia elettrica con energia da fonti che non emettono carbonio, di cui almeno il 10 % assicurato mediante un contratto di approvvigionamento a termine oppure almeno il 5 % garantito mediante energia prodotta in sito o in sua prossimità, allora il contributo a copertura degli oneri di sistema è pari al minor valore tra:
– il 15 %della componente degli oneri generali e lo 0,5 %del valore aggiunto lordo dell’impresa X le imprese b)
– il 35 %della componente degli oneri generali e lo 1,5 %del valore aggiunto lordo dell’impresa X le imprese c).

In ciascun anno, i contributi a copertura degli oneri di sistema per le imprese lettere a), b) e c), 5 e 6 non possono, in ogni caso, essere inferiori al prodotto tra 0,5 €/MWh e l’energia elettrica prelevata dalla rete pubblica.

Le imprese che accedono alle agevolazioni sono tenute a effettuare la diagnosi energetica.
Le imprese di cui al primo periodo sono altresì tenute a adottare almeno una delle seguenti misure:
a) attuare le raccomandazioni di cui al rapporto di diagnosi energetica, qualora il tempo di ammortamento degli investimenti a tal fine necessari non superi i tre anni e il relativo costo non ecceda l’importo dell’agevolazione percepita;
b) ridurre l’impronta di carbonio del consumo di energia elettrica fino a coprire almeno il 30 %del proprio fabbisogno da fonti che non emettono carbonio;
c) investire una quota pari almeno al 50 % dell’importo dell’agevolazione in progetti che comportano riduzioni sostanziali delle emissioni di gas a effetto serra al fine di determinare un livello di riduzioni al di sotto del parametro di riferimento utilizzato per l’assegnazione gratuita nel sistema di scambio di quote di emissione dell’Unione europea di cui al regolamento di esecuzione (UE) 2021/447 della Commissione europea, del 12 marzo 2021.

RIFERIMENTO NORMATIVO
DECRETO-LEGGE 29 settembre 2023, n. 131 – Misure urgenti in materia di energia, interventi per sostenere il potere di acquisto e a tutela del risparmio. (23G00141) (GU n.228 del 29-9-2023)

Considerata la complessità della tematica, i tecnici EnergyINlink provvederanno (gratuitamente) ad effettuare il calcolo per verificare se la vostra Azienda possiede i requisiti di cui sopra.
Contatto: energia@energyinlink.it
In caso affermativo, saremo a disposizione per supportarvi nello svolgimento della procedura di accreditamento su sistema telematico.

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